Nikolaj N. Strakhov

IL MONDO È UN INTERO

tradotto, ridotto e adattato da

Ennio Gennari

"L'uomo è il centro dell'universo"

Link al testo originale: http://az.lib.ru

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Note: Nikolai Petrovich Ilyin

INTRODUZIONE [1]

Questo libro parla dei fenomeni naturali più grandi e importanti, vengono considerati i concetti e gli insegnamenti dei più famosi scienziati e filosofi; la presentazione è abbastanza semplice, quasi elementare, forse anche pedante nel suo intento educativo. Solo occasionalmente vengono usati termini filosofici, ed è quasi interamente scritto nella lingua di un naturalista, non di un filosofo, e potrebbe quindi essere classificato tra i libri popolari sulle scienze naturali. Il lettore vedrà, tuttavia, che sono un oppositore quasi assoluto della divulgazione.

Se gli stessi scienziati, lavorando costantemente per la loro scienza, raramente comprendono il suo vero spirito, i suoi fondamenti profondi, allora nella massa dei lettori l'informazione scientifica viene quasi inevitabilmente distorta, trasformandosi in conoscenza deformata. Un libro popolare che soddisfa il lettore è un libro vuoto e persino dannoso: lo ha ingannato, gli ha dato una falso senso di soddisfazione, di completezza.

Considerando i fenomeni e i concetti più comuni, ho cercato di mostrare a quali domande essenziali e immense sono collegati. Le mie fonti sono state, prima di tutto, le scienze matematiche e naturali, viste però da un punto di vista filosofico.

Come punto di riferimento ho seguito la filosofia di Hegel, e in particolare il suo metodo, che ritengo la piena espressione dello spirito scientifico. Il lato formale della filosofia di Hegel coincide con il suo lato essenziale e costituisce il nucleo di tutto ciò che può essere considerato un movimento scientifico. Come Kant può essere paragonato a Copernico, così Hegel a Galileo o a Newton; e come l'astronomia e tutte le scienze fisiche si stanno sviluppando secondo i metodi dei loro fondatori, così le scienze del mondo organico e umano non si discostano dalle vie mostrate da Kant e da Hegel. Il progresso della mente  non avviene infatti così rapidamente come si crede.

 Quindi non considero le mie convinzioni come qualcosa di speciale o di originale, ma solo conclusioni e spiegazioni di ciò che è già conosciuto, spesso in contrapposizione alle opinioni comuni.

Il mondo è un tutto, cioè è connesso in tutte le direzioni in cui la nostra mente può concepirlo.

Il mondo è una singola entità, il che significa che non si scompone in due, tre o in generale in più entità collegate indipendentemente dalle loro proprietà. Una tale unità del mondo si può ottenere solo spiritualizzando la natura, riconoscendo che la vera essenza delle cose consiste nei vari gradi dello spirito incarnato.

Il mondo è un insieme coerente, cioè tutte le sue parti e i suoi fenomeni sono in dipendenza reciproca. Non c'è nulla di originale, nessun principio speciale, nessun elemento o corpo semplice, nessun atomo, non ci sono forze indipendenti diverse nel tempo, non c'è nulla di immutabile, esistente separatamente dal resto. Tutto è dipendente e tutto scorre, come diceva Eraclito[2].

Il mondo è un tutto organico armonioso, cioè le parti e gli eventi del mondo non sono solo collegati, ma hanno anche una struttura gerarchica: come in ogni organismo, ci sono parti più importanti e altre meno, e il rapporto tra queste parti è tale da creare un'armonia, in cui ognuna di esse fa da supporto reciproco all'altra, formando un intero nel quale non c'è nulla di superfluo o di inutile.

Il mondo è un tutto con un centro, una specie di sfera il cui fulcro è l'uomo. L'uomo è l'apice della natura, il nodo dell'essere, il più grande mistero e la più grande meraviglia dell'universo; occupa un posto centrale in tutte le connessioni che collegano le parti del mondo in un tutt'uno; è l'essenza principale, il fenomeno dominante e il più importante organo del mondo.

Ecco alcuni punti chiave della visione dell'universo sviluppata nel libro. Il suo scopo principale, tuttavia, non è di spiegare questa concezione, ma nell'analisi degli insegnamenti delle scienze naturali e dei loro metodi.

Non c'è dubbio che le persone di scienza, i ricercatori puri che non consentono alcuna interferenza della fantasia e del sentimento nel loro lavoro, devono riconoscere incondizionatamente il mondo nel suo insieme. Solo questo punto di vista corrisponde al rigore completo del metodo scientifico.

L'uomo è, per qualche ragione, in opposizione a questa visione razionale e organica del mondo, e questa lotta è ostinatamente portata avanti da tutti, che siano spiritualisti o materialisti, credenti o scettici, filosofi o naturalisti.

Essere consapevoli di questa inimicizia è il nostro punto di partenza ed è già un compito molto grande per il pensiero.

Il mondo dunque è un tutto, ma l'uomo è costantemente alla ricerca di una via d'uscita e vuole sciogliere i legami che lo collegano ad esso, di spezzare il suo cordone ombelicale.

Questo è così evidente nei nostri tristi tempi, interessanti, ma terribilmente difficili. Le persone si affannano a cercare una via d'uscita, anelano alla sofferenza quasi considerando una colpa l'accontentarsi di questa vita così com'è.

I più stupidi, gli spiritisti, hanno già rifatto il mondo a modo loro e si divertono a parlare con gli esseri di altri mondi[3]. Altri, politici fanatici, sognano di rifare l'essere umano, cambiando il corso generale della storia; per trovare una via d'uscita per se stessi, accendono un sentimento di insoddisfazione per l'ordine del mondo, la vita, la morale e le virtù o i difetti delle persone, e quindi iniziano a credere in una sorta di nuova umanità, libera dalle proprietà più fondamentali della natura umana.

Altre persone si sforzano di soddisfare i desideri dei loro cuori; alcuni sono nostalgici del passato e vi si tuffano, vestendolo di fantastici colori; altri sognano il futuro, altri abitano pianeti e stelle. Nessuno pensa che il problema debba essere risolto qui e ora, e che qualsiasi trasferimento della soluzione in un altro tempo e in un altro luogo sia solo un inganno con cui ci consoliamo. Anche se qualcuno comprende il problema, non è in poi grado di formulare la domanda, né di trovarne la soluzione; l'istruzione moderna non fornisce i mezzi per questo.

Difficilmente è riconosciuta la centralità dell'essere umano. Naturalisti, materialisti e positivisti sono forse gli avversari più ardenti dell'idea della supremazia dell'uomo nel mondo e perciò più ostili di altri alla visione razionale delle cose.

La fonte del contrasto qui è abbastanza chiara: credono che il centro sia in un altro luogo, nelle forze deterministiche della materia, in altri mondi, in altre aree della natura, in qualcosa di più profondo, più lontano, misterioso e immenso, e non in una cosa così comune e patetica come una persona umana. Per gli stessi motivi, la centralità dell'uomo è respinta anche dai confessori di altre visioni.

Tuttavia, quando e dove è stata trovata in natura una creatura o un fenomeno più misterioso, più elevato, più affascinante, più complesso dell'uomo? Non sono tutti questi tentativi che attraversano l'intera storia dell'umanità di trovare forze segrete nel mondo, sforzi irrazionali e inutili? Il Sole con le sue piogge infuocate e le sue eruzioni, come cantava Lomonosov[4], non è qualcosa di banale in confronto a ciò che sta accadendo in questo momento all'interno dell'uomo?

Può sembrare un'assurda esagerazione considerare l'essere umano il centro di questo mondo così magnifico e meraviglioso. Ma, se ci fermiamo a pensare un attimo, tutte le ricerche e le scoperte semplificano solo la nostra concezione del mondo, ne tolgono i colori fantastici, senza tuttavia accrescere in alcun modo quella varietà e quel mistero che vorremmo tanto volentieri trasferire da noi stessi agli oggetti esterni.

Se stiamo cercando una via d'uscita da questo mondo, allora dobbiamo capirlo, riconoscerne le connessioni e i confini. Ecco come trovo utile il mio libro: non contiene la soluzione del problema, ma si può chiamare, come il titolo di uno dei suoi capitoli, l'esatta formulazione della domanda.

Se dicessi che il mondo è come è descritto in questo libro, allora sono sicuro che il più ardente materialista, le persone arroccate nelle loro convinzioni, si sentirebbero turbati e aggrediti; il materialista che ha risolto tutto con gli atomi, contempla questi atomi con una certa riverenza, e tu lo offendi, bestemmi contro le sue divinità dicendo che gli atomi in fondo non contengono nulla di misterioso.

Indubbiamente questo libro può essere considerato blasfemo nei confronti di quel mondo fantastico, che molti, senza saperlo, adorano.

L'intero libro è diviso in due parti, sostanzialmente diverse. La prima parla di natura organica ed espone la visione principale dell'autore. Il secondo parla di natura inorganica ed è solo una critica alle opinioni esistenti, e non la presentazione di una dottrina specifica. Il mondo degli organismi è, contrariamente all'opinione comune, molto meno oscuro alla mente della natura inanimata, che conosciamo solo come qualcosa di opposto al nostro mondo pieno di vita. Questo mondo, tuttavia, non è affatto morto come immaginiamo; Ho cercato di mostrare che questa morte è solo apparente e che non c'è interruzione con la vita organica, perché il mondo è un tutto.

Rispetto alla prima edizione del 1872, si sono rese necessarie alcune correzioni, ma non stravolgimenti, perché il libro si occupa degli argomenti più generali della scienza naturale, delle sue questioni fondamentali, e le basi della scienza sono di solito o completamente immutabili, o subiscono solo rari cambiamenti. Si potrebbe quindi presumere che, negli anni intercorsi tra le due edizioni, le scienze naturali si siano mosse tranquillamente lungo percorsi consolidati, e che tutta la mole di ricerche che si accresce quotidianamente non abbia tolto alcun significato ad alcune discussioni di lunga data sulle principali verità scientifiche.

Ma questo è stato un periodo di accesi dibattiti sulle questioni più essenziali dello studio della natura; le scienze naturali hanno occupato  il primo posto nel movimento intellettuale, con l'ambizione di diventare, per così dire, la filosofia o la metafisica dei nostri giorni, e quindi hanno combattuto duramente per quelli che consideravano i loro principi scientifici. Al momento, tuttavia, si può vedere che la comprensione di questi principi non ha fatto alcun progresso, e la speranza per il loro completo dominio nel mondo intellettuale sembra sempre più irrealizzabile.

Nelle scienze naturali due  campi dovrebbero essere ben distinti: le scienze della natura inorganica e le scienze dei corpi viventi. La prima area, senza dubbio, ha fatto continui progressi, ma proprio perché essa rimane costantemente fedele ai principi stabiliti dai tempi di Galileo e Cartesio, nella prima edizione del libro non ci sono anacronismi o concetti superati, nonostante il grande passo in avanti rappresentato dall'invenzione del Sistema Periodico degli Elementi di Mendeleev[5].

Un'altra grande acquisizione della scienza è rappresentata dalla legge di conservazione dell'energia[6], ma vedremo che essa costituisce solo un'espansione e una generalizzazione di principi già riconosciuti o la sintesi finale della fisica sotto i metodi della meccanica teorica.
 

Ma alla parte del libro che parla di natura organica, non è stato aggiunto nulla. Le scienze degli organismi non solo non sono riuscite a spiegare i loro fondamenti, ma sembrano persino aver in parte smarrito la chiara comprensione delle conoscenze sviluppate nella prima metà dell'Ottocento.

La teoria che ha guadagnato maggiore popolarità in questo periodo è quella nota come l'origine delle specie[7]. Ma in questo libro si possono trovare i veri principi su cui dovrebbe basarsi questa dottrina, che in realtà si è affermata solo sostituendoli con una falsa concezione, banalizzandone il significato.

L'insegnamento di Darwin non è un successo nella scienza degli organismi, ma una deviazione dalla retta via, e non importa quanti dettagli curiosi possano raccogliere i naturalisti su questa strada laterale, prima o poi dovranno tornare ai giusti percorsi di esplorazione e riprendere il grande lavoro che pensavano di evitare. Dovranno cioè continuare lo studio morfologico degli organismi, portando a sempre maggiore perfezione il sistema naturale degli animali e delle piante, e anche elaborare le omologie[8] di tutti i loro organi e, infine, la storia comparata dello sviluppo sia degli organismi nel loro insieme, che di ciascuno dei loro organi. Sotto il dominio del darwinismo, i naturalisti non vedono l'importanza capitale di questi studi e li trascurano. Osservando una serie di forme che vanno sempre in una certa direzione, il darwinista si limita a studiare la connessione della prima di queste forme con l'ultima, e inoltre si accontenta della nozione più generale e superficiale di questa connessione. L'esatta definizione delle transizioni e dei passi necessari non lo interessano molto, perché vi vede solo un gioco disordinato di casualità.

Tuttavia, ogni fase qui è la manifestazione di un principio preciso che costruisce le forme organiche; pertanto, ogni successione di forme è piena del più profondo significato in tutti i suoi particolari. Allo stesso modo, supponiamo di aver trovato la funzione di un organo, cioè di una parte all'interno di un determinato tutto. Per il darwinista questo è solo un espediente casuale che non ha nulla a che fare con lo sviluppo interno di un organismo; il vero teleologo vede qui invece come l'organismo cerchi di realizzare con ingegnosi stratagemmi il suo scopo finale, vede la risposta dell'essere auto-costruente agli stimoli e alle circostanze esterne[9].

Il darwinismo, a mio avviso, è un impostura che può essere messa alla pari con lo spiritismo, o con fantasticherie come le teorie della curvatura dello spazio e della quarta dimensione, questi lussureggianti fiori dell'empirismo moderno[10]. Chiunque prenda tutto questo per nuovi passi nella nostra conoscenza della natura si sente in diritto di pensare che la nostra epoca abbia compiuto le imprese intellettuali più sorprendenti, superiori anche alle scoperte di Copernico, Newton e altri. Ma per me si tratta solo di enormi brutture scientifiche e non di progressi nella conoscenza. Sembrano tutte avere un carattere generale molto chiaro, ovvero rappresentano una deviazione rispetto alla strada maestra, e si sono affermati solo per l'arresto del movimento lungo il rettilineo percorso scientifico, come se questa strada fosse bloccata da qualche ostacolo.

L'empirismo, la negazione della speculazione: questa è la chiave di tutte le interruzioni e di uno sviluppo anomalo. La nostra epoca vuole conoscere, ma si rifiuta ostinatamente di pensare,  temendo che il pensiero possa distruggere i principi su cui costruisce la sua vita, e gli imponga compiti e doveri troppo difficili.

L'intero significato del libro sta proprio nel fatto che va contro l'empirismo, cercando di introdurre il pensiero filosofico nei metodi di studio della natura[11].

NOTE

  1. Dalle prefazioni alla prima (1872) e seconda (1892) edizione.
  2. L'affermazione di Strakhov che "non c'è nulla di originale" nel mondo è diretta esclusivamente contro l'idea che il mondo sia basato su certe "entità" immutabili o indivisibili come gli atomi. Per quanto riguarda lo sviluppo di tutti gli organismi (e lo sviluppo umano in particolare), secondo Strakhov esso avviene in modo originale e indipendente. Il noto aforisma "tutto scorre" risale al detto attribuito ad Eraclito: "Non ci bagniamo due volte nello stesso fiume".

  3. Lo spiritismo, ovvero la dottrina della possibilità di comunicazione materiale con gli "spiriti" dei morti, sorse a metà del XIX secolo negli Stati Uniti e si diffuse rapidamente in Europa. In Russia il famoso filosofo V.S. Soloviev (1853-1900) e l'eccezionale chimico A.M. Butlerov (1828-1886), in particolare, amavano lo spiritismo. Sotto forma di polemica con Butlerov, N.N. Strakhov scrisse e pubblicò una serie di articoli, che in seguito furono raccolti nel libro "Sulle verità eterne. La mia disputa sullo spiritismo" (San Pietroburgo, 1887).

  4. Riferimento alla poesia di M. V. Lomonosov "Riflessione mattutina sulla grandezza di Dio", dove si dice del Sole, in particolare:

            Là le pietre, come l'acqua, bollono,
            Le piogge bruciano.
            
  5. La legge periodica degli elementi chimici fu scoperta da D.I. Mendeleev nel 1869. In considerazione dell'atteggiamento critico di N.N. Strakhov nei confronti del concetto di atomismo, va notato che Mendeleev fu senza dubbio un deciso sostenitore di questo concetto. Ma la sua ingegnosa scoperta della presenza della periodicità nella dipendenza delle proprietà degli elementi chimici dai loro "pesi atomici" non era affatto una prova dell'atomismo. Ed ecco perché Mendeleev chiamò il "peso atomico" la massa di un equivalente chimico, cioè la massa di una sostanza semplice (elemento) che aggiunge o sostituisce un grammo di idrogeno. In realtà, l'atomismo non ha nulla a che fare con esso (una tale massa è stata determinata con successo dai chimici oppositori dell'atomismo). Strakhov, dal canto suo, vide nella legge periodica l'incarnazione del suo sogno di trovare la corretta regolarità nelle proprietà delle sostanze (vedi la seconda parte del suo libro).

  6. La scoperta della legge di conservazione dell'energia (come legge universale per tutti i tipi di energia) è associata ai lavori del fisico tedesco Robert Julius Mayer, pubblicati negli anni Quaranta dell'Ottocento.

  7. Ciò si riferisce al lavoro di Charles Darwin "L'origine delle specie per selezione naturale, o la conservazione delle razze favorevoli nella lotta per la vita" (1859).

  8. Omologia (dalla parola greca che significa simile) - divisione di organi in gruppi con la stessa struttura e le stesse funzioni.

  9. Il teleologo (dalla parola greca che significa obiettivo, completamento) è un sostenitore della teleologia, la dottrina secondo cui lo sviluppo degli organismi ha un carattere finalistico.

  10. Le discussioni  sulla "curvatura dello spazio" e sulla "quarta dimensione" divennero di moda nella seconda metà del XIX secolo, quando si diffusero largamente (ma non capite in profondità) le cosiddette geometrie non euclidee associate alle opere di N.I. Lobachevsky (1793- 1856), Johann Bolli (1802-1860), B. Riemann (1826-1866), così come la generalizzazione della geometria euclidea al caso degli spazi n-dimensionali. Strakhov considera insostenibili i tentativi di "scoprire" questi spazi matematici astratti con l'aiuto dell'esperienza sensoriale per confermare empiricamente la loro reale esistenza. Qui, come in molti altri casi, Strakhov anticipa il punto di vista di Henri Poincaré, secondo il quale "gli assiomi geometrici non sono... fatti sperimentali".

  11. Dalle parole di Strakhov risulta chiara la principale differenza tra il suo metodo filosofico e il "metodo dialettico" di Hegel. Dal punto di vista di quest'ultimo, la dialettica è essenzialmente un oggettivo "autosviluppo del concetto" indipendente dall'uomo. In Strakhov, i concetti sono posti (formati) e sviluppati (rivelati nel loro contenuto) esclusivamente nel processo del pensiero umano.

PARTE PRIMA

  NATURA ORGANICA

1. L'uomo è un animale

Nel nostro tempo le scienze naturali suscitano l'attenzione e la curiosità di tutti. Questa è una caratteristica importante ed evidente dell'era attuale. Tuttavia, non è affatto così facile indicare il motivo di questa inclinazione generale verso le scienze della natura. Ad esempio, non si può in alcun modo affermare che si basi sui benefici apportati da queste scienze. Sia per gli studiosi che per i lettori più istruiti, l'utilità è sempre una preoccupazione secondaria. Nessuno legge saggi popolari per estrarne alcune conoscenze e consigli per l'uso domestico. Per trarre beneficio da qualche applicazione è sempre necessario uno studio accurato e, soprattutto, pratica, tanti esercizi pratici; tutti sanno quanto sia lontana la teoria dalla corretta applicazione. Si dice che Laplace, brillante scienziato al quale l'astronomia deve i maggiori successi, una volta nella sua vita si mise in testa di guardare attraverso il telescopio, ma non vide nulla, perché guardò dalla parte sbagliata del tubo.

Quindi, senza dubbio, la maggior parte dei lettori non pensa di utilizzare le istruzioni della scienza per applicazioni pratiche. Se è così, allora le scienze naturali hanno per noi un interesse diverso, non pratico, ma puramente teorico, cioè semplicemente soddisfano il nostro desiderio di sapere, senza secondi fini.

Non si può dire che le scienze naturali contengano tesori speciali di scoperte e rivelazioni di segreti della natura, tali da risolvere positivamente questioni e problemi importanti che stanno impegnando fortemente la nostra mente. Coloro che conoscono meglio lo stato attuale di queste scienze saranno d'accordo che esse presentano un'enorme massa di materiali, in aumento di giorno in giorno, ma ancora molto lontani dal costituire un edificio solido; per noi i misteri della natura rimangono tali, e nemmeno un semplice fenomeno è stato completamente spiegato.

Possiamo dire quindi che le scienze naturali ci attraggono non tanto per le loro risposte, ma piuttosto per le loro domande, non per la profondità della loro saggezza, ma per il divertimento e la curiosità suscitati dagli oggetti di cui si occupano. E, a questo proposito, possiamo capire chiaramente perché la loro ricerca è così interessante per tutti.

Innanzitutto, nulla potrebbe essere più naturale della curiosità rivolta agli oggetti che ci circondano, ai fenomeni che incontriamo di continuo. Di solito ci abituiamo e non vi prestiamo attenzione, ma non appena la mente si risveglia dal sonno, si rivolge a loro con forza irresistibile. Se la nostra mente agisce sulla realtà, allora i fenomeni naturali devono essere inevitabilmente oggetti della sua azione; migliaia di domande sorgono irrefrenabili: cos'è il tuono? Da dove viene la neve? Come crescono le erbe e gli alberi? E così via.

Ma, oltre al fatto che questioni di questo genere si presentano continuamente alla nostra mente e attendono impazientemente una risposta, per i profani i fenomeni della natura hanno un significato diverso che per gli scienziati naturalisti; per chi non la conosce, la natura è mille volte più divertente, i suoi fenomeni appaiono miracolosi e misteriosi. Questa avida curiosità mostra la profonda importanza attribuita allo studio della natura; studiandola, ci sforziamo di risolvere l'enigma dell'essere, di comprendere l'essenza del mondo nel quale siamo inseriti, per togliere il velo alla misteriosa e formidabile Iside[1]. Questo è l'interesse principale delle scienze naturali, che non farà che intensificarsi nel tempo, nella convinzione che, passo dopo passo, la natura sarà dispiegata direttamente davanti a noi.

Comunque sia, le domande e le opinioni dei profani sono sempre interessanti e degne di un'analisi approfondita perché guardano le cose con più curiosità e divertimento degli scienziati, che spesso sono assorbiti nei loro fatti materiali. Affronteremo quindi alcuni argomenti di fisiologia[2] generale, cercando di conservare tutto il diletto della mente nel porsi certe domande per la prima volta, e di mostrare quindi come le scienze della natura soddisfino la legittima sete di conoscenza di chi, avendo sempre il diritto di porre domande, pretende risposte.

Soffermiamoci per prima cosa su una delle questioni più originali della storia naturale, molto importante dal punto di vista fisiologico. Questa scienza afferma che l'uomo è un animale. Saremo tutti d'accordo che una tale affermazione ha in sé qualcosa di strano e spiacevole. Questo è un tipico caso in cui i profani guardano alla materia in modo diverso dai naturalisti.

Per l'uomo comune la propria vita animale è qualcosa di sorprendente, un vero mistero, mentre i naturalisti, nelle loro classificazioni, accostano piuttosto freddamente l'essere umano agli animali, magari accanto ad un orangotango[3]. Dicono solo che l'uomo è il primo tra gli animali, mentre per il sentimento comune l'uomo non è affatto un animale.

La domanda è ovviamente interessante e cercheremo di dimostrare che questo mistero della natura è un vero segreto, indipendentemente da ciò che ne dicono i naturalisti. Ovviamente, l'affermazione che l'uomo è un animale può avere un duplice significato: il primo è che nell'uomo c'è tutto ciò che c'è nell'animale; il secondo è che l'uomo non è altro che un animale, anche se il migliore e il più avanzato.

Dimostreremo in seguito che quest'ultimo significato non è vero, ma, quanto al primo, dobbiamo rendere giustizia ai naturalisti per il fatto che con la loro ardua ricerca hanno affermato con fermezza questa verità e dissipato la nuvola di pregiudizi che aleggiava intorno a questo tema. In effetti, l'uomo vorrebbe molto non avere nulla in comune con gli animali, essere una creatura completamente speciale, e quindi è comprensibile che per molto tempo abbia respinto l'idea di avere in sé tutto ciò che c'è anche nell'animale. Tracce di deviazione da questo pensiero si possono trovare ancora in molti naturalisti, e quindi è tanto più importante tenerne conto.

L'uomo è un animale, e per niente speciale, non un miracolo tra gli animali, ma un animale come tanti altri. Per convincercene, prendiamo uno degli animali comuni, diciamo un cavallo, e iniziamo a confrontarlo con noi. Gli animali sono esseri animati, quindi in essi troviamo innanzitutto una struttura corporea e vari fenomeni materiali, come ad esempio la digestione, il calore corporeo, eccetera; e poi altri fenomeni chiamati mentali o psichici, come passioni, abitudini, attaccamenti, e così via.

Dobbiamo quindi confrontare un cavallo con un essere umano sotto entrambi gli aspetti. Quanto alla struttura del corpo, non c'è bisogno di alcuna conoscenza anatomica, ma solo di un po' di attenzione, per scoprirne le sorprendenti somiglianze. Consideriamo per esempio la testa di un cavallo, passiamo in rassegna tutte le sue parti, e vedremo che hanno la stessa forma, la stessa posizione, e che l'unica differenza sta nella grandezza relativa delle parti. Se passiamo al busto, poi, troveremo le stesse somiglianze nella schiena, nel petto, nell'addome e così via.

È anche facile notare come le zampe anteriori del cavallo corrispondano alle nostre braccia e le zampe posteriori alle nostre gambe. Non è nemmeno difficile vedere che alcune delle differenze, che sembrano a prima vista evidenti, sono in realtà insignificanti. Ad esempio, il corpo di un cavallo è coperto di peli, mentre quello dell'uomo è glabro. Ma cos'è la lana? E i capelli? E' noto che i piccoli peli crescono su tutto il nostro corpo, con l'unica differenza che qui sono radi e corti, mentre in un cavallo sono spessi e lunghi. E così le orecchie sulla testa di un cavallo sembrano essere in un posto diverso dal nostro; ma nemmeno questo è corretto, se notiamo che nel cavallo la sommità della testa è più piatta, ed è per questo che le orecchie sono attaccate così in alto.

Ma se decidessimo seriamente di studiare la struttura comparativa di un cavallo e di un essere umano, se fossimo veramente impegnati nell'anatomia, allora la nostra sorpresa aumenterebbe ancora di più. La rassomiglianza risulterà essere così completa e dettagliata che la differenza tra la struttura di un cavallo e quella di un essere umano apparirà completamente insignificante.

Se il cavallo mostra una tale similitudine con la costituzione dell'uomo, allora altri animali più vicini a noi dovranno presentare una corrispondenza quasi perfetta. Ovviamente mi riferisco qui alle scimmie, specialmente a quelle superiori: oranghi e trogloditi[4], che presso alcuni popoli nativi sono chiamati persino gli uomini della foresta. Dopo molte polemiche, di cui parleremo più avanti, i naturalisti hanno finalmente stabilito positivamente che la principale differenza tra umani e scimmie superiori risiede nell'alluce[5]. Negli esseri umani, questo dito non si separa dagli altri, mentre nelle scimmie è distante esattamente come nella nostra mano permettendo così alle scimmie di afferrare comodamente gli alberi con tutti e quattro gli arti. Con una differenza così piccola, è evidente che il posto dell'uomo non può essere lontano dalle scimmie.

Infatti, molti naturalisti hanno creato un gruppo speciale con uomini e scimmie, per costituire così l'ordine più alto del regno animale. In senso storico-naturale, questo è molto importante: ciò mostra che l'uomo e le scimmie sono più vicini l'uno all'altro che a tutti gli altri animali, e quindi ci sono differenze molto maggiori tra gli altri animali che tra l'uomo e le scimmie.

In effetti, conosciamo differenze profonde e sorprendenti tra gli animali; nel regno animale ci sono forme così dissimili che non sappiamo nemmeno da dove incominciare a confrontarle; ogni caratteristica di somiglianza si ottiene in questi casi con la massima difficoltà, e gli scienziati considerano tali scoperte un successo della scienza e la loro gloria.

Se l'uomo fosse un animale speciale, per così dire, un dio tra gli animali, allora potrebbe stare a una certa distanza da loro, potrebbe differire profondamente e significativamente da loro nella struttura, eppure vediamo che tutta questa differenza risiede nella posizione delle grandi dita dei piedi.

È chiaro che una tale somiglianza nella struttura si riflette anche su tutti i fenomeni materiali caratteristici degli animali. Così il suo corpo produce calore, il cuore batte e il sangue si muove, abbiamo la digestione con le varie funzioni; infine, proprio come gli animali, l'uomo partorisce, nutre la prole, cresce, invecchia e muore proprio come loro. Insomma, non c'è un singolo processo materiale in un animale che noi, in un modo o nell'altro, non possiamo trovare negli esseri umani.

Quindi, in relazione ai fenomeni materiali, l'uomo è completamente animale. Molto meno si ammette il fatto che tutte le manifestazioni psichiche dell'animale siano presenti anche nell'uomo. Ma anche qui, è sufficiente analizzare più attentamente e vedremo che non c'è una sola caratteristica, anche la più brutale, che non si possa ritrovare più o meno nell'anima di una persona. Un uomo a volte ama il sangue e assale un'altra persona con furia, e in lui possono dominare le inclinazioni innate, obbedisce spesso all'azione dell'abitudine, dell'egoismo, dell'istinto di conservazione, e così via. La vita degli animali non è complessa: procurarsi il cibo e soddisfare i bisogni sessuali è la cosa principale a cui sono dirette le loro inclinazioni. Chi può dire che queste inclinazioni siano deboli in un essere umano?

In generale, qualunque siano le manifestazioni della psiche degli animali, le consideriamo inferiori, ma allo stesso tempo crediamo che siano necessarie per le manifestazioni superiori del nostro spirito; come gli animali riceviamo le impressioni dei sensi esterni, come loro le ricordiamo, e le consideriamo necessarie per la nostra attività spirituale. I fenomeni psichici degli animali devono essere presenti anche nello spirito dell'uomo, e quindi anche sotto questo aspetto l'uomo è un animale completo.

In breve, sia nella sua struttura che nei suoi fenomeni fisici e mentali, l'uomo si conforma al concetto di animale; nella sua natura non c'è una sola caratteristica che contraddica questa affermazione, tutte le proprietà dell'animale sono completamente conservate in lui. Pertanto, nessuno zoologo coerente e preciso può dubitare che l'uomo appartenga al regno animale; un naturalista deve assolutamente trattare l'uomo come un animale.

Tuttavia il confronto con gli animali è sempre sembrato offensivo e sgradevole per l'uomo. Sin dai tempi antichi egli aborriva questi parenti stretti e non li riconosceva. Pertanto, la storia della zoologia presenta una lunga serie di tentativi di allontanare in qualche modo l'uomo dagli animali, di trovare una differenza più profonda con loro, sia nella struttura che nei fenomeni corporei e mentali. È difficile credere a quali piccole cose scienziati e non a volte abbiano attribuito importanza a questo riguardo.

Si trovò, per esempio, che l'uomo differisce da tutti gli animali per il naso prominente, per i lobi delle orecchie, eccetera. Ma la cosa più notevole nella storia della scienza, senza dubbio, è l'osso intermascellare; per molto tempo si è creduto che l'uomo non avesse questo osso, che hanno tutti gli altri animali a lui vicini. Sebbene tra centinaia di ossa, un osso sembrerebbe significare poco o nulla, la sua assenza nell'uomo era considerata un segno molto importante. Al grande poeta Goethe è attribuito l'onore di una delle scoperte più brillanti dell'anatomia: trovò infatti che anche l'uomo possiede questo osso, che si sviluppa separatamente nell'embrione e poi si unisce ad altri[6].

In relazione alle funzioni corporee, allo stesso modo, ci sono stati molti tentativi di trovare caratteristiche peculiari nell'uomo. Pensavano, ad esempio, che l'uomo differisse dagli animali nel fatto di essere onnivoro o anche nell'essere soggetto a malattie di cui gli animali non soffrono. Differenze di questo genere raggiungono spesso livelli ridicoli: Blumenbach dà in questo caso un parere divertente, secondo il quale anche l'eruttazione è un segno distintivo dell'essere umano[7].

Infine, nelle proprietà spirituali dell'uomo, si è  cercato continuamente di trovare differenze con gli animali. Si diceva, per esempio, che l'uomo non ha l'istinto, che invece guida tutti gli animali nelle loro azioni[8]. Ma questa affermazione è errata. Senza esaminare qui il concetto stesso di istinto, notiamo solo che negli animali superiori le azioni istintive si incontrano sempre meno, così che se ci fidassimo di questa caratteristica, difficilmente saremmo in grado di distinguere un uomo da un orango. Inoltre, non si può sostenere che noi non compiamo affatto azioni che chiamiamo istintive. L'amore di una madre per i bambini, l'attrazione di un sesso per l'altro, eccetera; in generale i sentimenti più elevati passano prima attraverso gli istinti.

Abbiamo messo in evidenza molti tratti con i quali abbiamo cercato invano di separare l'uomo dagli animali. Molti ritengono che comunque l'uomo dovrebbe essere considerato l'animale più alto, più nobile, più perfetto. Ma osserviamo subito che se tutto questo può distinguere in qualche modo l'uomo dagli animali, tutt'al più gli indicano solo il posto tra di loro; e il primo animale è ancora un animale. Ad esempio, il cervello umano è certamente superiore in perfezione al cervello di tutti gli altri animali. Ma in sostanza non è affatto diverso dal cervello delle scimmie. Lo stesso si deve dire per altre parti come la mano, che è quasi uguale. E, in generale, l'uomo è l'animale più bello sotto tutti gli aspetti, ma non di meno è un animale. La posizione eretta del suo corpo e il movimento rapido e agile con l'aiuto di due soli arti dipendono dalla sua struttura più snella. Non si può dire, però, che questo movimento contenga qualcosa di eccezionale: la velocità e la leggerezza dello struzzo in fuga dipendono dallo stesso motivo. Non solo le scimmie superiori, ma anche gli orsi possono camminare solo sugli arti posteriori. Nell'uomo questo stesso modo di muoversi ha raggiunto solo la perfezione, così che tutto il suo corpo si è adattato di conseguenza.

Ci sarebbe molto da dire se si considerassero tutte le caratteristiche dell'uomo che lo mettono al primo posto tra gli animali. Notiamo solo che se questi vantaggi sono sempre dello stesso tipo, allora la loro enumerazione non può soddisfare il nostro incessante bisogno di distinguerci dagli animali. In effetti, tutti questi vantaggi dimostreranno solo una cosa: che l'uomo è superiore alla scimmia, e che in una ipotetica classifica degli animali dovrebbe stare in una posizione più avanzata. Aggiungiamo qui che lo stesso vale per le capacità mentali, per le più alte manifestazioni della vita animale. Se solo si dimostrasse che nell'uomo queste capacità raggiungono un grado più alto che negli altri animali, allora questo non ci potrebbe comunque minimamente soddisfare. Ad esempio, Blumenbach sostiene quanto segue sulla superiorità dell'uomo sugli animali:

Tutti sono unanimi nel dire che la ragione è il più grande vantaggio dell'uomo. Ma se si indaga più precisamente su che cosa questo significhi, non si può fare a meno di stupirsi dell'estrema variabilità nei concetti di ragione dati dai filosofi più profondi. Penso, quindi, che possiamo brevemente ma precisamente risolvere la questione in modo pratico, dicendo che la ragione è ciò che ha portato l'uomo a diventare il signore e il re di tutti gli animali. Il suo potere è evidente, ed è anche chiaro che ciò dipende dalle sue capacità mentali. Sono queste capacità superiori che chiameremo ragione.

Significa questo, tuttavia, che esiste qualche differenza importante tra l'uomo e gli altri animali? Niente affatto. L'uomo, secondo Blumenbach, è solo il più abile, il più astuto, e quindi il più forte tra gli animali. Conosciamo molti animali che battono altri animali più forti di loro, non direttamente con la forza fisica, ma con l'astuzia e i trucchi, proprio come l'uomo è riuscito a resistere a tutti gli animali, anche quelli che lo possono uccidere, e questo, come pensa Blumenbach, grazie alla sua ragione. Blumenbach, per inciso, sbaglia anche in questo perché l'uomo non si è mai considerato il signore degli animali; il re degli animali è semmai il leone, mentre l'uomo è il re della natura. Quindi, se ci fermassimo solo alle differenze precedenti, allora dovremmo accettare che l'uomo è il primo tra gli animali e solo in questo consiste la differenza.

Per rendere ancora più chiaro il significato di questa proposizione, citeremo qui un argomento che si incontra abbastanza spesso. Studi geologici dimostrano che prima della comparsa dell'uomo, la terra era abitata da animali che non somigliavano agli attuali, i cosiddetti antidiluviani. I primi animali ad apparire sulla terra erano molto imperfetti. Gradualmente, per lunghi periodi, apparvero animali più perfetti, più vicini a quelli viventi. Alla fine apparve l'uomo. Ma immaginiamo che domani ci sia una rivoluzione geologica; le persone periranno e di nuovo la terra sarà popolata da nuovi animali, probabilmente anche superiori all'uomo. Con questa considerazione possiamo vedere chiaramente su quale base poggi il primato dell'uomo tra gli animali: è il primo animale solo perché non ci sono animali in questo momento superiori a lui, e se ci fossero, allora sarebbe semplicemente un animale tra gli altri.

Così vedono le cose molti naturalisti; sono persino orgogliosi di questi concetti come scoperte della loro scienza e considerano un pregiudizio qualsiasi opinione contraria. Tuttavia, il sentire comune si ribella ad alta voce contro una tale visione: l'uomo non si considera un oggetto tra gli oggetti della natura, un fenomeno tra i suoi fenomeni. Questo sentimento è un fatto, ed è sbagliato che i naturalisti, così rispettosi dei fatti, lo trascurino. Linneo, senza dubbio il più grande fra i naturalisti, fu ingannato dalle storie dei viaggiatori e pensò che ci fossero scimmie molto più vicine all'uomo di quelle che conosciamo. Pertanto, con suo fastidio, non riuscì a stabilire alcuna differenza tra l'uomo e la scimmia, che chiamava l'animale più stupido e disgustoso[9].

Ovviamente, da vero naturalista, non poteva dubitare che l'uomo appartenesse al primo ordine degli animali; ma voleva farne un gruppo, un genere o una specie a parte. Lo ha fatto, ma in modo errato, cioè non ha indicato una sola proprietà per cui questa specie differisce dalla vicina specie di scimmie, ma lasciò ai posteri questo compito.

Gli scienziati successivi hanno davvero trovato tali caratteristiche e, prefiggendosi il compito di esaltare l'uomo, hanno persino superato il limite, cioè hanno costituito per lui non solo una specie e un genere speciali, ma anche un ordine speciale.

Abbiamo visto che nell'uomo c'è tutto ciò per cui una creatura della natura può essere chiamata animale. D'altra parte, sentiamo che un regno speciale per noi non è sufficiente. Non guardiamo tutta la natura con gli stessi occhi? Non ci consideriamo diversi dagli altri animali quanto lo siamo dalle piante o dalle pietre? Così, la domanda rimane senza risposta, e non ci resta che riconoscere l'uomo come animale, oppure cercare per lui altre differenze, ma non le stesse per cui si distinguono i regni della natura.

Infatti, è chiaro che essendo l'uomo un animale reale, completo, i tentativi di distinguerlo che abbiamo passato in rassegna non potevano in alcun modo avere successo. Volevamo vedere se ci fosse qualcosa di speciale nel suo corpo o nelle sue funzioni corporee e mentali, ma è chiaro che non potevamo trovare nulla che non andasse d'accordo con la vita animale. È necessario, quindi, introdurre caratteristiche di una categoria diversa. Quali sono questi segni? Le pretese dell'uomo a una natura superiore, a ciò che chiamiamo spiritualità, sono giuste?

Con queste domande stiamo già andando oltre le scienze naturali. Dopo aver smontato e analizzato l'intero essere umano in tutte le sue parti, la storia naturale non ha trovato in lui nulla di speciale, misurandolo e  giudicandolo in base ai suoi metodi. Tuttavia, la correttezza dell'orgogliosa opinione che l'uomo ha di se stesso è evidente. In effetti, questo orgoglio, questa arroganza verso tutta la natura, rivolta in uguale misura verso piante e pietre, nonché verso i suoi parenti più stretti, le scimmie, è un fatto evidente e inconfutabile. Da dove viene questo orgoglio? L'uomo è un animale, ma non vuole esserlo; l'uomo è una delle creature della natura, ma si sente in opposizione alla natura fino a negarla. Come può qualcosa che esiste non essere soddisfatto di ciò che è?L'uomo ha tutto il diritto di mettersi in contrapposizione alla natura, perché ha la forza e la capacità per farlo.

Soffermiamoci su questo aspetto della natura spirituale dell'uomo e notiamo che i profani hanno in parte ragione quando si sentono a disagio ad accettare l'affermazione che l'uomo è un animale. Ma su questo si sbagliano. Credono che l'animalità sia incompatibile con la spiritualità, che ci sia qualcosa di contraddittorio in questi concetti. Sono pronti a dire che se una persona non è solo un animale, allora non è affatto un animale, ma qualcos'altro. In realtà, però, le cose vanno diversamente, perché non solo l'animalità non contraddice affatto la spiritualità, ma è vero anche che lo spirito ha bisogno del più alto grado di animalità. L'uomo è l'animale più perfetto, non perché in lui si manifesti uno spirito che sopprime le proprietà animali, ma proprio perché rappresenta la realizzazione del più alto sviluppo dell'animalità. Da qui, mi sembra, si può capire perché il riconoscimento dell'uomo come animale nella storia naturale non soddisfi i profani e li ponga davanti ad un mistero.

Senza dubbio, le scienze naturali soddisferebbero molto di più la nostra sete di conoscenza se potessero dimostrare che l'uomo non solo è l'animale superiore, ma che non può essercene uno ancora migliore, che non è solo il vertice del regno animale, la pietra in cima alla piramide, ma che in lui risiede lo scopo e l'aspirazione di tutto questo regno, che non avrebbe alcun significato senza questo suo ultimo e principale membro, proprio come una scala senza fine che non conduce a nessun tempio.

In conclusione, senza voler fare lezioni morali, non possiamo fare a meno di dire che alcune persone non sono solo animali, ma che in loro non c'è quasi nient'altro che un animale. È vero, sono sempre animali superiori, ma nulla più. Questi tristi fenomeni sono comunque la migliore conferma dell'animalità dell'uomo, anche se non l'unica. Anche il linguaggio umano è composto da suoni animali. è vero, questi suoni sono musicali, non assomigliano affatto al ruggito di qualche animale selvatico; ma, purtroppo, anche in questi suoni più musicali a volte si vuole comunicare solo un significato animale, per il quale basterebbe un'espressione più semplice, come un qualche grugnito, ma l'uomo, animale superiore, a volte fa in modo di rivestirlo con un discorso inutilmente verboso.

Se nelle nostre azioni animali vorremmo trovare sempre qualcosa di umano, dovremmo però anche smettere di vergognarci della nostra natura animale. Alessandro Magno, dicono, si sentiva umiliato dalla sensazione della fame; perché allora non si vergognava anche di vedere con la luce del sole o di sentire con le sue orecchie?

Pascal, parlando delle tribolazioni della vita umana, dice con un sogghigno: "Non stupitevi che quest'uomo così intelligente oggi parli così male: una mosca gli ronza sull'orecchio e questo basta a sconvolgere il flusso dei suoi pensieri.[10]"

Queste lamentele sono giuste? Non è come se qualcuno si rammaricasse di non poter fare calcoli matematici mentre dorme?

NOTE

  1. Iside, o Isis (trono in antico egizio) è la dea delle forze produttive della natura, custode dei segreti più intimi. L'espressione "velo di Iside" divenne particolarmente diffusa in grazie alla poesia di Friedrich Schiller "L'immagine velata di Sais".

  2. Fisiologia (Greco: φυσις - natura, nascita) - la scienza della vita di un organismo nel suo insieme e delle sue singole parti: cellule, organi, sistemi funzionali. Uno dei compiti principali della fisiologia animale e umana è lo studio del ruolo regolatorio e integrativo del sistema nervoso del corpo.

  3. Più correttamente, orangutan (malese: "uomo della foresta"), una grande scimmia che vive nel sud-est asiatico considerata in pericolo di estinzione. Attualmente, gli scimpanzé e i gorilla, che fanno parte della stessa famiglia dell'orangutan, sono considerati più vicini all'uomo (per genotipo).

  4. Troglodita (letteralmente, che vive in una grotta) è un nome obsoleto per un uomo delle caverne primitivo.

  5. L'affermazione fatta da Strakhov sull'alluce si ritrova anche nella moderna letteratura scientifica. Cfr: Lambert D “Prehistoric man. Cambridge travel guide”. L.: Nedra. 1991, p. 90.

  6. L'opera "Sulle ossa intermascellari nell'uomo e negli animali" fu scritta da Goethe nel 1789, ma pubblicata solo nel 1820, a causa della forte opposizione della maggior parte dei naturalisti. Vedi Goethes Werke. Aufbau-Verlag. Berlino, 1974.

  7. Blumenbach J.F. “Sui cambiamenti naturali nella razza umana”. 4a ed. Gottinga. 1795. p. 64. Titolo esatto dell'originale: De generis humani varietate nativa liber (prima edizione 1776).

  8. Si tratta del punto di vista dell'eminente pensatore tedesco J. G. Herder (1744-1803), che ha avuto una tuttora significativa influenza nell'antropologia filosofica occidentale.

  9. Linneo, C. “Il sistema della natura”. La prima edizione fu pubblicata nel 1735, ma la classificazione degli animali proposta da lui proposta adottò la forma definitiva nella decima edizione (1758).

  10. Cfr. Pascal Blaise. Pensieri.

2. L'animale è un organismo

Nel linguaggio naturale si dice sempre che gli oggetti sono animati o inanimati. Poiché il linguaggio riflette il pensiero, questa è la divisione che più rappresenta la differenza essenziale tra gli oggetti della natura.

E in effetti, per una visione semplice, comune, non c'è differenza tra oggetti che sia più essenziale, più importante di questa. Nella forma più grossolana, ma più immediata, questa differenza si esprime in modo tale che immaginiamo negli oggetti animati un essere speciale, un'anima, che è in qualche modo contenuta in essi, mentre negli oggetti inanimati non c'è.

È quindi comprensibile che la differenza, così netta, così profondamente sottintesa dalla mente delle persone, possa essere espressa anche nel linguaggio. Qui, però, incontriamo la stessa contraddizione tra la visione scientifica e le opinioni del profano che abbiamo visto nel precedente capitolo.

Tutti sanno che le scienze naturali non dividono gli oggetti in questo modo. Per esempio, l'antica divisione dei corpi della natura in tre regni è stata considerata a lungo qualcosa di indiscutibile e naturale quasi come i dodici mesi dell'anno o i sette giorni della settimana. Questa ripartizione si discosta completamente da quella spontanea, e costituisce davvero un passo verso l'attuale visione scientifica. Linneo formulò la divisione in tre regni nella stessa forma aritmetica con cui esprimiamo la differenza tra animali e altri oggetti, e cioè, crediamo che un animale sia, per così dire, un composto di anima e corpo. Linneo ha detto: le pietre crescono; le piante crescono e vivono; gli animali crescono, vivono e sentono.

Pertanto le piante hanno una proprietà che le pietre non hanno e negli animali una nuova caratteristica viene aggiunta alle proprietà delle piante. Una concezione del genere, mantenuta per lunghissimo tempo, si è rivelata però alla fine inutilizzabile ed è stata sostituita con una nuova classificazione che rappresenta uno dei più importanti successi nella conoscenza della natura e a questo hanno contribuito numerose scoperte.

Si è trovato, infatti, che animali e piante sono incomparabilmente più vicini tra loro di quanto si credesse[1]. Quanto più accuratamente venivano studiati, tanto più si rivelava la loro affinità, e fu stabilita quindi una nuova suddivisione in cui tutti i corpi della natura iniziarono a essere distinti in organici, animali e piante, e inorganici, minerali[2]. Questa ripartizione si discosta ancora di più dal quella che le persone esprimevano nella loro lingua. In effetti, gli animali qui non solo non hanno un regno speciale separato da quello delle piante e dei minerali, ma si fondono con uno di questi e formano un tutt'uno con le piante, a significare che, prima di tutto, sono esseri organici. La contrapposizione qui è evidente, eclatante. Chi ha ragione, chi ha torto? La scienza o il comune sentire, quello del profano?

Anticipiamo la risposta, che sarà molto simile a quella del capitolo precedente: gli animali sono sì corpi organici, ma ci sono caratteristiche che li rendono superiori in grado alle piante e ai minerali, così come l'uomo è superiore a tutti gli altri corpi della natura. Con questi elementi distintivi accadde la stessa cosa vista con le caratteristiche dell'essere umano: non hanno cercato le differenze tra animali e piante dove ci sono, e quindi non hanno trovato nulla.

Ma cosa dicono le scienze naturali? Quali sono le caratteristiche degli animali e, insieme a loro, degli esseri umani per essere messi nella stessa categoria delle piante? Ebbene, queste caratteristiche sono solo materiali: non importa come consideriamo animali e piante dal lato della loro materialità, non troveremo nessuna differenza speciale. Ad esempio un famoso naturalista ha affermato in una conferenza pubblica che non c'è differenza essenziale tra un pino e un cavallo.

Quali sono le loro somiglianze? Cercheremo di dirlo nel modo più chiaro possibile. Consideriamo prima la composizione chimica e poi l'anatomia. Per quanto riguarda la prima, risulta che sia le piante che gli animali, sia il pino che il cavallo, sono simili nelle loro parti principali costituenti. Sono composti principalmente da ossigeno, idrogeno, carbonio e azoto.

Per vedere quale importante affinità mostri questa identica composizione, bisogna notare che la composizione dei corpi inorganici è incomparabilmente più varia; ci sono un'ottantina[3] di sostanze semplici che la chimica attualmente considera come elementi base, come lo sono l'ossigeno, l'idrogeno, il carbonio e l'azoto per i composti organici. La combinazione di questi, e non di altri elementi, ha un significato nei corpi organici profondo, comune a piante e animali. Infatti l'atmosfera terrestre, lo strato di gas che avvolge il globo, è composta dagli stessi elementi. Molti gas sono noti alla chimica; si può anche supporre che molto verosimilmente ci sia stato un tempo in cui tutta la sostanza della terra, tutta la sua massa, fosse allo stato gassoso. Pertanto, è molto interessante notare che alla fine dello sviluppo del globo, quando sono state rilasciate parti solide e liquide, il guscio gassoso rimanente abbia ricevuto proprio questa composizione specifica[4].

È costituito da ossigeno, azoto, vapore acqueo, che a sua volta è composto da idrogeno e ossigeno, e da anidride carbonica, cioè da un composto di carbonio e ossigeno. Questa composizione dell'atmosfera si riflette esattamente negli esseri organici. Verissima è l'espressione del famoso chimico Dumas: “In relazione”, dice, “ai veri costituenti organici degli animali e delle piante, bisogna dire che queste creature sono prodotte dall'aria, non sono altro che aria condensata"[5].

Vediamo quindi che, in termini chimici, piante e animali sono essenzialmente simili tra loro e differiscono significativamente dal resto, la massa minerale del globo.

Ma andiamo oltre. In relazione alla struttura, alla forma e alla disposizione delle parti, animali e piante presentano una grandissima somiglianza. A prima vista, il pino e il cavallo sembrano non avere nulla in comune; ma notiamo, in primo luogo, che entrambi i corpi consistono di parti dissimili. Prendiamo, per esempio, un pezzo d'oro, una pepita trovata nella sabbia; in essa tutte le parti sono uguali, tutte sono d'oro; questa è una proprietà caratteristica dei minerali. Invece, nel pino troviamo la corteccia, il legno, gli aghi, le pigne, eccetera; in un cavallo si possono distinguere la pelle, le ossa, la testa, le zampe, e così via. Ognuna di queste parti può essere a sua volta costituita da molte altre, tutte ugualmente complesse o semplici ma diverse tra loro, che chiamiamo organi.

Ma non è tutto. Se l'eterogeneità delle parti può sembrare una relazione troppo generale e astratta, numerosi e approfonditi studi hanno trovato somiglianze incomparabilmente più significative e essenziali.

Nel 1839 fu pubblicata a Berlino una piccola opera di Schwann con il titolo: “Studi microscopici sulla sulla somiglianza nella struttura e nella crescita di piante e animali”. Questo saggio espone una delle più grandi scoperte del nostro secolo: tutti gli animali e tutte le piante sono composti da piccoli organi omogenei. Questi organi microscopici sono chiamati cellule.

Sono costituiti da una bolla piena di liquido che racchiude come una pallina, il nucleo {Questa dottrina della composizione essenziale della cellula non è stata conservata fino ad ora. Ma questo non cambia l'essenza della teoria.}. Gli animali e le piante sono perciò costituiti da cellule o da organi in cui tali cellule vengono trasformate; le loro trasformazioni sono molto diverse: molto spesso si allungano e diventano fibre;  spesso un'intera linea si fonde con un'altra, e così via. Ma non ci interessa ancora tutto questo; la cosa principale è che tutti gli organismi, sia animali che vegetali, hanno gli stessi piccoli organi alla base. Più è grande l'animale o la pianta, più cellule contiene il suo corpo, più è piccolo e meno celle ha, anche una sola. Analogamente, se un animale o una pianta, un cavallo o un pino crescono, aumenta anche il numero di cellule che contengono, e tutti partono da una sola cellula[6].

Questa importantissima scoperta la dobbiamo dunque a Schwann. Abbiamo così una base comune per la struttura di tutti gli organismi, la stessa in tutto il regno animale e vegetale. È anche molto interessante notare che inizialmente gli scienziati pensavano di trovare una differenza significativa tra cellule animali e cellule vegetali; ma più va avanti la ricerca, più questa differenza scompare[7].

Tutto questo vale, naturalmente, solo per la struttura microscopica; per quanto invece riguarda le forme esterne dell'intero organismo o le forme degli organi più grandi e complessi, a prima vista sembra che non si possa trovare alcuna somiglianza tra animali e piante. E, tuttavia, con uno studio più accurato, si scopre che le stesse forme si ripetono in entrambi gli organismi.

Infatti, la forma lunga e arrotondata caratteristica del tronco di un albero e dei suoi rami si ritrova in molte parti animali, ad esempio nelle zampe, nei capelli, nelle corna, nei tentacoli e così via. Ci sono interi animali che assomigliano moltissimo ai funghi, altri sono quasi uguali ai fiori, e anzi un tempo erano considerati fiori o piante, come i coralli[8].

Di solito, però, gli animali presentano un diverso tipo di forma, quella simmetrica, dove si possono distinguere i lati destro e sinistro, e questi lati, del tutto simili tra loro, sono la ripetizione speculare l'uno dell'altro. Ma anche queste forme sono molto comuni nelle piante; ogni foglia ha due metà uguali; ci sono molti fiori che hanno una simmetria laterale, come le violette, i fiori di pisello, i fiori di acacia, e altri. I fiori di pisello nella loro forma ricordano leggermente una farfalla o una falena, e quindi i botanici chiamano tutte le piante che hanno fiori simili falene. Allo stesso modo, ci sono fiori con le metà destra e sinistra uguali, che ricordano grosso modo la figura di un volto, e vengono chiamate larve.

Molti altri esempi potrebbero essere citati per dimostrare la somiglianza delle forme di piante e animali, per esempio certe foglie sembrano davvero zampe di uccelli acquatici, come quelle delle anatre.

Quindi, sia nella struttura interna che nelle forme esterne di animali e piante c'è un'innegabile somiglianza che possiamo apprezzare ancora di più se notiamo che i corpi inorganici, i minerali, hanno forme di tipo completamente diverso. Nel loro massimo sviluppo, i minerali sono limitati a superfici piane e sono i cosiddetti cristalli. Per quanto riguarda la struttura interna, i cristalli sono, in senso stretto, omogenei, cioè, come nel vetro o nell'acqua, non c'è divisione in parti[9].

Ma, per quanto grande possa essere la somiglianza di piante e animali nella composizione chimica e nella struttura, la somiglianza nei cambiamenti che si verificano in entrambi è ancora più importante e sorprendente. Sia gli animali che le piante sono, in primo luogo, creature in costante cambiamento. La sostanza di cui sono composti è, per così dire, in fermentazione, incessantemente distrutta e rinnovata. Dagli oggetti che li circondano assorbono determinate sostanze ed emettono varie sostanze da se stessi. Così, per esempio, gli animali prendono il cibo con la bocca, le piante con foglie e radici. In breve, ogni organismo è giustamente paragonato ad un ciclo in cui la materia cambia continuamente, ma la forma rimane invariata. Si può anche paragonare un organismo ad una cascata, o meglio ancora ad una fontana, in cui l'acqua espulsa assume forme a volte molto complesse. Le particelle d'acqua si sostituiscono prontamente l'una con l'altra, in ogni momento sono diverse, ma la forma generale rimane, con la stessa lucentezza per gli occhi e lo stesso suono per le orecchie.

   Ma questi vortici o cascate, negli organismi, producono anche una serie di fenomeni speciali, specificamente organici. Questi fenomeni formano un intero circolo chiuso. Ogni animale e pianta, in primo luogo, nasce, cioè prima fa parte di un altro organismo, poi si separa e diventa indipendente. Quindi si sviluppa, cioè, non solo aumenta di dimensioni, ma subisce anche una serie di trasformazioni e cambiamenti, gli stessi che avvengono anche nel corpo della madre. Ad un certo stadio di sviluppo ogni organismo diventa capace di riprodursi, cioè inizia a separare parti da se stesso come organismi indipendenti ad esso simili. Infine ogni organismo, avendo completato il suo sviluppo e la sua riproduzione, lascia il posto ad una nuova generazione e invariabilmente muore.

Vediamo che qui, a grandi tratti, è raffigurato ciò che siamo soliti chiamare vita, nel senso più generale del termine. Non abbiamo qui considerato la differenza tra i sessi maschile e femminile, sebbene anche questa differenza possa essere considerata quasi una proprietà comune degli organismi[10].

Queste sono le caratteristiche della massima importanza che legano tra loro animali e piante. Immaginiamo, ad esempio, che dopo una vita lunga e movimentata una persona muoia, o che nasca e cresca un bambino, sul quale il padre e la madre, come è naturale, ripongono entusiastiche speranze, e consideriamo che questo sia il compimento della stessa legge a cui obbedisce ogni erba, ogni minuscolo insetto. Possiamo allora capire quanta profondità di significato ci sia in quei tratti comuni della vita.

E l'uomo, come ogni animale e ogni pianta, è prima di tutto un essere organico; la legge principale della sua vita è la stessa di tutti gli organismi; ma vediamo che alto significato ha raggiunto in lui questa legge! Non c'è dolore più profondo di quello per la perdita di una persona cara, e non c'è gioia più grande di quella di una madre che vede le meravigliose qualità dei suoi figli. Ma questo dolore e questa gioia della vita umana sono solo l'espressione più alta di quella vita che è comune a tutte le piante e a tutti gli animali, in breve a tutta la natura organica. E nella natura la morte spietata regna ovunque e sempre nuova vita fiorisce.

Ne parleremo più dettagliatamente più avanti, ma per ora vogliamo solo sottolineare la particolare importanza di certi fenomeni che si verificano negli organismi, perché proprio in questi fenomeni si trovano somiglianze tra piante e animali, e più  importanti sono queste somiglianze, più importanti sono i fenomeni.

Dopo questa breve disamina, dovrebbe essere abbastanza chiaro per tutti che nelle caratteristiche che abbiamo considerato non si possa trovare alcuna differenza essenziale tra animali e piante. Ma poiché i naturalisti hanno come oggetto di ricerca il lato visibile e materiale della natura, è qui che hanno iniziato a cercare le differenze. Pertanto, non sorprende affatto che i loro tentativi siano stati molto infruttuosi e li abbiano portati ad uno strano smarrimento. "A prima vista", dice van der Hoeven, "sembra facile distinguere un animale da una pianta, e anche la persona più ignorante pensa di vedere chiaramente la differenza. Ma è l'ignoranza la ragione per cui questa differenza sembra così evidente" {Handbuch der Zoologie, J. van der Hoeven.}[11].

Infatti, ricerche precise e dettagliate hanno dimostrato che nessuno dei tratti che abbiamo indicato può rappresentare un confine netto tra animali e piante. Lo stesso van der Houven, per esempio, non è riuscito a trovare una più chiara differenza tra animali e piante, se non che i primi hanno tutti una bocca e uno stomaco, e le seconde no.

Questo però non è esatto: ci sono creature microscopiche che, sotto ogni aspetto, dovrebbero essere considerate animali, e che, però, non hanno bocca. Ma supponiamo anche che la distinzione di van der Houven sia corretta, e che in effetti tutti gli animali abbiano una bocca, mentre le piante no. Ci sarebbe qualcosa di importante, di essenziale in questa differenza? Sarà solo una piccola differenza nella forma, nella struttura, e abbiamo visto quanto in generale le piante somiglino strettamente agli animali sotto questo aspetto.

Nonostante il fatto che il cavallo abbia una bocca e uno stomaco, e il pino no, queste due creature dal punto di vista anatomico, secondo la loro organizzazione intrinseca, sono estremamente simili tra loro ed estremamente diverse da qualsiasi cristallo.

Ancora più labili sono altre differenze. In tempi recenti, il botanico Schleiden ha insistito sulla distinzione tra animali e piante. Riteneva addirittura del tutto assurdo dedurre qualsiasi conclusione sulla base dell'analogia tra piante e animali. Sarebbe troppo lungo analizzare qui le sue opinioni su questo argomento. Notiamo solo che è stato per molto tempo portato come dimostrazione della essenziale differenza tra piante ed animali il fatto della separazione tra i sessi.

Fu Linneo a distinguere per primo il sesso nelle piante: alcune parti del fiore le considerava femminili, altre maschili. Schleiden si oppose fermamente a questa posizione, che in realtà non fu all'inizio pienamente confermata. Ma questa lunga e aspra controversia, che rese famoso Schleiden, si concluse con il fatto che la sua opinione, che in un primo momento sembrava predominare, crollò a seguito di nuove osservazioni: si scoprì infatti che le piante hanno una misteriosa separazione dei sessi.

L'argomento che abbiamo toccato è piuttosto ampio. Potremmo impegnarci in un esame dettagliato dei fenomeni generali della vita organica, passando in rassegna le diverse direzioni che prendono negli animali e nelle piante, e apprezzare quindi l'importanza delle caratteristiche che più o meno distinguono i due regni organici. Ma ciò ci porterebbe troppo lontano; quanto è stato detto è sufficiente ad inquadrare correttamente la questione.

La domanda è precisamente: dove cercare le proprietà essenziali degli animali? Siamo sicuri in anticipo che queste proprietà esistono, non per niente chiamiamo gli animali esseri animati. E che questi segni siano assenti sia nella struttura fisica che nei fenomeni materiali, è stato dimostrato dalle scienze naturali.

In effetti, le caratteristiche essenziali degli animali non sono materiali, non sono organiche. Già Linneo, come abbiamo visto, distingueva gli animali dal fatto che sentono, e nelle ultime edizioni del suo “Sistema di Natura” aggiungeva: e si muovono volontariamente. Queste due peculiarità, infatti, sono la migliore espressione di ciò che chiamiamo animazione. Un animale, come ogni altro corpo, è influenzato dagli oggetti e dai fenomeni che lo circondano; però non si limita a subirli, ma allo stesso tempo ha delle sensazioni. Come qualsiasi altro corpo, un animale resiste all'influenza che viene esercitata sul suo corpo, ma lo fa intenzionalmente. Quindi, in ciascuno dei segni distintivi di Linneo, dobbiamo distinguere due tipi di fenomeni, uno puramente materiale e l'altro immateriale. è normale che tutti i corpi siano esposti a influenze esterne, ma solo gli animali possono avere sensazioni. Allo stesso modo, tutti i corpi mostrano resistenza, ma solo gli animali agiscono volontariamente.

La sensazione e la volontarietà sono fenomeni immateriali; vederli o osservarli in qualsiasi modo è impossibile. Li riconosciamo solo perché noi stessi siamo animali, noi stessi sentiamo e agiamo volontariamente.

Tutto questo può essere dimostrato da molte considerazioni. È chiaro, ad esempio, che i naturalisti dovevano prestare tutta l'attenzione al lato materiale dei fenomeni e cercare in esso segni di sensazione e intenzionalità. Ma, naturalmente, i loro tentativi non hanno avuto successo. Ad esempio, alcuni pensavano che la capacità di provare sensazioni fosse sempre accompagnata dalla presenza di nervi, e sostenevano che le piante fossero insensibili per il fatto che, appunto, non hanno nervi. è difficile, tuttavia, considerare solida una tale prova; in primo luogo, non c'è motivo di credere che le proprietà dei tessuti vegetali e la capacità di provare sensazioni siano incompatibili; e, in secondo luogo, perché la sensazione è qualcosa di interiore, invisibile. Potrebbe sembrare molto più facile riconoscere indizi di volontarietà nell'attività di qualche essere; ma anche qui i segni esteriori non mostrano nulla. L'animale urla, si muove in direzioni diverse, ma anche molte piante possono emettere suoni e muoversi.

Facciamo un esempio specifico per chiarezza: c'è una pianta di tarassaco molto comune che porta grandi fiori gialli, ha molte foglie e all'interno c'è uno stelo vuoto, da cui fuoriesce linfa bianca. Nessuno apprezza particolarmente questi semplici fiori, che però sono molto interessanti. Quando il sole tramonta e cala l'imbrunire, tutte le loro foglie si ergono e si avvicinano strettamente l'una all'altra, e la pianta così si chiude. Ma al mattino, quando la rugiada si asciuga, li troviamo rivolti tutti verso il sole, brillanti di freschezza con tutta la vivacità dei loro colori.

Ecco i movimenti che, per quanto semplici, ricordano molto quelli di un animale[12]. Non si nota anche nella vita degli animali, sia inferiori che superiori, la stessa periodicità e regolarità? Il sole sorge, e gli uccelli iniziano a cantare; arriva il caldo, e smettono di volare; viene la notte, e gli occhi, che hanno ricevuto avidamente le impressioni della luce per tutto il giorno, si chiudono come questi fiori gialli. Perché non dobbiamo pensare che quando un fiore si chiude, lo fa perché ha voglia di chiudersi? Che al mattino, quando si apre, non senta la luce del sole? Se giudichiamo solo dai movimenti, allora non c'è motivo di negare che sia il sentimento che li induce.

E in generale, il movimento di per sé non dimostra nulla; per un dato movimento, nessun matematico può stabilire se esso fosse accompagnato dal desiderio o meno; allo stesso modo, nessun fisico può dire, da un dato suono, se fosse accompagnato da dolore o da piacere, o se provenisse da un oggetto inanimato.

Pertanto, quando formuliamo giudizi sul sentimento e sul desiderio negli animali, così come sull'attività spirituale nelle persone, possiamo basarci solo per analogia rispetto a noi stessi, e nessuna ricerca potrà mai portare all'osservazione diretta dei fenomeni mentali[13].

Come miglior prova di queste affermazioni, possiamo citare il fatto che sono esistite persone, e per di più intelligentissime, che non riconoscevano né sentimenti né volontarietà negli animali, ma li consideravano semplicemente delle macchine. Così pensava, ad esempio, il grande filosofo Cartesio[14]. Schleiden, addirittura, sosteneva che tutti i movimenti degli animali venissero eseguiti senza alcuna sensazione e volontà, proprio come batte il cuore o lo stomaco macina il cibo. E, in effetti, non si può provare né questa posizione, né il suo contrario.

È impossibile non vedere che, nonostante tutti i suoi studi nelle scienze naturali, Schleiden è un grande idealista e tratta i fenomeni in modo troppo unilaterale. È strano non credere che il cane guaisca di dolore e abbai di rabbia; certo, questa rabbia e questo dolore non possono essere né visti attraverso un microscopio, né trovati sotto forma di una sostanza speciale, attraverso la scomposizione chimica del cervello; ma dal fatto che questi sono fenomeni immateriali, invisibili, ne consegue che debbano essere negati?

Il vero spirito della scienza naturale consiste in una certa riverenza per i fenomeni della natura, che non consente la loro arbitraria interpretazione. La natura è oggetto di ricerca da parte dell'uomo, ma contemporaneamente è la migliore guida delle sue speculazioni. La convinzione che il significato dei suoi fenomeni sia lo stesso dell'essenza del pensiero umano è la migliore protezione contro molti abbagli. Alcuni sono troppo immersi nella speculazione e non vogliono vedere nemmeno le evidenze più ovvie; altri hanno paura della speculazione, come se questa avesse il potere di strapparli via dalla Terra e portarli da qualche parte oltre le nuvole. Ma la verità è una e non ha paura né dei fatti né delle speculazioni.

NOTE

  1. Prima di tutto, questa vicinanza è dovuta alla struttura cellulare comune a piante e animali, che è stata stabilita da T. Schwann e M. Schleiden (Robert Hooke ha indicato la struttura cellulare delle piante anche prima).

  2. Minerale (dal latino minera: minerale) - in senso moderno, un corpo naturale formato a seguito di processi fisico-chimici nelle profondità e sulla superficie della Terra. Nel dizionario di V. Dahl, un minerale è definito come un corpo in cui non esiste una struttura organica, cioè non ci sono organi o "strumenti" di attività vitale.

  3. "Fondamenti di chimica" di D. I. Mendeleev ha conosciuto  tredici edizioni in Russia, dalla prima nel 1869-1871, fino all'ultima del 1947. Una forte "accelerazione" nella scoperta di nuovi elementi si verificò grazie all'uso dell'analisi spettrale nello studio della composizione chimica dei corpi.

  4. Secondo i concetti moderni, la Terra si è formata circa 4,7 miliardi di anni fa da una "nube di gas e polvere" nel cosiddetto sistema "protosolare".

  5. Dumas J. B. “Esperienza sulla composizione chimica degli esseri organici”. Jean Baptiste Dumas scrisse questo lavoro insieme al chimico agrario J.B. Boussingault e lo pubblicò nel 1841.

  6. Le forme di vita non cellulare sono i virus (dal latino virus - veleno), che però si riproducono solo all'interno delle cellule viventi.

  7. Secondo la moderna citologia (la scienza che studia le cellule), la principale caratteristica strutturale di una cellula vegetale, al contrario di una cellula animale, è la presenza di un denso guscio di cellulosa.

  8. I "coralli viventi" sono classificati nella biologia moderna in colonie di polipi e meduse che nuotano liberamente.

  9. Questa affermazione di Strakhov, ovviamente, non corrisponde alle idee moderne secondo cui la corretta geometria dei cristalli è dovuta alla disposizione ordinata dei loro atomi. D'altra parte, va ricordato che i metodi della cristallografia geometrica consentono di dare una descrizione completa della forma dei vari cristalli senza ricorrere all'ipotesi atomistica. Usando questi metodi, il mineralogista e ingegnere russo (di origine finlandese) Axel Vilgelmovich Gadolin dedusse nel 1867 tutti i 32 gruppi di simmetria cristallina. Strakhov mostrerà la sua comprensione delle ragioni della corretta forma dei cristalli più avanti nel libro.

  10. La mancata separazione dei sessi (e la cosiddetta riproduzione unisessuale) si nota in alcuni organismi inferiori (alcuni molluschi, vermi, ecc.).

  11. Van der Houven J. "Textbook of Zoology". Vol.1 - Strakhov cita un libro di uno scienziato olandese in una traduzione tedesca del famoso teorico del romanticismo Friedrich Schlegel.
  12. I movimenti delle piante, simili a quelli descritti da Strakhov, erano chiamati tropismo (dal greco τρέπομαι (tré pomai) -  "mi volgo" ).

  13. La posizione secondo cui possiamo concludere che esiste una vita spirituale (e, più in generale, interna, soggettiva) negli altri esseri "solo per analogia, rispetto a noi stessi" occupa un posto importante nei problemi scientifici e filosofici moderni. In particolare, riguarda direttamente la questione dei limiti delle scienze naturali nello studio del "fenomeno della vita". Come scrive il moderno scienziato americano Tom Setl, la fisica e le altre scienze naturali "non lasciano spazio al potere della soggettività" e quindi non sono in grado di comprendere l'essenza della vita come "soggettività spontanea e autonoma".

  14. La famosa visione di Cartesio degli animali come meccanismi ("orologi") è espressa più chiaramente nel Discorso sul metodo, alla fine della quinta parte.

3. Gli organismi sono oggetti materiali

È raro trovare un nuovo libro in cui la parola organismo non sia usata in modi diversi. Si parla di corpo del linguaggio, l'organizzazione dello stato, organizzare una società, un'istituzione, connessione organica di parti, sviluppo organico, eccetera; queste sono le espressioni che sono diventate comuni nella letteratura mondiale e nel linguaggio colloquiale che non erano usate affatto prima.

   Questo è un fenomeno importante e curioso perché nuove parole significano sempre nuovi concetti. Sappiamo quanto sia difficile per le persone non molto istruite usare parole straniere nei propri discorsi; la difficoltà non sta nel pronunciarli o nel memorizzarli, ma è proprio difficile sviluppare in se stessi i concetti a cui corrispondono. Nuovi concetti significano nuove forme e modi di pensare; le generazioni umane non pensano allo stesso modo e il linguaggio riflette inevitabilmente su di sé un cambiamento di pensiero.

   E qual è il cambiamento da ascrivere agli incessanti riferimenti agli organismi? Sembrerebbe che questo onore debba appartenere alle scienze degli organismi: zoologia, botanica e fisiologia; ma è facile vedere che in realtà non è così. I motori più importanti di queste scienze, i famosi naturalisti, non si sono soffermati sullo sviluppo di concetti generali sugli organismi, o, almeno, non hanno guardato agli organismi dal punto di vista che indicano le espressioni che abbiamo citato. Vediamo, ad esempio, come Cuvier definisce l'organismo:

"Un organismo è una struttura speciale dei corpi, un tessuto a maglie costituito da fibre e placche più o meno flessibili, negli intervalli dei quali vi sono dei fluidi" {Le Regne Animal, T. I. P. 13.[1]}.

Non è una definizione strana? Quasi nessuno potrebbe ricavarne, ad esempio, una spiegazione per comprendere il significato di organizzazione dello Stato.

   Si potrebbero citare molti esempi del genere. Ma la prova migliore che la scienza naturale non ha sviluppato i concetti relativi agli organismi, è che fino ad oggi i naturalisti sono per la maggior parte estranei a queste nozioni e, quando devono darne una definizione, ricorrono a parole di impatto sonoro, ma di scarso significato.

   Ad esempio, se chiediamo loro che cos'è la connessione organica, o la connessione delle varie parti dell'organismo, capiamo subito che molti, a parte i collegamenti delle varie parti, a parte le relazioni fisiche e chimiche, non conoscono nessun altro tipo di connessione.  Conoscono cioè la connessione meccanica, ma non quella organica; un tutto organico per loro non è altro che una semplice connessione meccanica di molte parti.

   Quindi non sono stati i naturalisti ad elevare i concetti di organismo a idee generali, non li hanno resi parte permanente del nostro pensiero. Certo, le loro opere esprimevano l'attrazione della mente umana verso la natura, ma lo sviluppo dei nuovi concetti di cui parliamo non deve essere attribuito ad essi, ma alla filosofia. Kant, Schelling, Hegel, questi sono coloro che ci spiegano le espressioni comunemente usate sugli organismi. La diffusione di queste espressioni rivela l'influenza impercettibile, ma inevitabile e onnipotente, della nuova filosofia naturale, la filosofia che i naturalisti di solito disprezzano[2].

   Anche qui, inevitabilmente, arriveremo di nuovo ad una contraddizione: le scienze naturali hanno i loro concetti speciali sugli organismi che, nella loro unilateralità, non convergono con quelli generalmente compresi.

   Che cos'è un organismo? Se traduciamo questa domanda nel linguaggio solitamente usato nelle scienze naturali, possiamo esprimerla in questa forma: in che cosa i corpi organici differiscono da quelli inorganici? In che modo le piante e gli animali differiscono dagli altri corpi della natura? La stessa domanda acquista una forma ancora più interessante se si nota che i corpi organici sono considerati vivi, e in questo si oppongono al resto del mondo, la natura inerte. Giustamente chiamiamo vivi alberi e fiori, proprio come gli animali. Di conseguenza, la domanda su cosa sia un organismo è allo stesso tempo la domanda: cos'è la vita?

   Quali alte e importanti questioni vengono risolte dalle scienze naturali? È comprensibile quell'entusiasmo, quella sete di conoscenza con cui molti iniziano a studiare queste scienze; ma è inevitabile la delusione se viene tradita la speranza di acquisire una saggezza profonda. Ci soffermiamo spesso su questioni generali e sostanziali, perché vogliamo esporre queste scienze nella loro vera luce. Non sarebbe molto difficile abbondare di dettagli, numeri, esperimenti, descrizioni di strumenti, eccetera. Ma questo porterebbe solo al fatto che, come dice il proverbio tedesco, la foresta sarebbe invisibile guardando i molti alberi.

Ci sono molti scienziati che sono così trascinati da questi metodi scientifici da dimenticare completamente gli obiettivi più elevati della scienza e, immergendosi nella raccolta di fatti, la considerano l'unico scopo della scienza. È anche peggio con i profani; ascoltando un professore o leggendo un libro pieno di ogni sorta di dotti dettagli, immaginano costantemente che dietro queste piccole cose si celi la più grande saggezza, e sono pronti a lasciarsi trasportare nei giudizi più errati solo perché gli sono stati offerti così facilmente. Per molti è sufficiente dire: i fisiologi dicono così e così, e ci crederanno, ma se chiedessero un resoconto del perché riconoscono l'autorità dei fisiologi, allora sarebbero sommersi da infiniti dettagli di anatomia, miriadi di esperimenti, mucchi di batterie galvaniche e altri dispositivi, vivisezioni, osservazioni vecchie di secoli, eccetera. Guardano idealmente la scienza e non possono immaginare che con tutti questi mezzi e con tutta la severità dei metodi scientifici, i fisiologi osino parlare di ciò che non sanno, e giudichino avventatamente come i comuni mortali.

Vita: che parola misteriosa, potente!

        L'abisso delle stelle nel cielo
        L'abisso della vita nel mondo[3]
        

Vediamo come i naturalisti intendono la vita, quale interpretazione danno a questa parola così significativa.

Per puntare direttamente al punto da cui i naturalisti guardano la vita, leggiamo la definizione di Cuvier, il più grande naturalista dell'Ottocento e un grande maestro del rigore e della chiarezza espressiva.

La vita - dice - è un ciclo più o meno rapido, più o meno complesso, la cui direzione è sempre la stessa, e che porta costantemente in sé particelle dello stesso tipo; queste particelle entrano ed escono continuamente dal ciclo, così che la forma dei corpi viventi è per loro più essenziale della loro sostanza.

Solo questo, e nient'altro? Sì, nient'altro. La circolazione delle particelle è per lui l'essenza più profonda della vita.

Fino ad allora - continua Cuvier - finché questo movimento continua, il corpo in cui avviene è un corpo vivo. Quando il movimento si ferma irrevocabilmente, il corpo muore.

Questa è davvero l'opinione dei naturalisti. Esaminando i corpi organici dalla loro materia, dal loro lato esteriore, non hanno trovato, non hanno potuto trovare in questi corpi un segno più importante, più significativo di questo cambiamento continuo di materia pur mantenendo la stessa forma. è chiaro che, sviluppando coerentemente questa direzione, si arriva necessariamente ad una concezione della vita completamente materialistica, cioè una visione secondo la quale la vita consiste negli stessi fenomeni della materia che si verificano nella natura inerte. Se l'essenza della vita consiste nel movimento, in un ciclo, allora, ovviamente, la vita non può essere rigorosamente distinta dai movimenti di natura inorganica.

Immaginiamo, per esempio, una cascata e accanto ad essa un albero, per esempio una quercia. Dal punto di vista di molti naturalisti, come il famoso botanico Schleiden, non c'è differenza significativa tra questi due soggetti. Una quercia è la stessa cascata, solo incomparabilmente più complessa e frammentata, tanto che smontare i suoi più piccoli rivoli è una questione che richiede grandi sforzi per la mente umana, mentre i fenomeni di una cascata sono molto più facili da capire.

La cascata è formata solo da acqua e aria; l'acqua vi scorre costantemente dall'alto, assume una certa forma sotto l'influenza del profilo della scogliera e sotto l'azione della gravità; produce bolle e schizzi a contatto con l'aria e, infine, ricade o si disperde sotto forma di vapori.

Nella quercia si verificano gli stessi fenomeni, solo con maggiore complessità. È circondata da molte sostanze, come aria, acqua e il suolo in cui sono immerse le sue radici. Queste sostanze entrano in essa sotto l'azione di molte forze, affinità chimica, capillarità, endosmosi, eccetera. Muovendosi in molti modi e collegandosi tra loro all'interno della quercia, assumono varie forme anche articolate come ad esempio quelle di foglie, ghiande, e così via. Ma non permangono in queste forme; sotto l'influenza continua delle stesse forze, diventano gas che volano nell'aria, emergono dalle radici come parti inutili, cadendo a terra come cortecce secche e foglie sbiadite.

Non si può negare che la somiglianza sia completa. Come le bolle si formano nella schiuma di una cascata, così sull'albero appaiono le foglie; la bolla scoppia e la foglia cade e, marcendo, si disperde in gas. Tutta la differenza sta nella durata e nella complessità dei processi.

Questo è il modo in cui la scienza moderna comprende questa materia; non considera alcuna differenza essenziale tra i cicli dell'uno e dell'altro tipo. Nel corpo degli animali e dell'uomo c'è anche un movimento continuo, più veloce e più intenso che nelle piante. Uno dei compiti principali della fisiologia moderna è proprio quello di scomporre questo movimento nei suoi elementi costitutivi, cioè nei fenomeni meccanici, fisici e chimici che lo compongono. Questo compito viene gradualmente risolto anche grazie alle molte e continue brillanti ricerche e scoperte.

I materialisti, cioè gli scienziati che credono che l'essenza della vita risieda in questo movimento, accolgono con trionfo ogni scoperta del genere. Ogni giorno, dicono, i fenomeni che avvengono nei corpi viventi si riducono alle leggi della natura inerte, ai fenomeni della materia in generale; negli organismi non c'è altra attività che quella di una comune sostanza.

Tale conclusione sarebbe perfettamente valida se solo l'essenza della vita consistesse veramente nel movimento di cui stiamo parlando, ma i materialisti dimenticano costantemente di dimostrarlo.

In effetti, è davvero così? Gli animali e le piante sulla terra sono come le nuvole nel firmamento, e la vita, non solo nella poesia, ma nella realtà, è come un ruscello o una cascata?

Tralasciando la vita razionale e morale dell'uomo, non parlando anche della vita degli animali e considerando in generale solo la vita organica, non si può non sentire che la sua essenza contiene più di un semplice rimescolarsi di particelle. Nel capitolo precedente abbiamo visto che anche l'uomo è prima di tutto un essere organico, e quindi non può non sentire la profonda connessione che lo lega a tutto ciò che è organico.

Questo è il motivo per cui i naturalisti stessi hanno costantemente cercato di allontanarsi dallo sviluppo coerente delle proprie opinioni sulla vita, cercando di trovare in qualche modo una differenza più importante e profonda tra gli organismi e la natura morta. Ma le loro posizioni erano inconsistenti, e questo spiega bene come si sia potuta trascinare così a lungo la polemica sulla cosiddetta forza vitale, quella forza che, a parere di molti, avrebbe dovuto caratterizzare definitivamente gli esseri viventi. Per più di mezzo secolo i fisiologi si sono arrovellati su questa forza; il dibattito ora si spegneva, ora divampava, e tuttavia, con un accurato esame del caso, si può essere pienamente convinti che la forza vitale sia solo un fantasma, creato da dotti pregiudizi[4].

Lasciamo parlare ancora Cuvier:

Considera- dice - il corpo di una donna nel colore della giovinezza e della salute: forme arrotondate e voluttuose, aggraziata flessibilità dei movimenti, calore vivace, guance coperte da un rossore di piacere, occhi che brillano della fiamma dell'amore o del fuoco della mente, volto illuminato da scintille di pensiero o animato dal fuoco delle passioni, sembra che tutto ciò che può incantare sia in questo corpo. Ma basta un attimo per distruggere questa meravigliosa creatura; spesso, senza motivo apparente, il movimento improvvisamente si ferma e la sensibilità scompare, il corpo perde il suo calore, i muscoli cadono e rivelano spigolose sporgenze delle ossa, gli occhi si appannano, le guance e le labbra impallidiscono. Ma tutto questo è solo l'inizio di cambiamenti ancora più terribili: il corpo diventa azzurro, verde, nero, attrae umidità, e mentre una parte si disperde in fetidi vapori, l'altra fuoriesce sotto forma di liquido purulento; in breve, pochi giorni dopo rimangono solo alcuni resti terrosi; altri elementi si disperdono nell'aria e nell'acqua ed entrano in nuove connessioni. È ovvio che questa graduale separazione delle sostanze è una conseguenza naturale dell'azione dell'aria, dell'umidità, del calore, cioè dell'azione dei corpi esterni su un cadavere, e che la sua ragione risiede nell'affinità selettiva di questi vari agenti con gli elementi che compongono il corpo. Questi agenti circondavano il corpo anche durante la vita e la loro affinità con le sue particelle era la stessa; queste particelle erano però tenute unite da una forza che superava questa affinità e ha cessato di agire solo nel momento della morte.

Questa forza era chiamata forza vitale. Dopo questa immagine vivida della vita, che Cuvier ha dipinto con tanta diligenza, è in qualche modo strano leggere la sua conclusione: “questo”, prosegue, “è il fenomeno (cioè la ritenzione di particelle) che sembra costituire l'essenza della vita…”[5]. Come? Costituisce davvero l'essenza della mente, delle passioni e di tutto ciò che animava questo bel corpo?

Comunque sia, le parole di Cuvier ci presentano un'accurata descrizione del concetto che gli scienziati si sono inventati sulla forza vitale. Quasi nello stesso momento in cui Cuvier scriveva queste righe, Bichat definì la vita come un insieme di funzioni opposte alla morte, e Alexander Humboldt scrisse un'allegoria dal titolo: "Il genio di Rodi", in cui Goethe rappresentava la forza vitale, e altre forze della natura erano raffigurate come donne e giovani[6].

In generale la forza vitale era intesa come una forza opposta ad altre forze della natura; dopo aver constatato che molti fenomeni naturali che si verificano negli organismi non possono in alcun modo essere prodotti da altre forze, non restava che attribuire questi fenomeni alla forza vitale. La prova più chiara e convincente di ciò si è vista proprio nelle trasformazioni chimiche cui fa riferimento Cuvier. Hanno infatti scoperto che gli organismi sono composti da sostanze complesse che la chimica non sapeva come riprodurre. La chimica, che riusciva a ricavare acqua dall'idrogeno e dall'ossigeno, che poteva ricreare molte altre sostanze presenti in natura inorganica, non poteva a quel tempo sintetizzare alcuna materia organica, ad esempio zucchero, amido, proteine, eccetera. Inoltre, con particolare insistenza, veniva evidenziato che l'organizzazione della materia si conserva solo nei corpi viventi e che la morte, cioè l'assenza di vitalità, porta immediatamente alla loro distruzione. Tutte queste spiegazioni tuttavia, erano molto fragili, molto discordanti, e ci si dovrebbe davvero meravigliare di come opinioni così traballanti potessero resistere a lungo e affascinare le menti più brillanti. La chimica non poteva creare materia organica, ma oggi è in grado di fare ciò che le era considerato impossibile; sa, per esempio, sintetizzare lo zucchero, e non c'è dubbio che prima o poi sintetizzerà qualsiasi materia organica. Era anche possibile provare qualcosa con la putrefazione o il deterioramento dei corpi organici dopo la morte? Il terribile quadro presentato da Cuvier veniva spiegato dicendo semplicemente che un corpo vivo e un cadavere si trovano in condizioni diverse.

Ad esempio, il primo fenomeno in una persona morta è la cessazione di tutti i movimenti: il sangue smette di scorrere nelle vene, la respirazione si ferma e molti altri processi che la fisiologia potrebbe non aver ancora riconosciuto cessano. In un corpo vivente, tutte le sostanze che lo compongono sono sotto l'influenza costante di questi processi; nei morti questi i processi si sono fermati; perché dovremmo sorprenderci che il corpo marcisca? Prendiamo, infine, un caso più semplice e chiaro. Tagliamo un ramo da un albero e vediamo che inizia ad appassire e a seccare; dobbiamo forse pensare che la forza vitale sia volata via? Niente affatto: mettiamo il nostro ramo nell'acqua, piantiamolo nel terreno e lo vedremo riprendere vita; la causa di questo deterioramento è, quindi, la mancanza di umidità.

Torneremo su questo argomento più di una volta, ma già così ci si può convincere che la forza vitale sia il prodotto di pregiudizi scientifici. Per trovare un filo conduttore nella confusione dei concetti su cui si è potuta conservare così a lungo, è necessario smontare questi pregiudizi.

Innanzitutto, dobbiamo dire che la forza vitale è una creazione del materialismo, una dottrina nata alla fine del Settecento. Vedendo ovunque e in tutto ciò che esiste, solo la materia e le sue forze, il materialismo ha cercato di risolvere l'enigma presentato dagli organismi sempre per mezzo della materia e delle sue forze. Gli organismi sono ovviamente qualcosa di speciale, che non si conforma al meccanismo del resto della natura. Per il materialismo l'organismo non è altro che la stessa sostanza, dotata solo di un potere speciale, come, ad esempio, un magnete è dotato di magnetismo. Questa sintesi dei concetti sull'organismo sotto l'idea di forza aveva, inoltre, un aspetto completamente scientifico. Dai tempi di Newton, che spiegava così facilmente tutti i fenomeni celesti con la forza di gravità, gli indagatori della natura hanno perseguito solo l'obiettivo di ricondurre qualsiasi fenomeno a una semplice causa come, per esempio, la gravità. Così, i metodi che Newton applicava ai fenomeni puramente meccanici, volevano applicarli a tutti i costi ai fenomeni della vita.

Nella "Fisica" di Lenz {Un libro di testo obbligatorio per il ginnasio, in uso da venti o trent'anni}, questo è esattamente ciò che si dice: "Tutti i fenomeni naturali potrebbero essere attribuiti ai fenomeni o alle forze più semplici; sono i seguenti: gravità, attrazione parziale, affinità chimica, calore, elettricità e vitalità."

Quindi, questi sono i motivi che hanno portato alla creazione e alla divulgazione della forza vitale. Va da sé che, non essendo in accordo con l'essenza della questione, non poteva resistere. Tra tutte le altre forze, questa era la più strana: non aveva né una legge ben chiara né una gamma definita di fenomeni. Quando i naturalisti a poco a poco si convinsero di quanto poco li aiutasse una parola vuota che non aveva nulla a che fare con la materia stessa, diedero il via alla persecuzione della forza vitale. Qui inizia l'episodio più interessante della sua storia. La guerra fu portata avanti principalmente dai nuovi materialisti: guardando la vita dal punto di vista materiale, accettarono senza esitazioni i successi ottenuti dalla scienza e videro che non c'era più spazio per la forza vitale. Ma ora a difenderla erano gli spiritualisti, cioè coloro che, per l'essenza della questione, sarebbero stati i meno idonei a farlo. Ma videro nella forza vitale un qualcosa di semi-spirituale e iniziarono ostinatamente a sostenerla.  In questo terribile errore si sono distinti soprattutto gli accademici tedeschi.

In tali controversie, entrambe le parti hanno torto sia nelle loro paure che nelle loro aspettative. I materialisti pensano che, avendo distrutto la forza vitale, potranno ridurre tutto a fenomeni fisici e chimici, ma si sbagliano perché la natura organica rimarrà del tutto incomprensibile anche per loro. Gli spiritualisti pensano che, avendo difeso la forza vitale, porteranno qualcosa di vivo in quel meccanismo morto con cui i materialisti spiegano tutto. E questo è anche un errore, perché assimilano la forza vitale all'elettricità, al calore, eccetera, cioè la intendono proprio come una forza meccanica, priva di vita.

Comunque sia, i materialisti in questo caso hanno ragione, e sono in accordo con la corrente di pensiero predominante nella scienza, quella che ha già portato molti successi. Questa visione è molto diretta, quasi ovvia per chiunque guardi la questione senza pregiudizi. Afferma semplicemente che gli organismi, tutti gli organismi con l'inclusione del re della natura, l'uomo, sono oggetti materiali nel pieno senso della parola. Tutto ciò che attribuiamo ad una sostanza, tutti i metodi e le modalità che usiamo quando studiamo gli oggetti materiali, possiamo applicarli senza eccezioni anche agli organismi,  appunto perché sono anche oggetti materiali.

Prendiamo, ad esempio, il più bello, il più nobile di tutti gli organismi della natura, il corpo umano, e consideriamolo proprio come un oggetto.  

Naturalmente tutte le forze e le influenze materiali agiscono su di lui esattamente come per gli altri corpi. Se proviamo a tagliarlo si taglierà opponendo una resistenza che dipende dalla durezza dei suoi tessuti; se  lo scaldiamo si scalderà e poi si raffredderà e potrà anche congelare. Possiamo anche caricarlo con l'elettricità e fargli emettere scintille; possiamo corroderlo con l'acido caustico o bruciarlo con il fuoco; e infine, se lo lanciamo in aria descriverà una traiettoria secondo le leggi della fisica esattamente come farebbe un sasso. Dove troviamo qui la presenza di una forza speciale che potrebbe interferire con l'azione delle altre forze?

Ma andiamo oltre. Molti fenomeni materiali si verificano nel corpo umano, ma sono tutti comuni processi materiali. Il petto assorbe e rilascia aria proprio come un mantice; il cuore accelera e raccoglie il sangue in se stesso non con una forza speciale, ma proprio come una pompa; in breve, ogni fenomeno materiale del corpo umano, non appena indagato con precisione, risulta essere un processo strettamente obbediente a tutte le leggi della materia.

Anche quelle manifestazioni con cui la nostra vita spirituale sembra così strettamente connessa, ad esempio la voce, l'espressione dei nostri pensieri e sentimenti, il movimento, l'espressione della nostra volontà, anche loro non sono diversi dagli altri fenomeni materiali. La voce, come sappiamo, è prodotta dalla vibrazione delle corde vocali, il movimento dalla contrazione muscolare; non c'è nulla di spirituale in questi processi e non c'è alcuna deviazione dalle leggi meccaniche della natura. Quindi, tutti i fenomeni materiali negli organismi si verificano in un ordine materiale; la fisiologia non ha ancora trovato un solo caso che faccia  eccezione.

Ma cosa prova tutto questo? Non più della semplice verità che gli organismi sono oggetti materiali, che sono materia. Questa verità è così ovvia, che non serve nemmeno cercarne le prove. L'uomo stesso, con tutti i suoi alti doni spirituali, non si rende forse conto in ogni momento che tra gli oggetti materiali che lo circondano, è egli stesso un oggetto, che il suo corpo, come sostanza, non è in nessun modo superiore agli altri corpi? Un bicchiere cade e si rompe, anche un uomo cade e si rompe; bisogna accendere la stufa altrimenti la stanza si raffredda, dobbiamo riempirci lo stomaco di cibo, altrimenti le nostre forze si indeboliscono, e così via. La scheggia di una bomba vola e rompe la testa di un eroe pieno di valore e di grandi aspirazioni . "Quanto è insignificante la vita umana! - esclama lo spettatore. - è bastato questo frammento per distruggere tanta grandezza!" Ma la scheggia non ha colpito la grandezza, né l'intelligenza o il valore: ha solo colpito un oggetto materiale e ha fracassato una testa umana proprio come avrebbe fatto con la testa di una statua di marmo.

Sperando che questa esposizione sia stata abbastanza chiara, è giunto il momento di fare una riepilogo dei punti principali che abbiamo percorso.

L'uomo è un animale.
Gli animali sono organismi.
Gli organismi sono oggetti materiali.

Queste proposizioni dovrebbero essere considerate assolutamente vere. Abbiamo mostrato che invano i naturalisti cercano di distinguere l'uomo dagli animali attraverso il confronto di vari segni peculiari. Abbiamo mostrato che invano hanno cercato di distinguere gli animali dalle piante confrontando le caratteristiche organiche. Infine, abbiamo mostrato che è impossibile distinguere gli organismi dagli altri oggetti confrontando le loro caratteristiche materiali.

L'uomo si differenzia dagli animali per la sua natura spirituale; gli animali da altri organismi differiscono in quanto esseri animati; infine, che cosa distingue gli organismi tra di loro? Che cosa significano "connessione organica" e "sviluppo organico"? Cosa significa “un tutto organico armonioso”? Lo vedremo nel prossimo capitolo.

NOTE

  1. Cuvier J. “Il regno animale” Vol. L'opera di Georges Cuvier fu pubblicata nel 1817 in quattro volumi.

  2. Sul concetto di organismo si veda, anzitutto, "Critica della capacità di giudizio" I. Kant (soprattutto § 64. Le cose in quanto fini della natura sono organismi), nonché "Filosofia della natura" Hegel (sezione III. Fisica organica). Un'esposizione eccezionalmente chiara della dottrina degli organismi di Schelling è data da Kuno Fischer nel settimo volume della sua “Storia della nuova filosofia”. Vedi Fischer K. “Schelling, la sua vita, gli scritti e gli insegnamenti”. San Pietroburgo, 1905

  3. Righe dal poema "Il grande segreto" di Alexei Vasilyevich Koltsov (1809-1842).

  4. La dottrina della "forza vitale", o del cosiddetto vitalismo (dal latino vis - forza, vitalis - vivente, vitale), riconosce la presenza negli organismi viventi di uno speciale "fattore" che è assente nei corpi morti e "dirige" il corso dei processi materiali, conferendo loro un carattere finalistico. La polemica sul vitalismo si riaccese all'inizio del XX secolo, in connessione con le opere del biologo e filosofo tedesco Hans Driesch (1867-1941); vedi la traduzione in russo del suo libro "Vitalism. Its History and System" (Mosca, 1915). Il famoso filosofo russo N.O. Lossky (1870-1955) fu un sostenitore del vitalismo; vedere la sua opera "Vitalismo contemporaneo" (Pietroburgo, 1922). Echi di vitalismo sono contenuti, dal punto di vista dell'autore di queste note, nel concetto di una speciale "energia biochimica della materia vivente" di V. I. Vernadsky e L. N. Gumilyov.

  5. Cuvier J. Lezioni sull'anatomia comparata. Vol. I (1800-1805, in cinque volumi).

  6. Il nome dell'allegoria di A. Humboldt risale a una delle "sette meraviglie del mondo": la statua di 37 metri di Helios (il dio del sole) sull'isola di Rodi (vicino all'Asia Minore). La statua fu eretta intorno al 304 a.C. e distrutta da un terremoto nel 227 a.C.

4. Materialismo

Attualmente il materialismo è sicuramente la posizione più comune tra naturalisti, medici e altri scienziati, ma in realtà esiste da molto tempo; il materialismo quindi non è una superstizione insignificante, un errore grossolano in cui cadono alcune persone, ma possiede più contenuti e più forza di quanto molti pensano.

Per capirne l'importanza, pensiamo al rapidissimo recente sviluppo delle scienze naturali, con musei sempre più grandi, biblioteche disseminate di libri sulla storia naturale; e sicuramente possiamo dire che queste scienze rimangono sempre nell'alveo del materialismo.

Chi - dice Feuerbach - concentra la sua mente e il suo cuore solo sul materiale, sul sensibile, nega di fatto la realtà del soprasensibile; perché, almeno per l'essere umano solo questo è realmente ciò che costituisce il soggetto del reale.[1]

Questo pensiero di Feuerbach ha, naturalmente, una sua verità. Tuttavia non vedremo il materialismo da questo punto di vista, ma più vicino alla sua realtà, cioè come una credenza teorica esistente in molte menti e associata allo studio della natura.

Quella che i materialisti considerano l'unica conoscenza possibile, la conoscenza della materia e delle sue leggi, non è mai esistita in passato. Per molti secoli l'uomo ha guardato alla natura con indifferenza e persino con paura, immaginando che alcune forze segrete e malvage la dominassero. La cosa più strana per noi è che la natura era stata posta alla pari dell'uomo; queste forze demoniache e misteriose differivano dallo spirito solo nella loro direzione, ma non nell'essenza; erano spiriti maligni in contrapposizione a spiriti buoni.

Con questa visione delle cose, ovviamente, il materialismo non era possibile; tutto era spiritualizzato, tutto raccolto sotto lo stesso punto di vista. Affinché il materialismo apparisse, era necessario che lo spiritualismo assumesse una maggiore definizione, che i suoi confini diventassero più netti. Tra gli scrittori dei primi secoli del cristianesimo, anche Dio era generalmente considerato come un essere materiale, residente nello spazio e nel tempo[2]. Vediamo, quindi, che quella distinzione tra spirito e materia, che è così comune per noi, non esisteva a quel tempo. Il concetto di spirito non era affatto chiaro anche quando incominciarono a paragonare lo spirito al corpo e a negare le diverse caratteristiche materiali allo spirito. Così, hanno scoperto solo che lo spirito è invisibile, intangibile, senza peso, eccetera, cioè non nient'altro che una materia più sottile, qualcosa di molto indefinito, ma tuttavia essenzialmente non diverso dalla materia.

Possiamo dire che lo spirito umano in quei tempi non era ancora consapevole di essere distinto dalla materia, non conosceva la sua chiara posizione.

Questa coscienza fu risvegliata in un momento meraviglioso, in un'epoca in cui si facevano già viaggi intorno al mondo, quando la terra fu spostata dalla sua stabile sede da Copernico, quando Keplero e Galileo facevano le loro grandi scoperte. Già da questi giganteschi successi si può giudicare che l'umanità ebbe  da quel momento un nuovo atteggiamento nei confronti della natura. La natura, ovviamente, perse i suoi poteri magici e misteriosi, con i quali in precedenza aveva combattuto con l'umanità e si fece obbediente, studiabile[3]. Non era possibile indagare la natura prima che l'uomo le si potesse opporre, sentendo in sé il potere davanti al quale, per la sua stessa essenza, essa doveva inchinarsi. L'uomo si riconosceva come spirito, e si distingueva dalla natura come da una sostanza.

La caratteristica positiva che contraddistingue lo spirito e scaturisce dalla sua stessa essenza è stata definita da Cartesio, il fondatore di una nuova filosofia:  lo spirito pensa: “cogito, ergo sum”, penso, dunque sono[4].

Per convincerci che la rivoluzione che ha trovato la sua espressione in Cartesio sia stata davvero così grande, allora guardiamo alle conseguenze che ha avuto la filosofia cartesiana. In effetti, i naturalisti sono spesso molto ingiusti con Cartesio; di solito lodano Bacone, lo considerano inferiore a Newton, e così via. Tuttavia, né Bacone, né Newton, né nessun altro hanno avuto un'influenza così potente e così benefica sullo sviluppo delle scienze naturali come quella di Cartesio.

È noto infatti che Cartesio ci ha lasciato una fisiologia completa e un sistema generale del mondo. Queste sue opere sono così intrise di uno spirito nuovo, le loro fondamenta sono così profonde, che ancora oggi la fisiologia, la fisica, il sistema del mondo si basano sugli stessi principi. L'unica differenza è che allora c'erano meno fatti e osservazioni, mentre ora ce ne sono molti di più; ma lo sguardo ai fatti, la loro importanza nella scienza, è rimasto lo stesso. "Dammi sostanza e movimento, e io costruirò un mondo per te", disse Cartesio; e fino ad oggi i naturalisti cercano solo una cosa: costruire il mondo dalla materia e dal suo movimento.

È chiaro che questo pensiero doveva produrre un'influenza affascinante, attirando ed infiammando grandi menti. Cuvier, che trova in Cartesio solo ipotesi vuote, errori su errori, racconta con sorpresa e rammarico che già prima della sua permanenza all'Università di Parigi si difendevano tesi a favore dei vortici cartesiani.

Ovviamente, i vortici di Cartesio derivano in modo assolutamente coerente dalla visione meccanica della natura, mentre la legge di gravitazione universale di Newton è qualcosa di completamente incomprensibile da questo punto di vista. Newton aderiva agli stessi principi meccanici di Cartesio; ma Cartesio, con la sua caratteristica lucidità, portò la sua visione fino alle sue estreme conseguenze, mentre Newton, con quella pigrizia mentale tipica degli inglesi, si fermò nel mezzo e non volle andare oltre.

Tuttavia Newton in qualche modo presentiva che la sua posizione non era corretta e più di una volta la ripudiò. In una delle sue lettere troviamo i seguenti pensieri:

Pensare che la gravità sia innata ed essenzialmente inerente alla materia, così che un corpo possa agire su di un altro a distanza attraverso il vuoto senza l'ausilio di alcun mezzo, che possa trasferire azione e forza da un corpo all'altro, è, secondo il mio avviso, una così grande assurdità che reputo impossibile che chiunque in qualche modo in grado di giudicare argomenti filosofici, possa accettare una tale incongruenza. La gravità deve essere prodotta da qualche agente che agisce secondo determinate leggi. Materiale o spirituale? Lascio decidere ai lettori. [5]

Naturalmente noi lettori non decideremo mai a favore di un'entità spirituale, anche se sembra chiaro che questo fosse il pensiero segreto di Newton[6]. Accettare in questo caso una figura spirituale significherebbe tornare direttamente al Medioevo, sarebbe quasi come riconoscere in ogni stella un genio che la porta lungo un percorso prestabilito, fondendo ancora uomo e natura, spirito e materia.

Pertanto, dobbiamo forzatamente accettare un agente materiale. Ma qualunque entità esso sia, etere o altro, non sarà essenzialmente la stessa cosa dei vortici cartesiani? Se l'attrazione dei corpi l'uno verso l'altro è dovuta agli urti che ricevono da altri corpi, allora ovviamente la spiegazione rimarrà sostanzialmente la stessa, non importa a quale causa dobbiamo attribuire i movimenti che osserviamo. È notevole che attualmente in tutto il mondo sia esposta nei libri di testo e insegnata dalle cattedre quella terza opinione sulla gravitazione che Newton chiama nel passaggio sopra "la più grande assurdità", vale a dire, che l'attrazione è essenzialmente inerente alla materia e avviene attraverso il vuoto, a distanza.

In effetti, una tale comprensione della gravitazione contraddice la visione meccanica che attualmente domina nello studio della natura. Lo spazio determina l'azione reciproca dei corpi; i corpi agiscono dove non sono. Cosa potrebbe esserci di più strano? È quindi comprensibile il fatto che i vortici cartesiani siano durati così a lungo; si capisce anche perché tuttora fisici come Faraday sarebbero felici di avere qualche ipotesi come questi vortici[7].

È noto il brillante destino di altre posizioni di Cartesio sulla natura. Le sue ipotesi  avevano in sé tanta forza e devozione da suscitare infinite controversie e sono sopravvissute intatte attraverso i secoli. Pensava, ad esempio, che la luce fosse come un impulso trasmesso dal sole e da altri corpi luminosi per mezzo della materia sottile; l'attuale ipotesi dell'eco etereo è evidentemente uno sviluppo di questo pensiero. La grossolana ipotesi di Newton, secondo cui la trasmissione della luce si presentava sotto forma di un effettivo movimento di piccole sfere, venne respinta senza lasciare traccia[8].

La tesi di Cartesio sulla completezza dello spazio, cioè che tutto lo spazio è riempito di materia, è anche uno dei suoi pensieri più brillanti[9]. Newton, avendo diviso i corpi celesti dal vuoto, recidendo di conseguenza ogni connessione tra di loro, non riusciva quindi a capire in alcun modo perché si attraessero, e per spiegare la loro connessione era pronto a ricorrere anche a figure spirituali. Cartesio non aveva questa incoerenza: tutte le possibili relazioni tra i corpi erano spiegate in modo semplice e puramente meccanico.

Per molto tempo dopo Newton, lo spazio celeste rimase vuoto, e gli astronomi guardavano con estrema diffidenza a qualsiasi ipotesi che suggerisse qualche sostanza in esso; avevano paura che interferisse con il movimento regolare dei corpi celesti. Ma gradualmente questo vuoto si riempì; si scoprì la luce zodiacale[10]; apparvero centinaia di comete con le loro code evaporanti; intere nuvole lasciavano pietre meteoriche che diventano stelle cadenti; la teoria ondulatoria della luce, che paragonava la luce al suono, diffondeva l'etere alle stelle più lontane; infine, gli scienziati naturali pensarono che non c'è motivo di presumere che le atmosfere del sole, dei pianeti e delle comete abbiano un confine netto, che non solo questo non era stato mai dimostrato, ma anzi è del tutto verosimile che le parti più rarefatte di queste atmosfere riempiano il vuoto del cielo.

Comunque sia, in questo momento i cieli sono pieni come desiderava Cartesio. Saremmo portati troppo lontano se incominciassimo a passare in rassegna l'intera filosofia della natura di Cartesio e se allo stesso tempo cercassimo di mostrare come tutte le sue affermazioni derivino coerentemente dai suoi principi generali, come la loro essenza si rifletta ancora nelle scienze naturali.

Rivolgiamoci ora al soggetto principale di questo capitolo, cioè agli organismi, a quelle creature alle quali appartengono sia l'uomo sia tutto ciò che ha un'anima. Come vedeva Cartesio gli organismi? Proprio come il mondo intero: organismi, animali e piante non erano per lui altro che macchine, come accumuli di particelle in cui non esistono altri fenomeni se non quelli meccanici.

Attualmente i naturalisti sostengono insistentemente che le leggi della natura inorganica si applicano anche agli organismi, che tutti i fenomeni organici si riducono a quelli fisici e chimici. Allo stesso tempo, si noti che non esiste una distinzione speciale tra fenomeni fisici e chimici e che Cartesio si è spinto in questo senso fino all'ultimo limite: ha sostenuto che tutti questi fenomeni sono meccanici e che in generale possono esserci solo fenomeni meccanici nella materia.

In effetti, chimici e fisici ancora ragionano esattamente in questo modo. Ad esempio, i chimici costruiscono tutte le sostanze da un diverso raggruppamento di atomi omogenei fondendo così i fenomeni chimici con quelli puramente fisici. Il mondo intero, tutto ciò che è vivo e ciò che è inerte, è costituito da atomi e forze e, quindi, rappresenta ancora una volta un insieme meccanico, sebbene non nello stesso senso di Cartesio, ma piuttosto in quello che Newton chiama la più grande assurdità (cioè si presume che gli atomi agiscano gli uni sugli altri a distanza).

Cartesio, come detto, era molto coerente. La forza è l'ultima parola misteriosa, ancora da spiegare, dietro la quale si nascondono i naturalisti. La sostanza è qualcosa di molto comprensibile, facile da immaginare. Ma la forza? Nonostante l'uso continuo di questa parola, i naturalisti non sanno comprenderne il significato, e da qui sono nati mille fraintendimenti e molti anni di polemiche. Il punto è che la materia agisce, che è qualcosa di attivo. I naturalisti distinguevano nei fenomeni ciò che agisce e ciò su cui si agisce, cioè la sostanza dall'azione stessa. Avendo posto come base una tale divisione e considerando quindi la materia come passiva, e solo la forza attiva, era ovviamente impossibile capire in alcun modo perché le forze appartenessero alla materia.

Cartesio non aveva questa concezione: tutti i fenomeni erano spiegati da impulsi; nel corpo umano, e nell'animale in genere, vi erano tubi, canali, setacci attraverso i quali venivano versate particelle solide di varia forma. Si noti che per Cartesio, sebbene ne riconoscesse l'indefinita divisibilità, tutta la materia era costituita da particelle solide come per gli atomisti.

È comprensibile che gli insegnamenti chiari, coerenti e pieni di uno spirito nuovo di Cartesio trovassero tanti seguaci tra fisiologi e medici. Si formò un'intera scuola di cosiddetti medici meccanici o medici matematici. Tutti i rapporti meccanici nel corpo umano furono studiati con la massima cura. A quel tempo, l'italiano Borelli pose solide basi per la meccanica animale, la scienza dei movimenti animali. Abbiamo già detto come gli insegnamenti di Cartesio fossero assolutamente nello spirito del loro tempo. La scoperta della circolazione sanguigna, migliaia di altre scoperte anatomiche e fisiologiche che furono fatte in questo periodo prolifico, si conformavano perfettamente al punto di vista di Cartesio e sembrava che il suo insegnamento dovesse sicuramente trionfare.

Ma, come era naturale aspettarsi, gli spiriti si ribellarono contro di lui. Infatti, secondo questo insegnamento, gli animali non avevano un'anima, ma erano esseri privi di sensazioni e intenzionalità. Dicono che Cartesio avesse due amati cani, e che qualche volta si divertiva a picchiarli, poiché non riconosceva in loro alcuna reale sensazione, e così i lamentosi strilli che emettevano erano considerati come i suoni  prodotti da un qualche strumento musicale. Che la storia sia vera o no, il punto è che concorda bene con gli insegnamenti di Cartesio.

Va notato che i naturalisti, che credono che tutti i fenomeni dei corpi viventi possano essere ridotti a quelli chimici e fisici, dovrebbero essere coerenti a questo riguardo quanto Cartesio. Produrre un fenomeno chimico o fisico è cosa molto semplice; nessuno rimprovera ai chimici il crudele trattamento degli oggetti nei loro laboratori. La crudeltà verso gli animali, però, suscita giustamente il nostro risentimento.

Rendiamoci conto, tuttavia, di quanto i nostri naturalisti siano vicini a Cartesio. In tutta la natura, Cartesio ha lasciato l'anima di un solo essere, quello che possedeva il pensiero cartesiano, e che, quindi, era davvero un essere spirituale: l'uomo. Se rifiutiamo questa singola anima nell'intero universo otteniamo il materialismo nudo. Certo, riconoscere la natura meccanica degli animali è cosa insignificante in confronto al rifiuto della spiritualità umana, ma questi errori sono omogenei e interconnessi; entrambi nascono dal desiderio di trasformare la natura in un meccanismo arido. Tuttavia la natura non è affatto così lontana dall'uomo, così opposta a lui, come pensava Cartesio. Per il fatto che riconosciamo la spiritualità in noi stessi, non dobbiamo per questo negarla alla natura.

Ecco perché ci fu una costante opposizione a Cartesio e ai medici meccanici. Questa rivolta era basata su una sorta di istinto, non aveva un solide basi, vagava da una teoria all'altra senza che nessuna potesse avere il sopravvento. Ai nostri tempi, come abbiamo visto, il meccanicismo ha definitivamente vinto tra i naturalisti portando la sua visione fino alle estreme conseguenze; però si può essere contenti che i suoi avversari, invece di vaneggiare a vuoto, dovranno d'ora in poi impugnare una vera arma, la filosofia.

Sarebbe interessante ripercorrere la secolare lotta contro la visione meccanicistica, e le varie teorie che vi si sono opposte. I corpi organici sono corpi viventi a differenza della natura morta. Cos'è la vita? Qual è la sua origine? Queste sono le domande che hanno costantemente occupato medici e naturalisti.

Alcuni presumevano che uno spirito speciale, un archeus, vivesse nel corpo, per governare i fenomeni materiali a nostra insaputa, ma a nostro vantaggio. Altri attribuivano i fenomeni organici ad una sostanza speciale, organica, come se fosse vivente; altri ancora, una forza speciale interna agli organismi. Questa forza, la famosa forza vitale, dopo le opinioni più diverse ha resistito più a lungo ed è stata l'ultima a lasciare il campo di battaglia. Spiegare i fondamenti di queste teorie incerte e confuse richiederebbe molto lavoro; solo una cosa è chiara: non hanno mai voluto considerare gli organismi come macchine, mettere la natura vivente alla pari con quella morta.

Dopo che le favolose litofite, le "piante di pietra"[11] sono scomparse dalla scienza, tra la fine del Settecento  e l'inizio dell'Ottocento, quando le fantastiche conclusioni delle osservazioni di Tournefort sulle stalattiti sono state confutate ed è stato dimostrato che le pietre non crescono, la differenza tra corpi organici e inorganici è diventata sempre più evidente, fino a diventare un vero abisso. Il mondo materiale si è nettamente separato in due categorie: vivo e morto.

Qual è la loro differenza? Come si può concludere da quello che abbiamo appena visto, i naturalisti non lo sanno. Sebbene conoscano molte caratteristiche che distinguono gli organismi dagli oggetti inorganici, tutti questi sono segni particolari, non essenziali, non nettamente distintivi. I naturalisti non possono indicare la caratteristica principale, quella da cui dipendono tutte le altre.

Per esempio, la respirazione potrebbe essere un criterio per distinguere un essere vivente da uno senza vita. Ma, se osserviamo bene, vediamo che la distinzione non è così poi importante. In effetti la respirazione, strettamente parlando, consiste nell'assorbimento e nella separazione di gas, che, per l'uomo e per gli animali a lui vicini, comporta un'aspirazione e un'espirazione di aria dal petto, proprio come fa il mantice di un fabbro. Ma anche in questo meccanismo non si vede la vita. Un animale morto, appena ucciso, può essere fatto respirare, così come in generale è possibile produrre in esso uno qualsiasi dei fenomeni materiali che accadono in un corpo vivente.

Ma, sia come sia, è ovvio che importanti differenze tra gli organismi dovrebbero essere ricercate non nel loro stesso corpo, ma piuttosto nei fenomeni che vi si verificano. Non solo gli organismi sono costituiti dalle stesse sostanze che esistono nel mondo inorganico, ma, come tutti i corpi in generale, possono deperire fino alla loro completa consunzione. Però, se una pietra o un metallo viene distrutto, non può rigenerarsi; gli organismi, invece, si rinnovano costantemente e mantengono la stessa forma. Per spiegare questo fatto si introdusse l'azione di una forza speciale: la distruzione era attribuita alle forze ordinarie, che operano anche nella natura morta; ma il rinnovamento, la conservazione e la crescita dell'organismo venivano attribuiti alla forza vitale; questo è anche logicamente corretto, in quanto non si possono attribuire alle stesse forze azioni completamente opposte.

La scienza, tuttavia, procedeva lungo il sentiero che Cartesio aveva così chiaramente indicato; si potrebbero citare qui molte gloriose scoperte che misero fine ai sogni della forza vitale. Qualunque sia il processo nel nostro corpo che viene indagato, si scopre ovunque che è prodotto fisicamente e chimicamente, cioè meccanicamente, durante tutto il suo corso; da nessuna parte si vedeva l'interferenza di una forza estranea. Si fece strada quindi la convinzione che una tale forza non fosse necessaria, e che fosse persino impossibile presumerne l'esistenza.

Gli organismi sono, infatti, propriamente parlando, processi, non corpi, ma ciò non significa che occorra qualcosa di speciale per conservarli. Osserviamo la fiamma della candela: le sue particelle si sostituiscono incessantemente, alcune volano via in alto, altre entrano dal basso; la fiamma è costituita dalle particelle che sono nell'atto stesso, nel processo stesso della combustione. Nonostante il fatto che la fiamma abbia una certa forma, in essa si possono persino distinguere diverse parti. Il nostro corpo è la stessa fiamma, la stessa sostanza nel processo; sia per la spiegazione dell'uno, sia per la spiegazione dell'altro, non occorrono forze speciali diverse da quelle fisiche e chimiche.

Infine, per il suo stesso concetto, la forza vitale è impossibile. Le forze chimiche e fisiche sono intrinseche alla materia, dal principio immutate; in qualunque stato possa essere una sostanza, assumiamo sempre che tutte queste forze siano sempre presenti e in grado di manifestarsi

Carne e acqua, pane e vino non contengono forza vitale; come possono ricevere questa forza dopo essere entrati nell'uomo, ed essere divenuti sua carne e suo sangue? Se in essi si trovassero fenomeni misteriosi, allora questi fenomeni dovrebbero svilupparsi da se stessi, dalla carne e dall'acqua, dal pane e dal vino, senza interventi esterni.

Ovunque la forza appartiene alla sostanza, dipende da essa come dall'essenza da cui si sviluppa. Pertanto, non si può presumere che negli organismi sia vero il contrario, che la materia cioè dipenda dalla forza e la assecondi. La forza vitale non è intesa come una manifestazione della materia; è immaginata separatamente dalla sostanza, e in questo sta tutta la sua assurdità. Piuttosto che ammettere una forza senza sostanza, è molto più corretto accettare uno spirito, un archeus, il quale, insieme al potere di ordinare le cose, è dotato anche di una certa essenza.

Quindi vediamo che i nostri naturalisti hanno ragione nel dire che tutti i fenomeni negli organismi si sviluppano dall'essenza della sostanza che li costituisce. I nuovi materialisti possono essere considerati i diretti successori dei medici meccanici, che portarono alle estreme conseguenze la dottrina dell'indipendenza della materia, una delle idee principali della filosofia cartesiana.

Ma dove sbagliano? Secondo gli insegnamenti dei materialisti, il mondo è un processo fisico-chimico dove alla base di tutto c'è un'unica sostanza e tra i vari fenomeni non ci sono differenze significative, così come tra gli oggetti. In questa nebbia indefinita e senza confini, in questo caos che i naturalisti ci presentano come risultato di tutta la loro scienza ortodossa, cercheremo di tracciare una linea di demarcazione tra gli organismi e la natura inerte.

NOTE

  1. Feuerbach L. "Principi fondamentali della filosofia del futuro" - 1843.

  2. Il primo a dirlo fu il famoso Tertulliano che sosteneva che Dio è "materia vera", "è un corpo (lat. Corpus)"

  3. Secondo Max Weber (1864-1920), uno dei massimi sociologi del primo Novecento, il principale risultato dello sviluppo delle scienze naturali è che "il mondo è disincantato", le "forze misteriose" scompaiono.

  4. "Penso, dunque sono" è l'ormai classica formulazione abbreviata delle parole di Cartesio dalle “Riflessioni sulla prima filosofia”: "Io sono, io esisto - questo è ovvio. Ma da quanto tempo esisto? Da quanto penso?".

  5. Queste parole di Newton sono contenute nella sua lettera a Richard Bentley, filologo e biblista, che dal 1700 dirigeva il Trinity College, dove Newton studiava e insegnava. Vedi edizione: Hall A.R., Hall M.B. Articoli scientifici inediti di Isaac Newton. Cambridge. 1962.

  6. Strakhov ha ragione: il "pensiero segreto" di Newton era l'esistenza di una "figura spirituale" e persino di una moltitudine di "spiriti eterei". Vedi Dmitriev I.S. “Newton sconosciuto”. San Pietroburgo : Aleteya. 1999. Pagg. 505 e seguenti.

  7. Sia M. Faraday, che introdusse il concetto di campo elettromagnetico (1830), sia J. Maxwell, che ne ottenne le equazioni fondamentali (1856), utilizzarono la rappresentazione "cartesiana" dei campi alternati sotto forma di vortici materiali che si generano nell'etere. Vedi BG Kuznetsov “Evoluzione dell'elettrodinamica” Ed. Accademia delle Scienze dell'URSS, 1963, Pagg.119 e seguenti.

  8. Qui Strakhov sta ovviamente facendo una previsione sbagliata. Il modello di luce "corpuscolare" proposto da Newton "cadde" sotto i colpi della teoria ondulatoria di H. Huygens e O. Fresnel, ma fu ripreso nella teoria dei "quanti di luce" (fotoni) proposta da M. Planck nel 1900, considerato l'anno di nascita della meccanica quantistica.

  9. La fisica moderna ha in effetti abbandonato l'idea dello spazio vuoto (a lungo sembrata indissolubilmente legata all'atomismo) e l'ha sostituita con l'idea di un "vuoto fisico", che non è visto come un'assenza di materia, ma è definito come lo "stato energetico inferiore dei campi quantizzati".

  10. La luce zodiacale è luce solare che, riflessa e diffusa dall'insieme di particelle di polvere che si trovano nello spazio interplanetario, crea un bagliore nel cielo lungo l'eclittica (la traiettoria del Sole). Muovendosi lungo l'eclittica, il Sole passa in sequenza attraverso 12 costellazioni, chiamate Zodiaco (letteralmente, il cerchio degli animali).

  11. Lithophytes - piante che crescono su pietre. Per lungo tempo, nelle litofite si sono viste piante prodotte dalle pietre; è questo presupposto che Strakhov chiama "favoloso".

5. Differenza tra organismi e natura morta

Ci sono molte persone che sentono un'attrazione molto forte per il misterioso, cioè non solo per l'ignoto, ma anche per quello che non si potrà mai conoscere in profondità. Tante disillusioni sono sorte da questi sforzi: la storia dell'umanità ci presenta una serie così lunga di errori di questo tipo che molti, vedendo l'inutilità di tutti questi tentativi, vi rinunciano.

Ma il fascino per il misterioso è un segno delle qualità più nobili e più alte nell'uomo. Esprime ovviamente l'instancabile sete di conoscenza di cui è impregnata una persona. La mente, nella sua essenza infinita, richiede per sé un campo da esplorare infinito. Qualunque limite le mettiate, qualunque approdo definito nei minimi dettagli si possa considerare la sua visione ultima delle cose, ebbene questa sarà la morte per la mente. Dopo essersi spinti a un tale limite, spesso si insinua la malinconia e tutta la vita diventa vuota e superflua. Come dice Pechorin[1]:

        E vivi tutto per la curiosità: 
        ti aspetti sempre qualcosa di nuovo
        è divertente e frustrante!
        

Il misterioso, con la sua profondità illimitata, esiste davvero per soddisfare la sete della nostra mente. Ma chi è tormentato da questa sete spesso la cerca nel posto sbagliato, e questo conduce a innumerevoli delusioni ed errori; persone predisposte a credere negli spiriti che scrivono con i tavolini o a qualsiasi altro fenomeno nel mondo trascendentale, sono pronte a cercare il mistero oltre le stelle più lontane, e non si accorgono che l'enigma più grande, più profondo, e meno conosciuto lo abbiamo qui vicino a noi, e che i miracoli avvengono proprio davanti ai nostri occhi. L'uomo è, senza dubbio, la creatura più misteriosa del mondo intero, l'enigma più difficile da risolvere, il segreto più nascosto.

I confini che distinguono le creature di un tipo da quelle di un altro sono per noi imperscrutabili. Prendiamo il tipo più elevato: l'uomo; la sua connessione con gli animali è in apparenza così stretta che difficilmente si riescono a cogliere le differenze nelle caratteristiche esterne, mentre i misteri interiori rendono il mondo umano un mondo speciale nell'universo. Anche la differenza tra animali e piante è profondamente misteriosa. Nell'ultimo capitolo abbiamo visto quanto sia difficile formulare il concetto di organismi, trovare le loro differenze essenziali dai semplici corpi e fenomeni materiali. Più differenze troviamo e più sorgono domande: cos'è lo spirito dell'uomo? Cos'è l'anima degli animali? Che cos'è un organismo? L'ultima domanda è quella che dobbiamo affrontare adesso.

Di solito si imposta questo problema in modo, per così dire, aritmetico, utilizzando le seguenti formule semplificate:

Sostanza più forza vitale: l'organismo.
Organismo più anima: l'animale.
Animale più la mente: l'uomo.

Questo modo di intendere le cose sembra così naturale e comune che non ci chiediamo quasi mai se sia corretto o meno. E, infatti, non è corretto. Niente al mondo si compone aritmeticamente, nulla è una semplice somma; al contrario, nell'esistenza c'è più unità che separatezza. Se avessimo un concetto completo di sostanza, allora potremmo derivarne direttamente il concetto di organismo, perché l'essenza di un organismo risiede ovviamente nell'essenza della materia. Se avessimo un concetto di organismo, ne dedurremmo poi il concetto di animali, di esseri animati; perché solo gli organismi possono essere animati, e l'animalità è certamente una conseguenza del più alto sviluppo dell'organizzazione. Se, infine, avessimo una comprensione completa degli animali, allora vedremmo che l'animalità deve passare necessariamente nell'umanità, e vedremmo che lo spirito è l'obiettivo finale di questo sforzo, ottenuto dopo infinite trasformazioni.

Quindi, se comprendessimo la materia, capiremmo anche lo spirito; ovviamente è vero anche il contrario: comprendere lo spirito ci conduce a comprendere appieno la materia. Da ciò segue una conclusione sfavorevole ai materialisti, cioè che, poiché colui che comprende, l'uomo, è spirito e non materia, è chiaro che la comprensione deve iniziare con lo spirito e non con la materia. Ma non importa da dove partiamo: qualsiasi strada iniziassimo a percorrere, ci porterebbe agli stessi risultati, perché l'obiettivo di tutta l'attività del pensiero rimane costantemente lo stesso, cioè comprendere l'unità di tutto ciò che esiste, o, se vogliamo, comprendere la diversità del mondo e portarlo all'unità. Il percorso presentato dalle scienze naturali ha il maggior fascino, perché si distingue per quella positività e certezza di cui tanto si vantano i naturalisti. “Questo è un fatto, e sui fatti non si può discutere” dicono spesso sicuri di sé i naturalisti; e sebbene ci siano migliaia di errori accanto a questi fatti certi, amano ripetere: “dateci fatti, fatti!”. Vediamo cosa rappresentano per noi i fatti, e proviamo a costruire il concetto di organismo a partire dalle specificità che presentano gli esseri organici.

L'organismo è vivo, è un corpo vivente, e la vita è una serie di cambiamenti che l'organismo subisce, dal suo concepimento fino alla morte. Ma attenzione: una serie di cambiamenti nell'organismo stesso e non quelli che si verificano solo all'interno dell'organismo. Così, ad esempio, il battito del cuore non è propriamente un fenomeno della vita perché avviene in modo completamente meccanico. Ma sappiamo che il cuore batte più velocemente per l'eccitazione, e tende a rallentare con l'avanzare dell'età, quindi possiamo considerare tali cambiamenti come fenomeni della vita.

È così che la vita viene intesa dalle persone comuni e nel linguaggio; bisogna proprio essere uno scienziato per dimenticare questo significato. Noi viviamo, e, in concreto, questo significa che nasciamo, cresciamo, ci sposiamo, invecchiamo e moriamo. Le età sono le divisioni della nostra vita, la morte è la sua necessaria conclusione.

Di conseguenza Cuvier si sbagliava dicendo che la vita consiste nella circolazione delle particelle; sarebbe più esatto dire: nei cambiamenti di questa circolazione. Bichat si sbagliava dicendo che la vita è un insieme di funzioni che si oppongono alla morte; sarebbe più corretto dire: l'insieme di questi fenomeni conduce inevitabilmente verso la morte.

Vediamo, quindi, quanto sia sbagliato confrontare un essere vivente con una cascata o un vortice. La vita non è altro che sviluppo; nella sfera morale questo è chiaro per tutti: chi non si sviluppa non vive, è morto nello spirito.

I fenomeni di sviluppo sono in realtà fenomeni organici, vitali, mentre, al contrario, i fenomeni ciclici sono quei processi che si verificano costantemente negli organismi, ma che in apparenza servono solo a riportarlo nella sua forma precedente, come ad esempio la digestione, la circolazione sanguigna, la respirazione e così via.

Notiamo che questi fenomeni sono completamente diversi da quelli della vita; non c'è connessione tra fenomeni di circolazione e fenomeni di sviluppo. Il ciclo si svolge, ad esempio, in una cascata, oppure, se prendiamo l'intera area intorno alla cascata, nelle stagioni e nei fenomeni atmosferici e idrici coinvolti. Ovviamente in questo ciclo non c'è sviluppo, ma avviene solo una ripetizione di se stesso. Allo stesso modo, i cicli nel corpo umano non ci danno alcuna spiegazione del perché cresciamo, ci sposiamo, invecchiamo e moriamo.

Tanto è vero che, se immaginiamo la vita solo come un ciclo, come una ripetizione della stessa cosa, e non come uno sviluppo, non possiamo trovare nulla di assurdo nei sogni degli alchimisti di trovare l'elisir di lunga vita. Questi sogni non sono affatto un'assurdità; l'errore degli alchimisti è lo stesso in cui caddero Cuvier e Bichat. "Finché il ciclo continua", ha detto Cuvier, "il corpo vive; quando si ferma, il corpo muore". Ovviamente, fermare il ciclo è una cosa accidentale, per nulla dipendente dal ciclo stesso. Se questo ciclo non ha necessità di fermarsi, allora quelle circostanze estranee che lo interrompono possono essere eliminate, e quindi il ciclo, invece di decine di anni, potrà continuare per centinaia e migliaia[2].

Che l'elisir di lunga vita non sia affatto una fantasticheria lo si vede dal fatto che i fisiologi ancora non conoscono la causa della morte. In un modo o nell'altro capiscono perché certi fenomeni si verificano in una persona vivente, capiscono perché vive, ma non perché muore. Qui stiamo parlando della morte naturale, che arriva dopo una vita piena, in un'estrema vecchiaia. La cosa più ingegnosa che è stata detta dai fisiologi sulle cause della morte è la seguente: lo sviluppo è accompagnato da progressivo indurimento di varie parti del corpo; gli organi diventano secchi e rigidi, le arterie attraverso le quali scorre il sangue si ossificano, le vene sottili si ostruiscono, eccetera. Infine, il movimento vitale diventa impossibile.

Ma, per prima cosa, tale spiegazione è respinta da ottimi fisiologi; l'indurimento delle vene, la loro ostruzione, e il resto, sono segni ineluttabili di invecchiamento. Per essere la vera causa della morte, sarebbero però comunque insufficienti, perché troppo specifici; l'indurimento degli organi è sicuramente importante, ma non certo il fattore decisivo; è più logico aspettarsi che i cambiamenti più drastici che avvicinano alla morte debbano avvenire nell'organo centrale del corpo, cioè nel sistema nervoso.

Ma, anche se conoscessimo questi processi, che sono ancora poco sconosciuti in questa misteriosa area della fisiologia, ci sembrerebbero comunque incomprensibili, li considereremmo come una sorta di difetto nella struttura del corpo, una malattia che è possibile combattere. In una persona sana i fenomeni ciclici si ripetono così regolarmente che difficilmente si possono notare cambiamenti nel corpo anche per anni. Se questa è la nostra condizione normale, la vecchiaia sarà un difetto o una malattia del corpo. Ma, se è una malattia, perché allora colpisce tutte le persone senza eccezioni?

La morte è un evento terribile proprio perché la vita è terribilmente bella, e ci piacerebbe sapere perché moriamo. In realtà non conosciamo le cause, non solo di questo straordinario fenomeno, ma in generale di tutti i fenomeni di sviluppo: proprio come i fisiologi non sanno spiegare la morte, così non riescono a comprendere un singolo fenomeno evolutivo. Ciò è particolarmente notevole perché nello studio dei fenomeni ciclici la fisiologia procede a passi rapidi verso le spiegazioni più soddisfacenti. Capiscono molto bene come l'aria entra nel torace, come viene assorbita dal sangue, come si diffonde a tutte le parti del corpo, come entra in composti chimici con parti del sangue, poi separa il calore, forma anidride carbonica, e così via. Se qualcosa qui non fosse chiaro, la fisiologia affronterebbe queste difficoltà con vigore e confidenza di sé, e prima o poi verrebbe a capo del problema.

Completamente diverso è il fenomeno dello sviluppo. Qui tutto è incomprensibile, tutto è misterioso, e la scienza non vede nemmeno il percorso da seguire per giungere alla soluzione. All'inizio, quando si produce il primo rudimento dell'organismo, si incontra il grande mistero della biforcazione dei sessi, la biforcazione caratteristica di tutta la natura organica. Anche questo fenomeno nella vita umana è un elemento importante. Il sentimento dell'amore, che assume tante forme, dalla più grossolana alla più sublime, e domina invincibilmente l'umanità, si basa sul sesso. Cos'è questa differenza nei sessi?

I fisiologi hanno lavorato a lungo per rispondere a questa domanda, hanno affrontato il problema nella sua forma più semplice ed elementare, l'hanno studiato nelle piante e, nonostante tutto, non l'hanno risolto. La famosa disputa su questo argomento, che ha impegnato a lungo i botanici di tutto il mondo, alla fine non portò a nulla. Questa controversia era stata innescata da Schleiden che, per spiegare i fenomeni sessuali nelle piante, pensò di risolvere il problema negando il fenomeno stesso; le piante non hanno sesso, quindi è già tutto chiaro, non rimane più nulla da spiegare. Ma l'accesa disputa sollevata contro Schleiden si concluse con il riconoscimento da parte di tutti che le piante mostrano effettivamente una distinzione sessuale, e tutto rimase buio come prima.

Questa storia è istruttiva: il trucco, chiamiamolo così, usato da Schleiden, si incontra più di una volta nella storia della scienza. Molto comuni sono le teorie che svuotano il fenomeno, non lasciando nulla di misterioso, solo perché lo negano. Ma se il problema non viene risolto, presto si ripresenterà. E così è successo con la vicenda di Schleiden.

Andiamo oltre ora. Dopo il concepimento nel grembo materno, e anche al centro di ogni fiore, e nel frutto di ogni pianta, accadono fenomeni misteriosi quanto il concepimento stesso. Gli embrioni di tutti gli esseri organici iniziano con una sola cellula, cioè una sottile bolla rotonda piena di liquido. Questa bolla inizia poi a moltiplicarsi, cioè a scindersi in bolle simili. Tra i fisiologi ci sono state molte controversie su questa riproduzione, che riguardavano però solo l'accuratezza della rappresentazione del processo stesso, ma finora non c'è nemmeno il più lontano accenno alla causa di questo fenomeno.

Il numero di cellule aumenta poi sempre di più; quindi la loro massa inizia a differenziarsi, a ramificarsi nei vari membri, le cellule si modificano in base al luogo, in modo che gradualmente si formino muscoli da alcune, cartilagine da altre, ecc. Quindi, se all'inizio le cellule di tutti gli organismi sono simili, poi gli embrioni iniziano a diversificarsi, a seconda degli organismi che da essi devono formarsi.

Ma non è tutto. Notiamo che l'embrione non assume mai improvvisamente la forma di un organismo adulto; certamente subisce le cosiddette metamorfosi o trasformazioni. Subito dopo il concepimento c'è una trasformazione rapida e sorprendente: alcune parti crescono, altre smettono di crescere e scompaiono del tutto; ci sono nuove parti che rimangono per sempre o, dopo essere esistite per qualche tempo, spariscono gradualmente.

Tutta questa meravigliosa storia, spiegata nei minimi dettagli dagli scienziati, è prodotta da ragioni completamente sconosciute. è comodo osservare tali trasformazioni nelle rane, animali brutti ma molto adatti alla ricerca nella fisiologia. Le rane generano inizialmente piccole e morbide uova. Ogni uovo si trasforma poi in un piccolo pesce; questi pesci sono conosciuti da tutti sotto il nome di girini. Quindi questi animaletti sviluppano delle zampe, la coda scompare gradualmente e diventano piccole rane. È anche noto che le farfalle e le mosche hanno prima l'aspetto di vermi, quindi passano nello stato stazionario della pupa da cui emergono già come farfalle e mosche. L'embrione umano subisce trasformazioni non meno sorprendenti e il suo percorso è ancora più lungo.

E tutta questa serie di fenomeni, in cui dal nulla, da una bolla microscopica, viene creato un nuovo essere, rimane per noi un totale mistero. Vediamo solo che è in corso un lavoro complesso e intelligente; ma il motore e i meccanismi ci sono nascosti, e non sappiamo nemmeno dove cercarli.

Dopo la nascita lo sviluppo non si ferma e si conclude invariabilmente con la morte. Per spiegare i fenomeni di sviluppo, già nel Settecento era stata proposta una teoria che ha occupato a lungo tutti i fisiologi con accesi dibattiti, ed è sopravvissuta anche nell'Ottocento; il grande Cuvier, almeno all'inizio della sua carriera, fu suo sostenitore. Il riferimento è alla famosa teoria di Haller e Bonnet dei feti dei feti imprigionati: si presumeva che gli organismi contenessero embrioni già pronti, creati direttamente da Dio. Questi embrioni avevano già tutte le parti che si trovano negli organismi adulti, e tutto lo sviluppo consisteva solo in una graduale crescita delle parti dovuta all'alimentazione. Così, di tutti i fenomeni di sviluppo, ne restava da spiegare solo uno, cioè la crescita, che, apparentemente, era già ben compreso.

È davvero notevole che questa teoria, alla quale molti scienziati hanno aderito con il più grande entusiasmo, usi in realtà un espediente simile a quello di Schleiden, in quanto spiega i fenomeni di sviluppo negandoli. Secondo il suo significato, non c'è formazione graduale di un essere umano, questa formazione è direttamente attribuita ad un miracoloso atto di creatività[3]. Ma la ricerca ha dimostrato che questi miracoli, che gli autori della teoria attribuivano ad un creatore onnipotente, stanno accadendo qui e ora, proprio davanti ai nostri occhi. Da questo punto di vista, potremmo giustamente dire che la creatività divina non si ferma un attimo, e che il grande mistero della creazione del mondo sta ancora accadendo davanti a noi.

Ma se il nostro concetto di sviluppo si ferma ai cambiamenti materiali che avvengono negli organismi, allora la spiegazione di questi fenomeni non è troppo difficile. In questo senso, se un organismo si comporta in modo simile agli oggetti inorganici, possiamo cercare una spiegazione meccanica. Immaginiamo una nuvola temporalesca: si forma nell'aria, dapprima completamente bianca, sebbene carica di vapori invisibili. A poco a poco cresce, si annerisce sempre più, vola nell'aria, e infine esplode con lampi e tuoni, pioggia e grandine e, dopo essersi calmata, riprende per un po' a vagare nel cielo, quindi si dissolve di nuovo in vapori trasparenti.

La vita di un essere umano può essere paragonata a una tale nuvola, e questo confronto sarà più vero e più completo del confronto che abbiamo fatto con quello  della cascata. La nuvola rappresenta un tipo di vita, un tipo di sviluppo; c'è una formazione graduale, c'è una maturità piena di attività drammatica con il massimo dispiegamento di forze, e infine c'è la morte; la nuvola ha raggiunto il suo scopo, l'equilibrio viene ripristinato e scompare. Ovviamente, però, tutto questo processo è un fenomeno puramente meccanico; ed è notevole che i fisici non siano ancora riusciti a spiegare completamente il fenomeno rapido e complesso di un temporale; ma tuttavia nessuno potrebbe immaginare qui qualcosa di misterioso, una forza  particolare o un essere speciale che si incarna in una nuvola e vola via alla fine di un temporale[4].

I fisiologi del passato non erano così prudenti, e molti di loro attribuivano lo sviluppo degli organismi alla forza vitale di cui abbiamo già parlato. Per molto tempo la forza vitale è stata una specie di capro espiatorio su cui molti hanno scaricato tutto quello che non riuscivano a spiegare negli organismi; in breve, era una rozza personificazione dell'organismo stesso sotto forma di forza. Dalla scoperta della legge di gravitazione i naturalisti sono sempre più legati al concetto di forza.

Ma il materialismo coerente deve spiegare tutto dalle proprietà della materia, cioè dalle proprietà che appartengono intrinsecamente alla materia, come l'attrazione tra gli atomi, e non da quelle che vengono dal nulla e poi scompaiono, cioè deve prefiggersi di comprendere i fenomeni materiali senza ricorrere all'emergere di forze dal nulla.

Infatti, se lo sviluppo è solo una serie di cambiamenti materiali, allora sarà facile derivarlo dalle proprietà comuni e immutabili della materia. Se il corpo umano è un insieme di atomi, c'è bisogno allora di trovare quali forze agiscono nell'atomo in modo che questi atomi siano disposti così come li troviamo, e che cambino questa disposizione durante lo sviluppo. Il problema è difficile, ma sicuramente risolvibile. Proprio come l'aspetto di una persona, o i movimenti del sistema solare, tutto deve poter essere spiegato dalle forze che sono sempre interne agli atomi. Questa è la vera visione materialistica dello sviluppo.

Ne consegue, tra l'altro, la notevole conclusione che, poiché lo sviluppo dipende solo da quelle forze che sono sempre presenti nella materia, saremo in grado nel futuro di creare organismi, di produrli artificialmente. Possiamo produrre artificialmente una nuvola: un getto di vapore da un samovar non è altro che una piccola nuvola. Possiamo produrre artificialmente fulmini e tuoni, anche se di piccole dimensioni. Perché non credere di poter produrre organismi artificiali, incominciando, per esempio, da quelli microscopici, come ciliati e alghe. In effetti, molti scienziati hanno intrapreso questi esperimenti e molti erano anche convinti di essere riusciti ad ottenere piccoli corpi viventi, solitamente costituiti da una cellula.

Comunque sia, gli scienziati per lo più ammettevano che una tale modalità per creare essere viventi potesse funzionare solo con gli organismi più bassi, ma qualcuno si spingeva anche più in là. Gli alchimisti, materialisti inconsapevoli ma coerenti, non solo sognavano l'elisir di lunga vita, ma credevano anche che fosse possibile produrre artificialmente tutti i corpi e tutti gli organismi, e anche l'organismo più perfetto: l'uomo. Tutti sanno che chiamavano queste creature artificiali homunculi. Ecco come Paracelso descrive il processo della loro formazione:

Dopo quaranta giorni di fermentazione in un fiasco chiuso, la sostanza (sperma) rinasce e si muove, cosa che è facile vedere. Prende una forma un po' umana, ma completamente trasparente e ancora senza corpo. Dopodiché deve essere alimentato dall'arcano sanguinis humani per 40 settimane e mantenere la temperatura nell'utero della cavalla (ventris equini); poi uscirà un bambino umano completamente vivo, con tutte le membra che si trovano in qualsiasi altro bambino nato da una donna, ma solo di taglia molto più piccola; chiamiamo un tale bambino homunculus. [5]

E' palese che qui Paracelso stia imitando le condizioni naturali di sviluppo: lo possiamo vedere dalle quaranta settimane, dalla temperatura prescritta e dall'alimentazione con qualcosa derivato dal sangue umano - arcano sanguinis humani. Ma, ovviamente, il grande alchimista non aveva una chiara comprensione dello sviluppo dell'uomo: per lui questo sviluppo consisteva solo nell'ingrandimento delle parti, nel cambiamento delle forme.

Dal punto di vista materiale è facile immaginare che la formazione artificiale di un essere umano somigli proprio a quella di una nuvola. Parallelamente alla ricetta di Paracelso, potremmo aggiungere:

Versa dell'acqua in un vaso e chiudilo con un coperchio con un piccolo foro; accendi un fuoco sotto il vaso, e vedrai chiaramente che quando l'acqua raggiunge una certa temperatura, il vapore con grande forza uscirà dal foro e una piccola nuvola abbastanza simile a dei cumuli apparirà in una giornata limpida e tranquilla.

Cosa ne potremmo ricavare da tutto questo? Davvero un essere umano non è altro che una nuvola che si dissolve? Possiamo davvero dire che la nostra vita passa

        come svanisce una nuvola di fumo
        nel cielo grigio e nebbioso[6]?
        

Il poeta ritrae giustamente l'insignificanza di una vita simile. Infatti, questa non è vita, ma l'assenza di vita, il cui contenuto dovrebbe consistere in ben altro. Ma, da un punto di vista materiale, non c'è null'altro nella vita. Poiché i naturalisti guardano gli organismi proprio dal punto di vista materiale, è chiaro che hanno dovuto elaborare un concetto così unilaterale della vita. Molti di loro, pur essendo in realtà perfetti spiritualisti per convinzione, sono ugualmente arrivati ​​a questa visione. Così, Schwann e Schleiden, entrambi molto lontani dal materialismo, sono pronti a considerare la cellula, l'organismo più semplice, come un cristallo morbido o magari come una nuvola densa. Hanno davvero confrontato una cellula con un cristallo, e organismi più complessi con accumuli di cristalli. Spesso si paragona  un organismo anche con il globo terrestre: la Terra infatti ha avuto molti periodi, come delle età; in pieno sviluppo presenta diverse parti, come degli organi, eccetera[7].

Dopo averlo confrontato con una nuvola, con un cristallo e con un pianeta, possiamo facilmente renderci conto di come un organismo sia differente da tutti questi oggetti. Abbiamo già detto quanto sia difficile per i fisiologi spiegare la morte, e questa difficoltà rimane. Né un pianeta, né un cristallo, e nemmeno una nuvola, contengono in sé alcun motivo per cui debbano necessariamente scomparire. Naturalmente il pianeta può essere fatto a pezzi o frantumato, un cristallo si può sciogliere, una nuvola si dissolve di continuo; ma tutti questi eventi dipendono da circostanze accidentali, estranee a questi oggetti, mentre l'organismo porta in sé l'inevitabile morte. E più complesso è l'organismo, più è preciso il termine determinato per esso. è facile immaginare che il Tigri e l'Eufrate siano gli stessi fiumi che guardava Adamo. Una quercia potrebbe morire domani o sopravvivere per secoli e decine di generazioni. E l'uomo? "Gli anni dei nostri giorni sono settanta, ma con più forza ottanta" (Salmo 89).

Se siamo d'accordo che gli organismi siano superiori agli altri corpi della natura, dobbiamo ammettere che la morte dev'essere una loro caratteristica distintiva. L'uomo è un fenomeno più transitorio di una nuvola, non solo di una dura roccia, ma è un essere vivente; è quindi comprensibile che non possa essere immutabile, duraturo come una pietra.

In generale, ci si può attendere che lo sviluppo umano e persino tutto lo sviluppo organico debba presentare una differenza significativa dallo sviluppo meccanico. Cercando quindi di trovare la proprietà principale di questo sviluppo, diciamo che lo sviluppo dell'organismo è un graduale miglioramento. In altre parole, lo sviluppo è un passo in avanti, in meglio, e non un semplice cambiamento di stato.

Questa è la legge fondamentale secondo cui si sviluppano gli organismi e che i corpi inorganici non seguono. Ne saremo convinti se iniziamo a considerare lo sviluppo spirituale di un essere umano; una grande nuvola differisce da una piccola solo per le sue dimensioni, e anche il suo fulmine differisce dal fulmine di una piccola nuvola solo per le dimensioni. Ma un adulto differisce da un bambino non solo per qualche chilo in più: l'attività, il pensiero e il sentimento di un adulto sono estremamente diversi dall'attività, dal pensiero e dal sentimento di un bambino, e questa differenza è una conseguenza diretta ed essenziale della vita. Un uomo adulto si vergognerebbe di essere un bambino adulto, ed è impossibile per un bambino essere un piccolo adulto. Al contrario, un cristallo, per quanto piccolo possa essere, è perfetto come il cristallo più grande, da cui si distingue solo per le dimensioni.

Se prendiamo l'ordine geologico, o ancora meglio, la classificazione sistematica, allora nessuno potrà negare la progressione che va dalle piante, agli animali, e infine all'uomo; gli animali sono superiori alle piante così come l'uomo è superiore agli animali. Ma questo vale anche per ogni singola pianta o animale; per esempio un albero all'inizio è formato da una cellula così come gli organismi inferiori, poi si sviluppa fino a produrre bellissimi frutti. Quando un essere umano è ancora nel grembo materno non è molto superiore ad una pianta; nel primo periodo della sua vita è quasi un animale, e solo sviluppandosi ulteriormente, diventa un uomo, il re della natura.

Tutto ciò dovrebbe essere evidente, ma i materialisti coerenti rifiutano il concetto stesso di perfezione: tutto è ugualmente perfetto, dicono; una pianta matura non è superiore ad un seme, un animale non è superiore ad un altro; in generale, il concetto di maggiore o minore perfezione per loro non è affatto applicabile alla natura.

Ma quale concetto profondo abbiamo introdotto: il miglioramento! Quindi c'è qualcosa di perfetto, una sorta di ideale verso cui tende la natura? Questa progressione può continuare senza fine o ha dei limiti? E poi, qual è questa perfezione? Siamo arrivati a domande molto difficili.

NOTE

  1. Pechorin è il protagonista del romanzo “Un eroe del nostro tempo” di M.Y. Lermontov.
  2. Dalla legge dell'entropia crescente (1866) segue, naturalmente, che qualsiasi "ciclo" (se lo intendiamo come movimento periodico) prima o poi si fermerà. Tuttavia, questa legge essenzialmente non si applica all'argomentazione di Strakhov, poiché per il pensatore russo la "circolazione" non è un fenomeno evolutivo. In altre parole, la seconda legge della termodinamica non influisce in alcun modo sulle specificità della morte reale, la morte degli organismi.
  3. Per questo la teoria degli "embrioni imprigionati" ha ricevuto il nome di preformismo nella storia della biologia (latino praeformo - formo in anticipo).
  4. Paradossalmente, il meccanismo fisico di un normale temporale (e non solo i fenomeni del tipo "fulmine globulare") non è ancora chiaro. Vedi Feynman, Lezioni di Fisica. Vol. Elettricità e magnetismo. Cap. 9 (qualsiasi edizione russa).

  5. Aureol Philipp Theofrastus Bombast von Hohenheim Paracelso. "Raccolta" - Strasburgo, 1616. Durante la sua vita, Paracelso si faceva chiamare con il nome ricevuto al battesimo, cioè Filippo Teofrasto. Il soprannome "Paracelso", cioè "uguale a Celso", apparve per la prima volta solo nell'epitaffio sulla sua tomba. Si ritiene che per Celso intendesse l'autore del trattato "Sulla medicina" Aulo Cornelio Celso (I secolo a.C.). Lo stesso Paracelso inventò per sé il soprannome Aureolo (lat. "d'oro"), per sottolineare la differenza con Teofrasto, allievo di Aristotele, autore di oltre 200 opere su vari settori delle scienze naturali.
    Homunculus (lett., omino, embrione) è una creatura umanoide creata, secondo la leggenda, nel laboratorio di un alchimista (cfr. "Faust" di Goethe, parte II, atto 2, Laboratorio in uno spirito medievale). La ricetta per creare un homunculus era nutrire il feto segretamente (essenza segreta) di sangue umano (arcano sanguinis humani) e mantenere la temperatura del grembo della cavalla (ventris equini).

  6. Versi della poesia di F. I. Tyutchev "Alla donna russa"
  7. L'idea della terra e di altri pianeti come organismi viventi fu sviluppata in una serie di opere da Gustav Theodor Fechner (1801-1887), filosofo e fisico tedesco, uno dei fondatori della psicologia sperimentale.

6. Lo sviluppo è un segno caratteristico degli organismi

Ogni persona ha sicuramente sperimentato nella sua vita molti radicali cambiamenti nelle proprie opinioni. Il tempo presente è particolarmente sfavorevole per l'immobilità, per le convinzioni incrollabili, per riuscire a mantenere uno sguardo imperturbabile sotto le tempeste. Oltre a drammatici sconvolgimenti, accompagnati da smarrimenti e turbamenti, dall'abbandono delle vecchie idee e dall'accettazione delle nuove, troviamo certamente anche in noi stessi un graduale, impercettibile cambiamento nel nostro modo di pensare, cioè il suo lento sviluppo, senza il quale nessuna vita mentale è possibile.

Ma qualunque sia la nostra intera storia interiore, non importa quante volte cambiamo le nostre opinioni, notiamo che preferiamo sempre le nostre ultime convinzioni a tutte le precedenti, le consideriamo sempre migliori, più elevate, più giuste. Per quanto sublime, gentile, dolce fosse la nostra precedente visione del mondo, e per quanto cupe, ristrette e mortificanti siano le nostre ultime convinzioni, le consideriamo comunque più vicine alla verità.

Se allora immaginiamo una serie di visioni del mondo che si avvicendano continuamente nella stessa persona, questa non sarà una sequenza di fenomeni omogenei che si sostituiscono l'un l'altro, ma una serie di gradini, ognuno dei quali più alto di tutti i precedenti, per portare infine all'ultimo, il punto di vista definitivo.

Nella sua vita mentale ognuno di noi riconoscerà quindi sicuramente il progresso, il miglioramento. E quella della vita mentale è la forma di sviluppo più pura e più alta in generale. Abbiamo già detto che lo studio della natura deve iniziare con lo studio dello spirito, e qui vediamo una conferma diretta di questa regola. Mentre in natura lo sviluppo è un semplice cambiamento di stati omogenei, nello spirito questi stati possono essere molto differenti fra di loro, e quelli inferiori vengono sostituiti da quelli superiori.

Passando al mondo fisico, se, come abbiamo visto, le nostre funzioni mentali corrispondono ai fenomeni del nostro corpo, e riteniamo che la vita mentale di un uomo maturo sia superiore a quella di un bambino, allora dovremmo considerare superiori anche il corpo di un adulto, il suo cervello e tutto il resto. Ma per quanto queste proposizioni siano abbastanza evidenti, lo scetticismo e il materialismo coerenti le rifiutano.

Gli animali si diversificano moltissimo nella loro attività mentale, e da questa possiamo giudicare il loro livello di sviluppo. Nonostante il fatto che l'uomo si senta in diritto di guardare con superiorità alla mente di tutti gli animali indifferentemente, c'è un'enorme diversità tra i vari animali in questo senso. Per chi vive con un cane o un gatto è facile capire la sua psicologia e le sue emozioni.

Non così con gli animali inferiori. Va notato che qui, di regola, prevalgono i concetti più esagerati e falsi. Invece di guardare come la vita animale diminuisca gradualmente fino quasi ad annullarsi, noi tendiamo ad animare mentalmente ogni animale, anche il più stupido ed insignificante, e lo guardiamo non solo come un cane, un cavallo o un elefante, ma anche direttamente come un nostro simile.

Come si può usare lo stesso linguaggio per descrivere le sensazioni di una persona e quelle di uno scarabeo che continua tranquillamente a mangiare mentre un altro scarabeo gli sta divorando la pancia? E la rana, un animale relativamente alto, che non smette di copulare mentre le sue zampe posteriori vengono bruciate dal fuoco. Non c'è dubbio che ciò non derivi dalla straordinaria dolcezza dell'atto d'amore, ma dipenda piuttosto dalla debolezza delle sensazioni.

Su questo aspetto molto importante la zoologia non ha fatto quasi nulla e ha ancora molta strada da fare. Ricordiamo qui,  come merito solitario dell'indimenticabile Lamarck, la classificazione degli animali in base alle loro caratteristiche psichiche. Lamarck divideva il regno animale in tre categorie: gli animali insensibili, cui appartenevano, ad esempio, i polipi, gli animali con sensazioni, di cui facevano parte, tra gli altri, gli insetti, e quelli in grado di provare sentimenti, come i vertebrati.

Naturalmente, come fondamento della divisione, l'attività mentale è stata scelta senza successo, ma come caratteristica necessaria e, in sostanza, principale, deve essere inevitabilmente considerata.

A volte, nel descrivere il mondo degli animali microscopici, i naturalisti usano immagini che sembrano prese dal mondo delle fiabe. "In una goccia d'acqua", dicono, "trovi un intero mondo di creature. Ci sono piante che formano cespugli e foreste, e vari animali vagano in queste foreste. Vedi mostri di una strana forma, con tronchi, denti, code. Alcuni, nascosti sotto le piante, osservano immobili la loro preda, altri nuotano allegramente e velocemente, schivano i nemici, si precipitano verso altri animali a volte grandi come loro, e li divorano avidamente."

Tuttavia, si può affermare con certezza che tutti questi movimenti che la fantasia dei naturalisti ha rivestito con i colori vivaci delle passioni, in effetti, sono persino inferiori a quei movimenti involontari e inconsci che una persona compie nel sonno profondo. Molti naturalisti dimenticano che, quando si parla di movimento, bisogna tener conto delle dimensioni del corpo. Dire che i ciliati, per esempio, si muovono velocemente significa usare un'espressione scorretta come, ad esempio, dire che le mosche corrono per la stanza. La velocità, la leggerezza e la libertà di movimento di un cavallo sono per noi sorprendenti e belle proprio perché associate ad una massa imponente come quella del corpo di un cavallo. La mosca, sebbene si muova velocemente in relazione alle sue dimensioni, non ci meraviglia con i suoi movimenti, così come non ci sorprende che possa camminare e sedersi sul soffitto. Tutto questo per noi è comprensibile, perché la mosca è leggera. La regola generale, a questo proposito è che meno un corpo pesa, più è facile che si muova in proporzione alle sue dimensioni. Un piccolo animale, per stupirci con la sua velocità, deve muoversi molto più velocemente di quello che corrisponde alla sua taglia.

Per fare un semplice esempio, un corpo che pesa la metà di un altro, per produrre una velocità sempre dimezzata, richiede una forza quattro volte minore. Un corpo tre volte più leggero per muoversi ad una velocità tre volte inferiore, richiede una forza nove volte inferiore e così via[1]. A ben guardare, quindi, data la piccolezza degli esseri microscopici, i loro movimenti sono insignificanti, e non possono assolutamente essere considerati veloci. In realtà, questi movimenti sono estremamente lenti, assonnati, deboli.

Ma questo non è tutto: molto verosimilmente quasi tutti questi movimenti sono involontari. In relazione al movimento i piccoli corpi sono fortemente dipendenti dall'ambiente in cui agiscono; aria e acqua aderiscono alla loro superficie e li trascinano con sé . Pensiamo a come cadono i fiocchi di neve sotto un vento appena percettibile: scendono lentamente, poi saltano nell'aria, tornano indietro, eccetera; sembrano movimenti quasi completamente casuali, e lo stesso si può dire per gli organismi microscopici.

Per dimostrare la volontarietà dei loro movimenti, si fa spesso riferimento al fatto che sembrano schivare gli ostacoli, o evitare di incontrare altri oggetti, ma questa prova è molto dubbia. Sicuramente è capitato a tutti di provare ad afferrare qualche briciola, qualche foglia, o altro; sembrano scivolare via da sotto le dita come se fossero vivi; ovviamente qui è l'aria spostata dalle nostre mani che dà loro il movimento, mentre in altri casi sarà l'acqua che spinge via un animale microscopico da un oggetto a cui si avvicina.

Notiamo infine che gli animali inferiori non sembrano dormire mai, e questa continua veglia li avvicina a quegli oggetti che non dormono mai perché non sono mai svegli. Il sonno è uno dei fenomeni animali più importanti e caratteristico dello sviluppo, perché rappresenta un cambiamento nello stato dell'organismo, precisamente un cambiamento nel suo organo più alto, il sistema nervoso. Non c'è dubbio che il bisogno di dormire deve scaturire dall'essenza stessa dell'elevata attività nervosa.

Questo mondo di meraviglie immaginarie in cui vivono gli organismi microscopici è quindi in realtà un mondo davvero oscuro, torpido e insignificante. Tra questo mondo e il mondo di luce dell'uomo ci sono innumerevoli passaggi rappresentati da varie classi di animali.  L'avvicinamento graduale degli animali ad una struttura fisica simile all'uomo è studiato dall'anatomia comparata. E, in accordo con la loro struttura, è indubbio che l'attività mentale degli animali si approssimi gradualmente a quella dell'uomo.

La dimostrazione più lampante dello sviluppo negli organismi, e quindi anche negli esseri umani, è sicuramente la lunga storia che si svolge nel grembo di una madre, quando da un punto impercettibile, da una cellula, si forma gradualmente una nuova persona. Durante questo processo  il feto assume varie forme, ed è notevole che queste forme assomiglino spesso agli animali inferiori. Ad esempio, c'è un momento in cui l'embrione nella sua struttura è molto simile ad un pesce. I girini, come già detto, sono quasi veri pesci.

Molti, esagerando, hanno persino sostenuto che un essere umano prima della nascita è gradualmente prima un animale, poi un altro, e così via. Questo non è del tutto corretto, ma la complessità nella struttura dell'embrione aumenta davvero esattamente come fa nei diversi animali, dai ciliati fino ai mammiferi. Passando dalla struttura alla funzione svolta, dobbiamo ammettere che l'attività mentale attraversa nell'embrione le stesse fasi dell'intero regno animale, e che, ad esempio, nella prima vescicola embrionale è ancora a livello di un ciliato. Che la vita mentale esista certamente già durante lo sviluppo non può essere messo in dubbio, osservando che, non appena è completamente formato, il pulcino rompe il suo guscio, che il vitello alla nascita già vede e non più di mezz'ora dopo si alza su quattro zampe. Se qui l'attività mentale raggiunge alla fine un disvelamento così chiaro, allora durante lo sviluppo è ovviamente solo al più basso grado.

Quindi non c'è alcun dubbio sul graduale sviluppo degli animali; abbiamo tratto questa conclusione sulla base dello sviluppo della vita mentale; fino ad ora, però, non abbiamo ancora determinato il contenuto di questa vita e allo stesso modo non abbiamo supposto che il miglioramento sia percepibile o possibile solo in in questo contenuto.

Se gli animali ci presentano un enigma, le piante sono per noi ancora più misteriose. Esiste un'analogia inconfutabile e stretta tra piante e animali.

"La pianta è un animale che dorme", diceva Buffon. Ma, come abbiamo già notato, solo quella creatura che può rimanere sveglia può dormire. Con lo stesso diritto di Buffon potremmo dire che  una pianta è un animale morto. In effetti, è noto che le unghie e i capelli continuano a crescere nell'uomo per un po ' di tempo; forse continuerebbero a crescere e di più se i muscoli, i nervi, in una parola, le parti puramente animali non si deteriorassero così presto {Burdach K. F. Physiologie als Erfahrungswissenschaft, 2-te Aufl. 1838. Bd. III. S. 180. L'autore fa riferimento alle osservazioni fatte da Serres e Pariset[2].}

Nell'uomo, nell'animale più perfetto, molte parti sono composte delle stesse cellule di cui sono composte le piante più basse, per esempio la muffa. La riproduzione delle cellule e la loro differenziazione sono del tutto simili nei regni vegetale e animale, e addirittura la biforcazione dei sessi è una caratteristica comune di piante e animali.

Se consideriamo il tempo della maturità sessuale l'età migliore di una persona, e se vediamo nei periodi precedenti e successivi un'epoca di preparazione e una di declino, allora non abbiamo motivo per guardare in modo diverso a quello che succede nelle piante. Il tempo della fioritura, il tempo della fecondazione, è l'apice della vita della pianta e il fiore ne è la parte più nobile. Paragonando le piante agli animali non vogliamo provare l'esistenza di un'anima nelle piante, o anche solo l'esistenza di sensazioni; con le parole di anima e di sensazioni si intendono concetti molto definiti del mondo umano e, prima di tutto, sarebbe necessario decidere se sia possibile attribuire alle piante tali concetti. Certo, possiamo dire che le piante non hanno anima e sensazioni nel senso in cui le attribuiamo ad una persona, ma da questo cosa ne consegue? Le piante hanno un'affinità profonda e intrinseca con gli animali. L'impressione estetica che i fiori, gli alberi e le foreste suscitano in noi si basa principalmente su questa affinità; rappresentano per noi non solo l'immagine della vita che viviamo, ma la nostra vita stessa.

Ascoltiamo i poeti e ce ne convinceremo facilmente. Pushkin saluta i boschi di Mikhailovskie:

        Ciao gente, 
        ehi tu giovane sconosciuto! 
        Non vedrò la tua potente tarda età
        quando diventerai troppo grande per i miei amici
        e metterai in ombra la loro vecchia chioma. [3]
        

Qui non c'è nemmeno l'ombra del paragone o della metafora, è un linguaggio semplice, diretto. Il passaggio dagli animali alle piante, tuttavia, non è più difficile o più facile del passaggio dall'uomo agli animali, o anche del passaggio dall'uomo al mondo esterno, alle altre persone. Perché crediamo che gli altri non siano automi o fantasmi che vengono per ingannarci? Sentiamo le loro parole, vediamo i tratti del loro viso, i gesti, gli sguardi, e in queste parole, in questi tratti, gesti e sguardi mettiamo qualcosa che non vediamo e non sentiamo, ma che conosciamo bene da noi stessi; dietro le parole c'è il significato che hanno per noi queste parole, dietro i gesti, dietro i cambiamenti del viso e degli sguardi, percepiamo un sentimento, un desiderio, un'emozione. La maggior parte delle nostre ipotesi non sono nemmeno accurate, anzi a volte completamente sbagliate; sentiamo perfettamente chi ci sta parlando, possiamo vedere perfettamente i lineamenti del suo viso, ma il significato delle sue parole e l'intensità delle sue sensazioni e dei suoi desideri lo possiamo solo intuire, e molto spesso li equivochiamo completamente, proprio perché noi stessi produciamo questo significato e queste sensazioni e poi le attribuiamo al nostro interlocutore.

Ma se cominciamo a dubitare che le persone che conosciamo siano realmente persone come noi, allora alla stessa stregua possiamo dubitare dell'esistenza del mondo esterno in generale. Possiamo vedere molto chiaramente gli oggetti che sono in una stanza, e attribuiamo immediatamente l'esistenza a quello che vediamo. Ma in realtà vediamo gli oggetti nei luoghi in cui si trovano loro, non dove siamo noi; avviene quindi in noi una sorta di fantasmagoria, il cui centro è la nostra mente, e noi stessi diamo sostanza ai suoi fenomeni.

A volte si dice che gli oggetti reali sono quelli che possono essere toccati; ma la vista, in questo caso, non è in alcun modo inferiore al tatto; quando guardiamo qualcosa, siamo ugualmente convinti dell'esistenza di quello che vediamo esternamente a noi, anche se abbiamo visto un miraggio o un riflesso nello specchio. In ogni caso, possiamo solo presumerne l'esistenza, non provarla.

Ma è possibile dimostrare effettivamente l'esistenza del mondo esterno, i sentimenti e l'attività mentale nelle altre persone, magari anche negli animali e nelle piante? Naturalmente per il senso comune non c'è bisogno di prove per quello che considera ovvio e innegabile, ma per capire da dove deriva questa fiducia della mente umana allora dovremmo darne una dimostrazione. Ma questa dimostrazione non assomiglierà affatto a ciò che si intende di solito con questo termine, e per questo abbiamo detto che è impossibile. Infatti, è possibile provare l'esistenza del mondo esterno e di tutto il suo contenuto solo comprendendo questo mondo e il suo contenuto. Se comprendiamo la natura, allora non ne dubiteremo, perché troveremo in noi la sua stessa essenza, il suo significato.

Si dice spesso che la nostra vita è un sonno o un sogno. Tali discorsi sono molto frequenti, ma hanno più significato di quanto comunemente si creda. In effetti qui viene presentata una domanda piuttosto difficile: come fa una persona a distinguere tra il suo stato di veglia e quello di sogno? Ricordiamo la straordinaria storia di Gogol sul terribile incubo dell'artista Chertkov, che vide in sogno di essersi svegliato due volte per l'orrore, ma è passato solo da un sogno all'altro, e solo la terza volta si è davvero svegliato. Forse quando ci svegliamo passiamo semplicemente da un sogno all'altro? Ci svegliamo solo in un sogno? E se no, come possiamo distinguere il sonno dalla veglia?

C'è solo una risposta possibile: è vero, la vita è un sogno, ma un sogno con un significato così profondo che non abbiamo bisogno di una realtà che esiste da qualche parte oltre i confini della vita. In questo modo la vita si distingue facilmente dai sogni, di cui giustamente si dice:

        quand'è che i sogni si avverano? [4]
        

Anche se qualcuno potesse dimostrare con assoluta certezza l'esistenza di oggetti esterni, otterrebbe molto poco, quasi nulla. Gli oggetti esistono, ma che cosa realmente esiste? L'esistenza, per così dire, è una proprietà che noi attribuiamo naturalmente agli oggetti. Se ci chiediamo se è possibile l'esistenza degli oggetti è facile rispondere: esistere in generale è la più possibile di tutte le possibilità. È tutta un'altra questione, però, se ci chiediamo se il mondo esterno è davvero come lo vediamo. Qui possiamo anche risponderci con delle domande: come ci sembra? Che cosa ci troviamo? Corrisponde ai concetti sul mondo esterno che ci siamo fatti?

Tutto questo per mostrare quanta poca sostanza e senso ci sia in quel solito scetticismo che non osa fare un passo avanti nel pensiero e nella cognizione dimenticando che, finché il pensiero rimane in una tale immobilità vuota di contenuto, non ci sarà niente di cui parlare, niente di cui dubitare.

Non ci sarà quindi nulla di particolarmente audace e di straordinario se riconosciamo che l'attività mentale degli animali è simile alla nostra, anche se via via digradando verso quella dei ciliati, e se ammettiamo che la vita vegetale è omogenea alla vita animale. Si tratta di indicare il contenuto della vita organica, per rivelare i vari livelli della vita animale e mostrarne la loro progressione. Allora sarà perfettamente chiaro che la diversa perfezione degli organismi è sia possibile che necessaria, e che ogni organismo deve passare attraverso vari gradi di questa perfezione prima di raggiungere il suo pieno sviluppo.

Soffermiamoci ora sul concetto stesso di sviluppo, perché è estremamente importante distinguerlo chiaramente da quello di causalità, che cioè non possa essere compreso come conseguenza dell'azione cumulativa di diverse cause. È tanto più importante fare questa precisazione, perché i naturalisti inglobano tutta la loro visione del mondo e dei suoi fenomeni sotto i concetti di causa ed effetto; abituati a considerare costantemente le cose da questo punto di vista, giungono ad una convinzione incrollabile nella realtà di queste loro rappresentazioni mentali, e non riescono quindi a vedere nel mondo null'altro che un gioco infinito di cause ed effetti.

L'effetto segue necessariamente dalla sua causa e per loro questo è tutto sul concetto di causa. Quale evento accadrà, se migliore o peggiore, non importa, la legge di causalità non lo giudica. Davanti ad essa tutti i fenomeni sono uguali, perché sono comunque necessari, e di più non dice e non può dire nulla.

Pertanto, indipendentemente da quali cause esterne agiscano su di un corpo, non possiamo comunque trovare alcuna ragione perché questo corpo debba svilupparsi da quelle cause. Ovviamente lo sviluppo va attribuito all'organismo stesso, cioè è, per così dire, un automiglioramento. E se un oggetto cambia se stesso, per la legge di causalità si produce un fenomeno, e quindi possiamo dire che qui causa ed effetto sono la stessa cosa. Si noti che qui non stiamo fornendo alcuna ipotesi di spiegazione del fenomeno, ma semplicemente stiamo cercando di definirlo.

Guardiamo ora alla storia geologica degli organismi, e in particolare alla loro apparizione sulla Terra. I naturalisti di solito trovano difficile spiegarla, ma è solo il primo fatto di questa storia di milioni di anni, che in tutta la sua immensa estensione è costellata da altrettanti avvenimenti sorprendenti e poco compresi. In effetti non possiamo spiegarci la loro graduale ascesa verso l'organismo più alto, cioè l'uomo, solo con delle cause esterne. Il miglioramento degli organismi non può essere attribuito all'azione di ossigeno, acqua, calore, e altro. In ossigeno, acqua, calore, non c'è e non ci può essere nulla che possa produrre lo sviluppo di qualcosa, perché la loro azione è invariabile e cieca.

I cambiamenti che il globo ha subito non sono stati provocati deliberatamente in modo tale che il risultato fosse il miglioramento degli organismi, ma questi cambiamenti sono avvenuti per necessità. Sotto l'azione di influenze esterne gli organismi potrebbero migliorare, potrebbero peggiorare o potrebbero anche degenerare e scomparire del tutto, e pertanto dobbiamo attribuire agli organismi stessi il desiderio di passare a forme superiori. Le influenze esterne potrebbero cambiarli, ma questi cambiamenti non sono l'essenza della loro storia; il passaggio a forme superiori è il motivo principale dei loro cambiamenti.

Gli sconvolgimenti geologici non solo non possono spiegare lo sviluppo degli organismi, ma addirittura dovrebbero ostacolarlo. Secondo la visione dei naturalisti l'organismo è infatti formato completamente in accordo con le condizioni in cui vive; posto in condizioni molto diverse ci aspettiamo che il suo corpo si indebolisca, reagisca male, muoia. Da questo punto di vista, ogni cambiamento avvenuto con il globo dovrebbe inevitabilmente portare alla degenerazione, alla deturpazione e distruzione degli organismi, e non certo al loro sviluppo superiore. Pertanto, comprendere gli organismi in questo modo è completamente errato. A loro deve essere attribuita non solo la capacità di adattarsi alle nuove condizioni, ma anche quella di svilupparsi, nonostante le condizioni e le influenze esterne.

Abbiamo già detto che i più grandi miracoli si compiono davanti ai nostri occhi. Questo misterioso processo di miglioramento che si autoproduce può essere osservato quotidianamente. Una rana si forma da un girino, quindi emerge un animale più elevato da uno inferiore. Come si spiega questa trasformazione? Il girino è progettato al massimo grado in base alle condizioni in cui vive e le influenze esterne che subisce agiscono su di esso esattamente come su un qualsiasi piccolo pesce; la domanda è: dove si possono trovare le ragioni per cui si passa da una forma di vita ad un'altra? Ovviamente sono interne all'essere vivente, e non in circostanze esterne. La vita stessa non è un qualcosa di monotono, di predeterminato, ma rappresenta proprio lo sforzo e la capacità di un essere di rinunciare a se stesso per passare ad un nuovo stato, migliore del precedente.

Passando direttamente dai girini agli umani, il salto non è troppo ardito. Come abbiamo già visto, ad un certo punto l'embrione umano è quasi tanto simile ad un pesce quanto ad un girino. Qui intendiamo lo sviluppo umano nel suo vero senso, cioè come il passaggio effettivo attraverso tutti i gradi, a partire dal più basso, dalla cellula o ciliato. Solo comprendendo lo sviluppo possiamo completamente convincerci di quale processo infinitamente misterioso e sorprendente sia. Rigettiamo anche l'opinione esagerata, ma molto comune, sulla stretta connessione tra la madre e il feto. In realtà, l'influenza della madre sul feto è trascurabile. Nell'uovo di gallina l'embrione si sviluppa completamente separato dalla madre e la presenza della chioccia non è necessaria, tanto che i pulcini vengono messi negli incubatoi. Quasi allo stesso modo, l'utero per il bambino è poco più di un guscio; il ruolo principale ed essenziale nello sviluppo è svolto dall'embrione stesso, egli stesso raggiunge quella forma e quell'attività caratteristiche di una persona.

Questo misterioso processo continua anche dopo la nascita. Qui possiamo osservarlo meglio e quindi convincerci ancor più di tutta l'incommensurabile profondità del fenomeno. È nato un uomo, ma chissà cosa ne uscirà. Il concetto di persona è così illimitato che è impossibile rispondere ad una domanda del genere. Un bambino può emergere come un grande artista, un grande pensatore, una grande figura, possono nascere Aristotele, Colombo, Shakespeare, o un benefattore dell'umanità. Può, naturalmente, uscire anche una persona semplice e ordinaria, o addirittura completamente insignificante.

Da quali ragioni dipende tutto questo? Di solito si risponde a questa domanda senza esitazione: dall'educazione, dalle circostanze della vita privata e dall'ambiente, dal periodo storico, in pratica da tutti i tipi di influenze, ma non dalla persona stessa. Ma coloro che non vedono nulla al di là di una simile visione si sbagliano terribilmente. La grandezza e la dignità di una persona non derivano dalle circostanze.

Questo è confermato dall'esperienza quotidiana: vediamo un bambino nascere da genitori né buoni né cattivi che, credendo nell'onnipotenza delle cause e degli effetti, lo allevano  per farlo diventare il tipo di persona che desiderano. Seguono innumerevoli compiti e fatiche: istruzioni, punizioni, premi, libri, insegnanti, eccetera. Infine, il loro cucciolo viene portato in viaggio, gli vengono mostrate tutte le meraviglie del mondo istruito e l'intero globo gli viene presentato nel suo pieno splendore. Quali risultati si potranno ottenere? La natura, come si suol dire, vuole la sua parte, e spesso, nonostante tutti gli sforzi profusi, le cause non producono l'effetto desiderato: i libri non stimolano pensieri, le immagini della natura non suscitano sensazioni e, in generale, tutte le possibili azioni sul nostro animaletto domestico non eccitano le sue emozioni, e a volte addirittura ostacolano il suo sviluppo.

È assolutamente chiaro che una persona può evolversi solo quando sviluppa se stesso. L'educazione, la formazione, infatti, non producono sviluppo, ma danno solo un'opportunità; aprono strade, ma non conducono lungo di esse. Una persona può progredire nel suo sviluppo solo con i suoi piedi, non si può andare in carrozza. Molto tempo fa, quando il re egiziano Tolomeo chiese ad Euclide di facilitargli lo studio della geometria, il saggio rispose che per i re c'è la stessa strada che per i cittadini comuni[5]. Si possono citare molti altri esempi a sostegno dell'idea di sviluppo indipendente. Non possiamo fare a meno di notare, ad esempio, che le cosiddette persone colte spesso si considerano ingiustamente più evolute degli altri. Tuttavia, nei discorsi di un semplice cittadino, si possono trovare umorismo, entusiasmo e persino un raffinato gusto musicale. A cosa serve leggere tanti libri e poi guardare il mondo con totale ottusità? Ci sono molte persone istruite che giudicano tutte le circostanze della vita solo in termini di benefici, cibo, denaro e poco altro. Quanto più in alto può essere posta l'anima sensibile di una persona comune? Per non parlare della sua sana moralità, del vivo fascino per la natura, del piacere nel canto, della felicità in famiglia; in questa persona può svilupparsi una grande ricchezza di tesori spirituali che nessun libro, professori e viaggi potranno dare. Così, un'umile origine non ostacola lo sviluppo della piena dignità umana, ma anzi tutte le comodità della ricchezza e dell'educazione non preservano necessariamente dalla bruttezza morale, come purtroppo sappiamo.

La nostra patria ci presenta molti esempi di persone che si sono costruite da sole. Ancora fino a poco tempo fa, la maggior parte della nostra meravigliosa gente era autodidatta, persone che hanno ricevuto solo un'istruzione di base e un debole stimolo dall'ambiente in cui sono cresciuti, e ciononostante hanno creato tante attività di successo.

Sappiamo però che la visione dell'educazione esattamente opposta è quella dominante. Anche nella letteratura russa ci sono esempi di questa concezione deterministica dello sviluppo dell'uomo. Così Oblomov uscì così pigro a causa dell'educazione ricevuta a Oblomovka; Stolz divenne intelligente perché anche il padre lo era; e infine, Sophia Nikolaevna Belovodova è diventata una bambolina, perché fin da bambina a tutti piaceva così[6].

Ma i fenomeni veramente umani, veramente vitali, non consistono in una passiva sottomissione all'ambiente, ma nella fuga dalle sue influenze, nello sviluppo di una vita superiore sui gradini di una inferiore. Tale è la natura della vita umana e tale è la natura della vita in generale, la vita di tutti gli organismi.

NOTE

  1. Strakhov utilizza formule di fisica elementare per il caso del movimento rettilineo di un corpo (avente velocità iniziale nulla) sotto l'azione di una forza costante. Poiché allo stesso tempo v = at e F = ma, otteniamo mv = Ft, da cui seguono le relazioni date da Strakhov, che chiama erroneamente la massa "peso", ma in questo caso questo errore terminologico non gioca alcun ruolo.

  2. Burdakh KF Fisiologia come scienza sperimentale. 2a ed. 1838. Vol. III.

  3. Dal poema di A. S. Pushkin "...Ho visitato di nuovo " (durante la vita del poeta non è stato pubblicato).

  4. Un  verso del poema "Epigramma (per il quale Licasta è condannato)" di Mikhail Alexandrovich Dmitriev (1796-1866), poeta e autore di prosa autobiografica.

  5. Le parole di Euclide "Non esiste una via regale per la geometria" sono riportate nei commenti ai "Principi" compilati da Proclo (ca. 410-485), rappresentante del tardo neoplatonismo.

  6. Oblomov e Stolz sono personaggi del romanzo “Oblomov” di I.A. Goncharov”. Sofya Nikolaevna Belovodova è un personaggio del romanzo di I. A. Goncharov "Il burrone".

7. Il significato della morte

"Cosa c'è di nuovo? Che novità porti?" Queste sono le tipiche domande all'inizio di ogni conversazione. Le domande comuni indicano desideri comuni e bisogni perenni. Superficialmente, però, si potrebbe pensare che qui non ci sia nulla di importante, che si tratti semplicemente di un pretesto per iniziare una conversazione con qualcuno. Ovviamente questo "nuovo" non è altro che una ripetizione del vecchio e contiene solo una diversa combinazione degli stessi eventi. Nelle persone un po' frivole questa continua ricorrenza delle stesse situazioni può suscitare un qualche divertimento venato di sprezzante scetticismo.

Ad un simile scettico si rivolge Pushkin nel suo “al Nobile”

        Tu, non partecipando ai disordini del mondo, 
        A volte guardi la gente beffardamente dalla finestra
        E vedi una rivoluzione tutta intorno. [1]
        

Ma per le menti profonde, per le persone che guardano alla vita in modo serio, per così dire, religioso, niente può essere più disperante dell'impressione che non ci sia mai nulla di nuovo nella loro esistenza. Una delle lamentazioni più tristi è sicuramente quella espressa da Salomone nell'Ecclesiaste:

        quello che è stato sarà;
        quello che è stato fatto prima sarà fatto anche dopo; 
        qualunque cosa chiamano nuovo è già accaduto;
        tutto è vecchio; 
        non c'è nulla di nuovo sotto il sole;
        vanità vanità tutto è vanità [2]
        

In noi c'è una viva tensione per il nuovo nel senso più stretto della parola, la tensione per qualcosa di completamente diverso, inesplorato, inaudito e quindi infinitamente divertente e affascinante. Se prendiamo la sfera più bassa della nostra vita, quella delle semplici impressioni, delle sensazioni suscitate in noi da qualsiasi cosa, allora saremo inevitabilmente convinti della presenza del nuovo nella nostra vita. Per quanto amiamo tornare alle vecchie sensazioni, per quanto cerchiamo di trovare piacere nelle abitudini, il tempo vuole la sua parte, e ogni anno, ogni giorno, cambia la disposizione del nostro spirito, cambiano la forza e il sapore di tutta la massa di impressioni esterne e interne, cambiano la nostra visione delle cose, i nostri pensieri e i nostri desideri.

Quante lamentele i poeti hanno profuso per tale impermanenza della natura umana! L'essenza stessa della vita risiede in questa transitorietà. Uno dei nostri poeti ha un'espressione di sentimento che colpisce per il suo dolore insopportabile e a cui il poeta stesso risponde con orrore:

        Sono spesso confuso nell'anima
        e pieno di emozione ed eccitazione: una qualche
        mossa del destino si compie nel silenzio
        e mi soffia via dalla vita come un fantasma.                            

        Nell'agitazione di una giornata rumorosa,
        nel silenzio dell'oscurità della notte,
        nella folla! Solo o in mezzo al divertimento o alla noia
        dovunque dolorosamente sento dietro di me suoni catturati dal passato.

        In ogni sentimento, in ogni nuovo volto,
        in ogni passione una nuova eccitazione,
        tutto sembra essere un momento vissuto a lungo,
        tutto una vecchia ripetizione vuota.

        Mentre inquieto ascolto
        il corso segreto del destino 
        che si compie nel silenzio,
        e mi sento come un fantasma. [3]
        

Infatti, se la vita si fermasse per un po', se invece di svilupparsi divenisse come un giro di vite circolare,  sarebbe davvero un incubo spaventoso, un fantasma immobile e terribile.

Passando dai nostri fenomeni mentali a quelli corporei, dobbiamo accettare anche per loro il cambiamento continuo. Insieme allo sviluppo della nostra anima procede lo sviluppo del nostro cervello e del resto del corpo. Così, ogni anno, ogni giorno, porta con sé un cambiamento nel corpo; oggi il nostro corpo non è quello di ieri; domani cambierà impercettibilmente di nuovo e questo senza interruzione; in senso stretto, bisogna dire che ogni giro del sangue, ogni battito di polso, non sono uguali al giro precedente, al battito precedente.

Così, vediamo che i cicli perfetti nella vita non esistono, la vita non tollera una ripetizione esatta, immutabile, ma è un rinnovamento continuo. Pertanto, comprendere la vita solo come un ciclo è un grave errore.

La velocità di sviluppo e di rinnovamento sono, per così dire, proporzionali alla quantità di vita. Più l'organismo è elevato, più rapido e continuo avviene il suo rinnovamento. Negli animali superiori questo può essere misurato dalla circolazione sanguigna. Il sangue è un liquido che serve a rinnovare tutte le parti del corpo. Essendo appunto liquido, può distribuirsi in tutto il corpo, assorbire facilmente qualsiasi altro liquido e cedere continuamente le sue sostanze agli altri organi. Il sangue stesso, inoltre, è un organo vivo, una parte viva del nostro corpo, e si rinnova continuamente, entrando in contatto con influenze esterne come l'aria nei polmoni e il cibo nell'intestino. L'aria e il cibo sono le influenze materiali più significative sul corpo. Il movimento del sangue guida questo sviluppo e rinnovamento ad altre parti del corpo.

Pertanto, in base alla velocità della circolazione sanguigna e alla frequenza del bisogno di cibo e di respirazione, si può stimare la velocità del rinnovamento del corpo. Negli animali superiori, nei mammiferi, a cui appartiene l'uomo, e negli uccelli, la circolazione sanguigna, l'alimentazione e la respirazione raggiungono la massima frequenza; e, di conseguenza, nonostante l'apparente costanza della forma, questi sono gli organismi più mutevoli e più rapidamente rinnovati. Ecco perché questi animali sono meno di tutti gli altri in grado di sopportare la privazione dell'aria e del cibo.

Gli uccelli, in particolare, possono superare i mammiferi sia nella velocità della circolazione sanguigna che nel calore del corpo, anch'esso dovuto al sangue. Gli uccelli sono senza dubbio i più belli tra tutti gli animali: la grazia delle forme, la facilità di movimento, il dono del canto: tutto ciò testimonia che gli uccelli sono organismi di alto livello, dove la natura ha raggiunto i limiti nel suo sforzo di attuare l'idea di un animale di un certo tipo. Gli uccelli tuttavia hanno un chiaro svantaggio: una testa piccola e, quindi, un cervello piccolo. La natura ha donato, per così dire, la loro testa alle ali, di cui l'uomo è così invidioso; secondo le leggi della meccanica, affinché il volo abbia leggerezza e agilità, la testa non dovrebbe avere dimensioni troppo grandi.

Tutto questo per dimostrare che il continuo rinnovamento del corpo è l'indizio di un'alta organizzazione e che i cambiamenti nell'organismo sono propri dell'essenza stessa della vita. Quindi nel corpo non esiste nulla di costante, ma tutto scorre in esso, tutto si trasforma. Non solo cambia la sostanza di cui è costituito, ma la forma stessa del corpo e gli stessi fenomeni che si verificano sono soggetti a continui cambiamenti.

E' per questo che gli organismi dovrebbero essere visti come oggetti essenzialmente legati al tempo, cioè non come corpi, ma piuttosto come processi. Inoltre, come tutti i processi, sono limitati nel tempo, cioè hanno un inizio e una fine. Infatti, se immaginiamo un processo costante, immutabile, non c'è motivo per cui esso non possa continuare all'infinito come una linea retta. Ma se il processo evolve, lo fa con una certa direzione, come in una linea circolare o come una traiettoria che segue una certa legge e quindi avrà una lunghezza determinata proprio da questa legge.

Vediamo qui una differenza significativa tra organismi e corpi inorganici. I corpi inerti sono limitati solo nello spazio, non nel tempo. Quindi, per esempio, un pezzo d'oro occupa un volume completamente definito nello spazio, ha dei limiti precisi, ma non ha assolutamente nulla a che fare con il tempo. Per ragioni accidentali può essere distrutto da un momento all'altro, ma può anche persistere, rimanendo lo stesso pezzo d'oro per secoli o millenni. Nel tempo i corpi inerti non hanno limiti e tale indeterminatezza dobbiamo vederla come una mancanza, un difetto, dal momento che nello spazio la precisione nella posizione e nella dimensione è l'evidente perfezione di un oggetto materiale. Infatti, solo per la sua determinatezza nello spazio, ogni corpo esiste come corpo indipendente, distinto dagli altri; senza limiti non ci sarebbe corpo.

Gli organismi non sono solo limitati nello spazio, ma hanno anche un'altra perfezione, cioè sono limitati nel tempo; concepimento e morte, questi sono i limiti entro cui è contenuta la vita, così strettamente e precisamente come l'essenza di un corpo inanimato è racchiusa nei suoi confini spaziali. In questo modo, l'esistenza di ogni corpo organico diventa un processo ben definito; la continuazione indefinita nel tempo è caratteristica solo di un processo completamente vuoto e senza significato.

I corpi inerti non hanno confini nel tempo proprio perché il loro contenuto è nullo come organismi: non hanno vita, e quindi per loro non esistono nascita e morte. Un corpo inerte esiste in ogni istante di tempo, ma non va da nessuna parte, non fa nulla perché il tempo per esso non significa nulla; non ha un fine perché non si sforza in nessuna direzione, non può divenire nulla di diverso da quello che è.

Per convincerci definitivamente che il tempo limitato è davvero un valore positivo e non un difetto per gli organismi, cercheremo di confrontarli più in dettaglio con i corpi inerti, prima in relazione allo spazio e poi al tempo.

Nello spazio gli organismi si caratterizzano in quanto non solo hanno determinati limiti, ma hanno anche una dimensione precisa. Un pezzo d'oro o un cristallo di quarzo non hanno una dimensione definita; e non importa quanto grandi o piccoli siano, saranno tutti lo stesso pezzo d'oro o un cristallo di quarzo. L'uomo ha dei limiti per la sua crescita, non può raggiungere una statura molto più alta del normale. La quantità definita degli organismi non è qualcosa di arbitrario o casuale; ma dipende essenzialmente dalla loro stessa struttura, dalle funzioni che in essi devono essere realizzate. Nei nostri sogni, nel gioco della nostra fantasia, creiamo facilmente minuscoli nani o enormi giganti, ma, secondo le leggi della realtà, tali creature sono impossibili. Questo argomento è molto interessante, e ci torneremo più avanti, ma per ora notiamo soltanto che la determinatezza delle dimensioni degli organismi è una loro proprietà essenziale.

Ma ancora di più: essi hanno non solo confini esterni, ma sono anche delimitati all'interno, nelle loro parti. In un pezzo d'oro, spostandoci da un punto all'altro, incontriamo lo stesso oro ovunque. Negli organismi, invece, in certe posizioni si incontrano certe parti e non altre perché sono diverse l'una dall'altra, e le loro dimensioni a loro volta sono limitate come le dimensioni dell'intero organismo. Queste parti sono chiamate organi, e da esse deriva il nome significativo di organismo.

Se ora consideriamo un organismo in relazione al tempo, dobbiamo a fare analoghe osservazioni. Non solo la vita di un organismo ha dei limiti in generale, ma per ogni organo la durata della vita ha un certo valore. Non c'è traccia di tale limitazione nella natura inorganica. Non solo la vita ha dei limiti, ma parti di essa sono limitate; la vita si scompone in parti, di cui l'ordine e la durata non sono meno definiti, come lo sono la posizione e la grandezza degli organi del corpo. Così, passando dal concepimento alla maturità e dalla maturità alla decrepitezza, troviamo in ogni parte del tempo certi periodi, certe trasformazioni, e la loro totalità costituisce la vita, come la totalità degli organi costituisce il corpo.

La grandezza del corpo dipende dalle funzioni, dalle dimensioni e dalla posizione degli organi che lo compongono, esattamente come la durata della vita dipende dal contenuto e dalla durata dei periodi in cui è suddivisa; come i confini del corpo contengono tanta sostanza quanta è necessaria per l'organismo, così i confini della vita sono commisurati al suo contenuto.

Gli organi del corpo non sono uguali nella loro dignità: alcuni sono più importanti, altri meno; alcuni sono come dei capi, altri sono subordinati. Per gli organi della vita vegetale il sistema linfatico è il centro; il centro della vita animale, e quindi di tutto il corpo, è il sistema nervoso; il centro del sistema nervoso stesso è il cervello.

Analogamente, c'è una differenza di significato tra i periodi della vita. L'intera fase della vita uterina consiste di fenomeni inferiori, di sviluppo puramente vegetale e animale. Dopo la nascita, le manifestazioni propriamente umane prendono gradualmente il sopravvento; il periodo della maturità è il vero centro della vita, il centro sotto tutti gli aspetti, nell'animale, nella pianta, e anche nel puramente materiale. È noto che, nel corso di uno sviluppo normale, il peso e l'altezza di una persona raggiungono il loro massimo valore durante la maturità, mentre la vecchiaia è accompagnata da deperimento e talvolta anche da una leggera diminuzione della statura.

Da tutto ciò si vede che gli organismi, in quanto esseri temporali, presentano, per così dire, una certa organizzazione nel tempo, così come un'organizzazione nello spazio. Ribadiamo ancora una volta: un pezzo d'oro, non importa quanto sia grande o piccolo, rimane sempre lo stesso pezzo d'oro e, inoltre, può esistere per tutto il tempo che si vuole. Al contrario, ogni organismo ha una certa dimensione e può esistere solo per un certo periodo di tempo. Questa differenza nasce dal fatto che l'oro all'esterno è esattamente lo stesso che all'interno, e oggi è uguale a quello che sarà tra cento anni; nell'organismo c'è una struttura interna, c'è una centralizzazione da cui dipende la sua dimensione; e c'è sviluppo, sconvolgimenti, periodi da cui dipende la durata della vita.

Abbiamo giustamente chiamato la morte una delle perfezioni degli organismi, uno dei loro segni di superiorità sulla natura inerte. La morte è il finale dell'opera, l'ultima scena del dramma; come un'opera d'arte non può trascinarsi senza fine, così la vita degli organismi ha dei limiti. Questo esprime la profonda essenza, armonia e bellezza insita nella loro vita. Se l'opera infatti fosse solo una sequenza di suoni, potrebbe continuare all'infinito; se la poesia fosse solo un insieme di parole, allora non potrebbe nemmeno avere alcun limite naturale. Ma il significato dell'opera e del poema, il loro contenuto essenziale, richiedono un finale e una conclusione.

Se la stessa cosa accade negli organismi, allora sorge la domanda: in cosa consiste questo contenuto? E il finale è davvero necessario per questo contenuto? In altre parole, la legge secondo la quale la vita si compie, presuppone che essa sia delimitata da confini chiusi, così come una linea circolare o un'ellisse non vanno all'infinito, ma, seguendo la loro legge matematica, descrivono un percorso chiuso? Qui, come altrove, la forma dipende dal contenuto, il confine dall'essenza, l'esterno dall'interno, il visibile e il tangibile da ciò che è nascosto nel più profondo.

La legge della vita, come detto, è il miglioramento, lo sviluppo, cioè il movimento della vita non è altro che un passaggio da uno stato inferiore ad uno superiore. Già da questa semplice definizione è chiaro che questo movimento non può andare avanti senza fine. Infatti, qualunque cosa intendiamo per perfezione, qualunque concetto possiamo avere dell'ideale da raggiungere che la natura cerca negli organismi, non possiamo presumere che il perfezionamento continui senza fine e senza limiti. Il concetto di miglioramento senza fine è impensabile, perché contiene in sé una contraddizione inconciliabile.

Proviamo infatti a immaginare una perfezione senza fine, cioè una serie di gradi che vanno all'infinito, di cui ogni livello è superiore al precedente e inferiore al successivo, e dovremo ammettere che il concetto stesso di perfezione sarà inconcepibile. Anzi, dovremo accettare che non esista il perfetto o l'ideale, e che la perfezione nel senso pieno della parola sia impossibile. Così, quando si dice che le linee parallele si intersecano a una distanza infinita, significa che la loro intersezione non potrà mai avvenire. Inoltre, se la perfezione è irraggiungibile, allora ogni grado di essa è ugualmente lontano dalla meta e quindi non c'è differenza tra i gradi. In una linea retta, qualunque sia il punto che prendiamo, dobbiamo dire che è tanto lontano dall'estremità della linea quanto lo è qualsiasi altro punto; spostandoci da un punto all'altro, non possiamo dire che ci stiamo avvicinando alla fine, poiché la retta non ha fine. Passando da un grado all'altro in una serie infinita di gradi, non si può mai dire che si stia passando da un grado meno perfetto ad uno più perfetto; tutti i gradi, ovviamente, saranno equivalenti, ugualmente imperfetti, ugualmente lontani dalla perfezione[4]. In generale, poiché l'unica misura della perfezione può essere solo la perfezione stessa, allora, sostenendo che questa misura è irraggiungibile, non potremo mai comprendere la perfezione.

Prendiamo l'esempio più semplice: la statura umana. Possiamo valutare la crescita perché ne conosciamo la misura: la crescita normale di una persona. Pertanto, diciamo di una persona che ha una statura eccellente, che è alto, che la sua altezza è troppo piccola, eccetera. Ma se immaginiamo che la crescita di una persona non abbia limiti, allora tali giudizi sarebbero del tutto impossibili, non ci sarebbe statura né troppo grande né troppo piccola; non ci sarebbero affatto adulti, e tutti sarebbero solo bambini, cioè tutti sarebbero considerati ugualmente piccoli, e ogni gigante sarebbe un pigmeo rispetto a un altro gigante. Pertanto, nessuno potrebbe essere né gigante né pigmeo.

È noto che la mente umana è portata a confrontare le cose con una grande unità di misura, l'infinito. Swift, nei “Viaggi di Gulliver”, e Voltaire nel suo “Micromega”, hanno fantasticato su questo argomento[5]. Micromega è alto centoventimila piedi, e Voltaire nota che è una bella altezza. Leibniz si spinge ancora oltre in una delle sue lettere: immagina un gigante così grande che il sistema solare potrebbe servirgli da orologio da tasca[6].

Ma non appena confrontiamo tutto con l'infinito, ogni misura perde senso. Quindi, se vogliamo misurare, se vogliamo quantificare gli oggetti, allora dobbiamo necessariamente prendere un'altra unità di misura, ben definita. E se una tale misura non esistesse, allora il mondo sarebbe un caos impensabile. Ecco perché siamo così convinti che tutto in esso sia organizzato secondo misura, numero e peso.

Così come per ogni organismo c'è una dimensione caratteristica e, in generale, più questa è definita, più è alto il livello dell'organismo, così c'è un'epoca di perfezione, un'epoca di raggiungimento dell'ideale verso il quale i suoi miglioramenti si dirigono. Quando si parla di un bambino si dice spesso: “come è cresciuto!”, e intendiamo con questo l'approssimazione alla normale statura umana. Analogamente, osservando lo sviluppo di ogni organismo in generale, lo misuriamo con la maggiore o minore approssimazione al pieno sviluppo, al tempo della perfezione.

Infatti la caratteristica essenziale degli organismi è quella di avere un'epoca di maturità. Questa epoca può essere chiamata il centro della vita nel tempo, la parte centrale della vita, proprio come nello spazio chiamiamo il sistema nervoso la parte centrale di un animale.

Vediamo che l'epoca della maturità è un passaggio necessario di ogni organismo, e discende dal concetto stesso di sviluppo o perfezionamento. È quindi molto strano che Schleiden, il famoso botanico, che si interessò particolarmente allo studio dello sviluppo delle piante, ritenesse che le piante non avessero una maturità, e che la differenza essenziale tra la vita animale e la vita vegetale risiedesse nel fatto che gli animali hanno un'età matura, mentre la pianta è in una fase di continua metamorfosi [7].

Schleiden qui ha esagerato perché voleva evidenziare il più possibile l'importanza degli studi sullo sviluppo delle piante; se non hanno giovane età, non c'è un'età che dovrebbe essere studiata più delle altre. C'è, tuttavia, un secondo aspetto nell'osservazione di Schleiden; effettivamente non si può negare che nelle piante l'età della maturità sia meno definita e meno evidente che negli animali. Ma una tale minore determinatezza, una tale concentrazione di vita meno in risalto, è una caratteristica comune non solo delle piante, ma degli organismi inferiori in generale, e di conseguenza degli animali inferiori. Ed è noto che con questi animali i ricercatori si trovano in grande difficoltà quando devono determinare l'epoca della maturità. Sarebbe errato concludere da questo che essi non hanno affatto maturità, così come non sarebbe corretto inferire dall'assenza di manifestazioni superiori di volontarietà e sensazione sulla completa assenza di qualsiasi sensazione e intenzionalità.

L'uomo, come organismo superiore, rappresenta il modello più alto di sviluppo della vita e in lui l'era della maturità è chiaramente definita. Spesso durante i dieci, anche vent'anni di età adulta, non notiamo quasi nessuna differenza prodotta dagli anni; tutte le forze corporee e mentali raggiungono la massima energia e agiscono in completa armonia; carattere, modo di pensare, voce, movimento, eccetera, tutto è determinato, perde la mobilità e l'incostanza tipiche della giovinezza e assume forme stabili. Qui l'organismo ha raggiunto il suo massimo e si ferma, rimane a questa altezza proprio perché non può salire più in alto.

Quindi, quando il movimento inarrestabile della vita produce nuovi fenomeni nell'organismo, questi nuovi cambiamenti non possono più essere un passo avanti, ma rappresentano necessariamente un declino che porta alla vecchiaia e alla morte.

Perciò gli organismi sono soggetti al seguente inevitabile dilemma: se un organismo potesse migliorare all'infinito, non raggiungerebbe mai l'età adulta e la piena manifestazione delle sue facoltà; sarebbe sempre solo un adolescente, una creatura in continua crescita e mai destinata alla sua perfezione.

Se l'organismo nell'epoca della sua maturità diventasse improvvisamente immutabile, presentando solo fenomeni ciclici, allora il suo sviluppo cesserebbe, non accadrebbe in esso più nulla di nuovo e non potrebbe esserci vita.

Quindi la decrepitezza e la morte sono una conseguenza necessaria dello sviluppo organico in quanto derivano dal concetto stesso di sviluppo. Questi sono i concetti e le considerazioni generali che spiegano il significato della morte.

Quanto più si comprende profondamente la vita, tanto più si intuisce il senso della morte, e tanto più inevitabilmente si deve ammettere la sua necessità. Come esempio di sviluppo prendiamo quello mentale perché lo possiamo comprendere meglio di tutti gli altri.

La graduale espansione della nostra conoscenza, la graduale chiarificazione della nostra visione del mondo, una comprensione sempre più profonda di tutto ciò che ci circonda, dimostrano, senza dubbio, un miglioramento. L'attività della mente è la più autocosciente di tutte le attività essendo prodotta e diretta dalla mente stessa. Passando da una visione delle cose all'altra, la mente conserva entrambe davanti a sé e volontariamente, sulla base di un giudizio libero, abbandona una visione in favore dell'altra.

Con un tale passo in avanti, nulla si perde di vista, ad ogni istante tutte le convinzioni e le concezioni precedenti possono essere richiamate e conservare tutta la loro forza, così da sottomettersi alle nuove solo per la forza superiore di queste ultime. La mente è il giudice supremo nelle sue cose in quanto, per sua stessa essenza, accetta e riconosce ogni autorità solo liberamente e consapevolmente. Quindi lo scetticismo è meno possibile qui che in qualsiasi altro ambito; i diversi gradi della vita mentale non possono essere considerati un vuoto gioco di mutamenti, un insensato cambiamento di stati, diversi ma ugualmente lontani dalla verità.

Ma immaginiamo che questo miglioramento non abbia fine, che la comprensione del mondo, e dell'essenza di ciò che ci circonda, cambi all'infinito. Allora, davvero, la realizzazione personale sarà impensabile. Infatti, per quanto una persona lavori, per quanto espanda la sua conoscenza e approfondisca la sua comprensione, rimarrà costantemente un ignorante e un incompiuto. “Vivi un secolo, impara per un secolo e morirai da sciocco”: è così che la beffarda mente russa ha espresso questo sguardo cupo sullo sviluppo mentale. La diretta conseguenza di questo proverbio sarebbe, ovviamente, che non c'è alcun bisogno di imparare.

Se impariamo o, in generale, se ci preoccupiamo del nostro sviluppo mentale, è perché siamo fiduciosi di poter raggiungere una comprensione reale e matura delle cose. Solo in vista di questo obiettivo, nella speranza di raggiungere un'attività mentale stabile e piena, ci sacrifichiamo in grandi sforzi. Siamo pronti a cambiare cento volte le nostre opinioni, siamo pronti a sottoporle ogni minuto a critiche severe, non per vivere in una sorta di ciclo eterno, ma proprio per raggiungere alla fine convinzioni ferme e ben sicure che nessuno può mettere in discussione. In questo modo siamo fiduciosi di poter imparare, di illuminare la nostra mente, di diventare persone consapevoli di ciò che ci circonda. In breve, anche per la mente, attendiamo con impazienza un'epoca di maturità, di completo autocontrollo e indipendenza. Conoscenze misteriose, concetti inaccessibili  collocati nell'antichità o nel lontano futuro, saranno sempre un'autorità estranea e restrittiva per la mente, una violenza intollerabile.

Per questo esigiamo da una persona pienamente sviluppata come un dovere, un adempimento di un obbligo morale, una certa fermezza di convinzioni; è la persona stessa che deve definire e fissare il suo atteggiamento verso tutte le questioni importanti. Le diamo il diritto di farlo e la biasimiamo se non sarà in grado di esercitare questo diritto.

Quindi, la mente cerca inevitabilmente il diritto di giudicare tutto, di diventare maggiorenne, e tutti i suoi sforzi si basano sulla fiducia di poter raggiungere questo obiettivo.

Ma supponiamo ora che l'attività mentale abbia raggiunto la maturità, la visione delle cose del mondo abbia acquistato compiutezza, armonia e capacità di discriminazione; adesso non c'è nessun posto dove andare. Andare oltre significherebbe rinunciare al raggiungimento della maggiore età, doversi sforzare di nuovo, di nuovo considerarsi incapaci di giudicare, e quindi dover ritrovare un nuovo equilibrio. Di conseguenza, se avessimo una vera indipendenza e fermezza di giudizio, allora non sarebbe più possibile innalzarci ancora.

Eppure il movimento è inevitabile. La visione del mondo diventa più definita, più distinta e al tempo stesso più limitata, più ristretta. Succede che appare chiaramente una contraddizione inconciliabile: da una parte si sente l'impossibilità di deviare dai principi che sono stati acquisiti da tutta una vita e della cui verità non dubitiamo; dall'altro c'è la coscienza del limite e, di conseguenza, gli errori nelle nostre conclusioni, in particolare degli sviluppi della nostra visione del mondo. Qual è la via d'uscita?

Notiamo che lo sviluppo mentale, essendo il più puro e il più forte, raggiunge la maturità dopo tutti gli altri aspetti in via di sviluppo, si mantiene più ostinatamente al suo livello più alto, così che la vecchiaia della mente subentra dopo l'indebolimento di tutte le altre facoltà. Per quanto siano tristi gli altri segni della tarda età nel nostro corpo e nella nostra anima, nulla può essere più desolante, per noi stessi e per gli altri, della vecchiaia della mente. Ma la mente brilla per se stessa e quindi protegge la sua luce così diligentemente e per tutto il tempo come nessun'altra forza dell'organismo.

Ecco perché, con un'elevata attività, la mente rimane lucida e forte fino alla vecchiaia, quasi fino ai suoi ultimi minuti, così che una persona non ne sperimenti il declino. Su questo si basa il popolare affidamento sulla saggezza degli anziani, la convinzione che lo sviluppo della loro vita mentale non declini nemmeno nell'estrema vecchiaia.

In generale, la morte è notevole per la sua velocità: riduce rapidamente l'organismo da uno stato di attività e forza alla semplice decomposizione. Quanto lentamente l'uomo cresce e si sviluppa! E quanto velocemente si dissolve!  La ragione di questa rapidità sta proprio nell'elevata organizzazione dell'essere umano, nella stessa superiorità del suo sviluppo. Un organismo elevato non tollera alcun disturbo significativo nelle sue funzioni, mentre gli organismi inferiori non vengono distrutti anche in seguito alle deformazioni più gravi. Ci sono animali che possono essere tagliati a pezzi, e ogni pezzo rimane vivo. Uno sviluppo superiore e armonico non tollera un abbassamento di questo livello, e quindi il declino diventa un colpo drammatico che può distruggere l'intero edificio del corpo.

Vista da questa prospettiva, la morte è una grande benedizione. La nostra vita limitata è comunque abbastanza lunga per permetterci di sviluppare compiutamente la nostra umanità, ma la morte ci risparmia dal sopravvivere a noi stessi.

NOTE

  1. Il poema "al Nobile" è rivolto al principe Nikolai Borisovich Yusupov (1751-1831), diplomatico sotto Caterina II, in seguito ha diretto L'Ermitage.

  2. Strakhov combina diversi versetti del primo capitolo del "Libro dell'Ecclesiaste, o del predicatore" (1:2, 9-10) nell'Antico Testamento.

  3. Elegia di Nikolai Platonovich Ogarev (1813-1877) "Sono spesso confuso nell'anima" (1846)

  4. Il ragionamento di Strakhov sulle serie di potenze non è matematicamente del tutto corretto, ma l'essenza della sua polemica con il concetto di approssimazione infinita all'ideale assoluto (ad esempio, la verità assoluta) non ne soffre. Non si può parlare di quanto siamo vicini alla verità assoluta se non ci è nota.

  5. L'opera di Voltaire "Micromegas. A Philosophical Tale" (1752) fu quasi immediatamente tradotta in russo, anche dal poeta A.P. Sumarokov. Strakhov fa riferimento a questa storia in modo più dettagliato di seguito, nel capitolo "Gli extraterrestri".

  6. Non è stato possibile determinare a quale lettera si fa riferimento. Il confronto non solo del sistema solare, ma dell'universo nel suo insieme con un meccanismo a orologeria (Horologium Dei - l'orologio di Dio) si trova spesso nelle opere e nelle lettere di Leibniz.

  7. Schleiden, M. “Grundzüge der wissenschaftlichen Botanik”  (l'opera apparve in due volumi nel 1842-1843).

8. Il contenuto della vita organica

 "La forma non significa nulla, ciò che conta è il contenuto". Questo è il modo con cui vengono comunemente intesi i concetti di forma e contenuto. Siamo naturalmente portati a distinguere la forma dal contenuto e diamo alla forma un significato secondario e persino insignificante, mentre consideriamo essenziale il contenuto. La filosofia ha da tempo evidenziato quanta poca profondità ci sia in una tale visione. Per Aristotele la forma dà l'essere delle cose, ed Hegel sostiene che forma e contenuto delle cose coincidono[1].

In effetti questa idea comune della forma ci impedisce di conoscere e capire gli oggetti materiali. La forma è evidentemente ciò che possiamo cogliere più facilmente, mentre il contenuto è sempre qualcosa di nascosto o inaccessibile. Pertanto, se non capiamo cosa sia la forma, non percepiamo il suo senso e la trattiamo come un guscio vuoto, allora l'essenza dell'oggetto rimarrà per noi sempre più oscura e sfuggente.

Siamo portati ad attribuire a tutto un significato misterioso e profondo, e da questo derivano molti errori; spesso non capiamo le cose più chiare che stanno accadendo davanti ai nostri occhi, perché cerchiamo il loro significato molto lontano.  Quindi, per comprendere l'essenza delle cose, è necessario esaminare rigorosamente l'espressione della loro forma.

Siamo abituati all'idea che ci siano forme vuote, ma solo l'essere umano è capace di creare forme vuote prive di contenuto. La natura non inganna né complica le cose, e ogni forma segue direttamente dall'essenza dell'oggetto; la sua bellezza, la sua ricchezza e la sua diversità sono la vera espressione del suo contenuto.

Guardiamo, per esempio, i motivi che il gelo dipinge sul vetro. Nei mesi invernali dei paesi freddi queste decorazioni sono una delle bellezze della natura, quasi come fiori in estate o frutti in autunno. Come sono bizzarri e variegati! Le loro forme sembrano controllate soltanto dal capriccio e dalla fantasia del gelo, che di notte si impegna segretamente in questo disegno. Ad un esame più attento, però, si vede che i motivi sono composti seguendo leggi precise ed immutabili. L'intero schema è costituito da piccoli cristalli più o meno regolari e la forma di questi cristalli dipende solo dall'essenza della sostanza di cui sono composti, cioè l'acqua; la disposizione dei cristalli in forma di stelle, alberi, eccetera, segue regole rigorose. Vediamo quindi come la forma sia strettamente collegata all'essenza.

Ma cos'è un cristallo? Cercheremo di spiegarlo nella misura necessaria per la questione di cui stiamo parlando. Il cristallo è la forma regolare pertinente ai corpi inorganici. Proprio come le piante e gli animali hanno forme ben definite, così anche i corpi privi di vita le hanno. Di solito non ce ne accorgiamo e immaginiamo, ad esempio, che la pietra non abbia una forma essenziale. In effetti, per piante e animali, la forma è più importante e significativa che per una pietra. Se a un organismo non è permesso di rivelare la sua forma muore. Taglia l'animale a metà: morirà e si disperderà nei gas, si sbriciolerà in polvere; rompi una pietra a metà e le sue metà rimarranno sempre pietre[2]. Per questo i minerali che incontriamo sono solitamente informi e si ammassano negli enormi accumuli indistinti che costituiscono la superficie della Terra. Ma se lasciamo il minerale libero di espandersi, questa massa priva di vita assumerà una forma ben precisa. In molti luoghi porosi e stratificati della Terra, dove si verificano condizioni favorevoli, troviamo queste forme, chiamate cristalli.

I cristalli sono una delle opere più belle della natura; se sono abbastanza ben formati, allora si distinguono per durezza, brillantezza, trasparenza, delicatezza del colore, eccetera, tanto da diventare pietre preziose. Il diamante, per esempio, è un cristallo della stessa sostanza di cui è composto il carbone.

Qual è la forma dei cristalli? Per semplicità, prendiamo il sale che mettiamo nei nostri pasti. Se lo sciogliamo in acqua e poi lo lasciamo sedimentare liberamente dalla soluzione, si creeranno delle forme regolari, dei cubi. Altre sostanze producono diverse forme, come prismi esagonali (acqua), ottaedri (diamante), parallelepipedi, ecc. Ma in tutti i cristalli si osservano le seguenti caratteristiche comuni:

1) Tutti i cristalli sono limitati solo da superfici piane.
2) Ogni piano del cristallo ha un corrispondente piano parallelo sulla faccia opposta

Queste sono le leggi principali delle forme cristalline. Che significato hanno? Ne daremo un'interpretazione, forse non del tutto completa e accurata, ma certamente plausibile.

I piani del cristallo, se sono ben formati, si caratterizzano per la massima uniformità matematica. Qual è la legge che regola questa così rigorosa disposizione? Notiamo, prima di tutto, che il piano è la più semplice di tutte le superfici possibili, e vedremo il significato che ha per il minerale stesso.

Il cristallo è completamente uniforme lungo tutta la superficie dei piani che lo limitano. Analogamente, in una superficie quasi sferica, come quella di una goccia d'acqua, è necessario che le parti adiacenti alla superficie siano omogenee e uniformi. Ma il piano ha la massima semplicità sotto un altro aspetto: le facce inferiore e superiore del piano sono uguali. Una superficie sferica invece è convessa all'esterno e concava all'interno; su un piano, e solo su un piano, entrambe le facce non sono diverse. Da ciò concludiamo che questa superficie ha esattamente lo stesso rapporto con il cristallo stesso e con ciò che è esterno al cristallo. Delimitando il cristallo, lo separa semplicemente da tutto il resto, mentre ogni altra superficie sarebbe non solo una separazione, ma anche una limitazione particolare. Quindi, anche la più semplice delle superfici non planari, cioè quella sferica, presenta già un limite particolare; infatti abbiamo sempre ragione di porci la domanda: perché la superficie che limita l'oggetto è rivolta verso l'interno del corpo con il lato concavo, e verso l'esterno con il lato convesso?

Ovviamente è possibile separare l'esterno dall'interno solo sulla base di qualche rapporto speciale tra l'esterno e l'interno; ad esempio, se l'oggetto ha la forma di una palla, allora indica la stessa relazione con tutte le direzioni. La forma rotonda di una goccia dipende dal fatto che le particelle del liquido in essa contenute seguono solo l'attrazione reciproca e non dipendono da alcuna influenza esterna. Inoltre, il fatto che la concavità sia rivolta verso l'interno indica la tendenza di tutte le particelle della goccia ad andare dall'esterno verso l'interno, e l'attrazione reciproca in linea retta determina e spiega la forma della goccia. Se la concavità fosse rivolta verso l'esterno come, ad esempio, in una coppa di fiori, ciò indicherà una relazione diversa. In effetti, qui possiamo chiederci: dove è diretto il fiore che esce dal vaso? È noto che, per la maggior parte, i fiori sono rivolti verso l'alto all'esterno della pianta da cui germogliano, e questa posizione deve essere importante per la vita stessa del fiore.

Così vediamo che la superficie dei cristalli mostra l'assenza di qualsiasi relazione con ciò che li circonda. Ne saremo ancora più convinti da ulteriori considerazioni. Se la relazione tra il mondo esterno e l'oggetto è di grande importanza per l'oggetto stesso, allora questo presenterà necessariamente una divisione interna, in  modo da distinguere le parti esterne da quelle interne. Quindi, in tutti gli organismi, le parti esterne, in quanto interagenti con il mondo esterno, differiscono da quelle interne. Allo stesso modo, l'organismo più semplice, la cellula, ha un contenuto interno e un guscio, che regola le sue relazioni le sostanze che la circondano.

Il cristallo non ha nulla del genere. I cristalli sono omogenei e uniformi in tutta la loro massa, non c'è nulla di centrale o interno che sia diverso dall'esterno. Questo spiega la seconda legge delle forme cristalline, cioè il parallelismo dei piani.

Vediamo così che la forma del cristallo esprime, con la perfetta omogeneità della sua massa, la sua completa indifferenza e insensibilità verso ciò che lo circonda. La caratteristica essenziale dei cristalli, e anche quella dei corpi inorganici in genere, è che le loro proprietà non sono legate ad alcun influsso esterno, ma dipendono solo dalla loro stessa essenza, dalla sostanza di cui sono composti.

Non così nei corpi organici: gli organismi sono esseri che, per loro stessa natura, interagiscono necessariamente con il mondo che li circonda. Questa proprietà fondamentale si ripercuote anche nella loro forma. Per sua stessa definizione, la forma di un oggetto non è altro che il suo limite, il suo confine in mezzo alle altre cose, e quindi il significato principale della forma va ricercato proprio nel rapporto di ogni oggetto con il mondo esterno.

Le forme organiche sono estremamente diversificate. La loro scienza, la cosiddetta morfologia, è ancora lontana da un'elaborazione corretta e rigorosa di questa materia. Pertanto, invece di una panoramica completa, daremo qui solo alcune interpretazioni come esempi.

Cosa si può dire delle forme vegetali in generale? La differenza con i cristalli che salta subito all'occhio è che nelle piante la parte superiore è sempre diversa da quella inferiore, e possiamo facilmente immaginare da che cosa questo dipenda: la parte inferiore interagisce con il terreno, la parte superiore con l'atmosfera. Una delle piante inferiori, il lichene, si presenta sotto forma di macchie rotonde piatte sulle pietre e sulle cortecce degli alberi, e lo strato inferiore è ovviamente diverso da quello superiore.

Nelle forme più complesse, la relazione della pianta con tutto ciò che la circonda si rivela ancora più chiaramente. Prendiamo un normale albero, con le fronde in alto, le radici nella parte inferiore e il tronco cilindrico in mezzo. Tutti gli influssi esterni sul tronco sono uguali e questo è il motivo della sua sezione circolare. La lunghezza del tronco rappresenta la distanza a cui rami e foglie vengono elevati dal suolo verso l'aria e la luce. In una foresta si vede come i tronchi si allunghino in mezzo agli altri alberi fino ad esporre le loro cime all'aria libera e alla luce. Il significato dei rami è lo stesso di quello del tronco: si allungano e si ramificano in tutte le direzioni per creare spazio per disporre meglio le foglie. Inoltre, ogni foglia poggia su un picciolo sottile, in modo da oscillare nell'aria; le foglie sono piatte e così aria e luce possono agire su ogni punto della loro sostanza; se avessero uno spessore maggiore, questa azione potrebbe verificarsi solo sul loro strato esterno. Le vene dure corrono lungo le foglie e impediscono al sottile piatto fogliare di piegarsi e arricciarsi coprendo alcune parti.

Davanti a noi ora c'è l'immagine completa di un albero, e vediamo come le sue forme corrispondano perfettamente alla sua vita interiore, cioè alla sua incessante interazione con la luce e l'aria e, in generale, con tutti ciò che è presente nell'atmosfera.

Nella parte sotterranea dell'albero assistiamo ad un fenomeno del tutto analogo; le foglie, troppo grandi e fragili per penetrare nel terreno, diventano le diramazioni delle radici, innumerevoli fili sottili che si fanno facilmente strada tra le particelle del terreno. Tuttavia, l'interazione con l'ambiente esterno qui è più debole e la radice, contrariamente all'opinione generalmente accettata, non è l'organo principale della pianta[3].

Altre parti più complesse della pianta, come il fiore e il frutto, hanno forme più difficili da spiegare. Ma anche qui possiamo fare molte considerazioni in base alla loro forma. Ad esempio, la struttura rotonda del frutto o la figura dei fiori a forma di stella, rivelano l'uguaglianza delle relazioni da tutti o da alcuni lati. Ci sono fiori che non sono aperti in alto o in basso, ma di lato; tali fiori spesso perdono la loro forma a stella, i loro lati superiore e inferiore sono diversi, e solo i lati destro e sinistro sono uguali. Questo è il caso dei piselli e di molte piante simili.

Se passiamo dalle piante agli animali, troveremo forme che si possono interpretare ancora più facilmente, proprio perché gli animali interagiscono con il mondo esterno con energia incomparabilmente maggiore, e quindi la loro stessa forma dipende molto più strettamente da questa interazione. Gli animali, a differenza dalle piante, percepiscono le influenze esterne con la sensazione, e rispondono ad esse intenzionalmente. La sensazione è per sua stessa essenza un processo interno e non può manifestarsi in una forma esterna: dal tipo di sensazione è impossibile dedurre le forme dell'essere senziente.

Una pianta è completamente a contatto con il mondo circostante, all'aria e al suolo, e potrebbe quindi avvertire comodamente la loro azione, e tuttavia siamo generalmente convinti che le piante non abbiano sensazioni. La luce agisce su ogni punto della pianta, ma la pianta non vede questa luce. Al contrario, gli animali hanno piccoli punti misteriosi sul corpo, spesso due, a volte solo uno, e in questi punti si realizza un grande miracolo, la visione.

Ma se la sensazione, che è qualcosa di completamente interno, non si esprime esplicitamente in forme esterne, questo essere deve necessariamente possedere un qualche tipo di volontarietà. Sentire significa anche distinguere tra piacevole e sgradevole, quindi cercare l'uno ed evitare l'altro. Un'azione volontaria sul mondo esterno deve essere espressa in forme esterne; e, in effetti, dalle forme degli animali è facile vedere che sono esseri dotati di volontarietà. Questo è quello che vogliamo adesso provare.

Il mondo esterno è il mondo materiale, quindi le azioni di un animale non possono che essere materiali e di queste ce ne sono di molto diverse. Ci sono animali che si proteggono e allontanano i nemici da se stessi con un cattivo odore; altri, come i serpenti, usano il veleno; alcuni pesci hanno un'abilità ancora più sorprendente: danno scosse elettriche. Ma è facile convenire che queste e altre azioni simili siano un segno di debolezza. L'azione più potente, e allo stesso tempo più libera, non può che essere meccanica. Pertanto, le creature dotate di intenzionalità devono agire sul mondo esterno principalmente meccanicamente, cioè muovendo parti del proprio corpo. Questa abilità si deve necessariamente ripercuotere nella struttura e nella meccanica dei loro corpi.

Ci sono molti animali inferiori che nascono e crescono in un posto e per tutta la loro vita possono muovere solo gli arti. Ma la maggior parte degli animali, anche quelli molto impacciati, può muovere tutto il suo corpo e spostarsi da un luogo all'altro.

La forma del corpo degli animali corrisponde chiaramente a questa capacità. Mentre la pianta si espande e si ramifica in tutte le direzioni, sia nell'aria che nel terreno, negli animali il corpo è più o meno tondeggiante e concentrato; parti del corpo dell'animale sono raggruppate attorno al baricentro in modo da rendere il movimento più agile e veloce. In più, solo pochi animali inferiori hanno una forma radiale e assomigliano a fiori o funghi;  e infatti si muovono molto male, o addirittura non si possono muovere affatto. Negli animali che si muovono bene la forma è diversa, ed è determinata dal movimento stesso. La parte anteriore, cioè quella che incontra gli ostacoli e che è diretta verso l'obiettivo del movimento, differisce nettamente dalla parte posteriore che la segue. Il lato inferiore, rivolto a terra o verso l'ambiente che funge da base per il movimento, differisce da quello superiore, libero e rivolto verso l'alto, cioè verso la luce e tutti gli influssi atmosferici. Invece i lati destro e sinistro sono esattamente uguali, infatti gli influssi esterni sono gli stessi in relazione al movimento. L'animale può essere diviso in due metà uguali dal piano che indica la direzione del movimento e, per un movimento equilibrato e veloce, è necessario che ci sia una perfetta suddivisione tra queste due parti del corpo. Allo stesso modo, la barca, la nave e tutte le vetture terrestri sono costruiti in modo rigorosamente simmetrico sui lati. Ecco perché si nota che negli animali che si distinguono per una particolare velocità e facilità di movimento, ad esempio negli uccelli e negli insetti, la simmetria dei lati destro e sinistro è rispettata in modo più rigoroso, mentre gli animali di forma asimmetrica sono quelli che si muovono peggio, come ad esempio le lumache, con la loro casa avvolta a spirale e molti altri animali affini.

Vediamo quindi come l'attività si esprima chiaramente nella forma di un animale. Solo una creatura in movimento spontaneo può avere una parte anteriore e una posteriore ben differenziati e i lati uguali. Gli oggetti inanimati, cristalli e piante, non hanno queste caratteristiche. L'uomo tende a creare oggetti artificiali in conformità con la struttura degli oggetti animati, di cui egli stesso è parte.

E, per ogni dato ambiente (aria, acqua o suolo) possiamo trovare il movimento più vantaggioso per un oggetto semovente. La forma stessa dell'animale deriverà rigorosamente da questo movimento. Quindi, vediamo che nell'aria la forma più vantaggiosa è quella di un uccello, nell'acqua quella di un pesce, e sulla Terra quella di un essere umano. Tutte le altre forme saranno solo un'approssimazione a queste forme fondamentali; non saranno le forme più vantaggiose in assoluto, ma quelle più vantaggiose in determinate condizioni e circostanze. È chiaro che gli animali superiori nelle loro forme sono più soggetti alle esigenze del movimento, mentre per quelli inferiori possono essere più importanti altre attività.

Per chiarire meglio, prendiamo un esempio particolare. è noto che, affinché un oggetto pesante rimanga in equilibrio stabile, deve essere sostenuto da almeno tre dei suoi punti. Se l'oggetto è allungato, e dunque prevale una dimensione, allora la stabilità più vantaggiosa si ha con quattro punti di appoggio posti ai lati delle estremità della dimensione prevalente. Gli animali sono per lo più oblunghi nella direzione del piano di movimento e questo dipende dal fatto che solo in questa direzione il corpo può allungarsi senza intralciare i movimenti. Di conseguenza, l'unica forma di supporto adatto per un animale di una certa massa saranno le quattro zampe.

Negli animali inferiori troviamo anche più di quattro zampe; gli insetti ne hanno sei, i ragni  otto e i gamberi dieci. Si vede, tuttavia, che una tale abbondanza di gambe non li aiuta minimamente a muoversi bene. Negli animali superiori, dove il movimento è molto migliore, troviamo solo quattro zampe, il minimo necessario; ulteriori gambe sarebbero solo un ostacolo.

Ma oltre alla leggerezza e alla velocità, la natura ha anche un obiettivo più alto: la massima libertà di movimento; e così ha creato il più sorprendente di tutti i suoi meccanismi, ovvero l'uomo. L'essere umano rappresenta una combinazione di equilibrio stabile e instabile allo stesso tempo. Un equilibrio instabile si verifica quando un oggetto è sostenuto da un punto che giace direttamente sotto il suo baricentro. Un essere umano cammina su due gambe, ma un tale movimento è possibile solo perché potrebbe anche stare in piedi su una gamba. Il corpo umano è sollevato dal piano di movimento, in modo che il baricentro si trovi esattamente sopra il piede della gamba d'appoggio. Per sostenere l'intero corpo, le gambe sono perfettamente dritte e molto forti. E poiché il movimento di tutto il corpo dipende dai loro movimenti, sono anche molto lunghe e relativamente muscolose. Inoltre, al fine di consentire all'essere umano di muoversi in modi molto diversi, alle gambe viene data libertà di movimento in tutte le direzioni.

L'uomo cade facilmente ma questo è, paradossalmente, uno dei segni della sua perfezione[4]. Infatti, un gatto o un cane quasi non possono cadere, ma un uomo, un cavallo e un elefante lo possono fare, inciampando anche in un luogo adatto al movimento. Cadere significa perdere potere sui propri movimenti, cedere improvvisamente il proprio controllo all'azione di una forza cieca: la gravità. Di conseguenza, nelle creature capaci di cadere, il peso del corpo è così grande che può tenersi in equilibrio dinamico solo muovendosi; la loro massa raggiunge il valore massimo che può essere controllato liberamente e rapidamente da una forza motrice volontaria.

La disposizione delle zampe dell'elefante è notevole in questo senso; si può affermare con certezza che l'elefante sia il più grande animale terrestre possibile. Il mammut, o elefante antidiluviano, era abbastanza simile al nostro elefante e lo superava leggermente in dimensioni. Animali più grandi di un elefante come le balene si trovano solo nell'acqua, dove il movimento è molto più facile.

Quindi, è chiaro che nell'elefante, dove la massa del corpo raggiunge il peso maggiore, le zampe devono avere una certa somiglianza con le gambe dell'uomo. Nonostante i quattro punti di appoggio, il corpo enorme rischia di cadere tanto quanto il piccolo corpo umano. Gli appoggi qui dovrebbero essere ancora più forti e resistenti, lunghi, e con grande libertà di movimento, perché altrimenti il corpo non potrebbe avere la velocità di movimento corrispondente alle dimensioni. Già gli antichi infatti notavano che le zampe posteriori dell'elefante, cioè quelle parti che corrispondono alle gambe umane, presentano con esse significative somiglianze. Le ossa lunghe di queste gambe, la coscia e gli stinchi, assomigliano chiaramente alle corrispondenti ossa umane. Le zampe posteriori dell'elefante possono funzionare solo grazie alle zampe anteriori. Possono sostenere e muovere comodamente solo il dorso dell'elefante, e non un corpo in posizione eretta gigantesco, corrispondente alle loro dimensioni.

L'uomo e l'elefante, in generale, sono animali in cui la natura ha risolto due problemi meccanici di massimo e di minimo[5]. L'elefante ha la massa più grande compatibile con un movimento ragionevolmente veloce. Un elefante non corre più veloce di un cavallo, quindi è abbastanza lento rispetto alle dimensioni del suo corpo. La massa non gli permette di correre più veloce, e farlo più lentamente significherebbe essere completamente goffi, inadatti alla vita. L'uomo, a causa della sua struttura meccanica, non può correre a lungo, ma cammina, cioè, rispetto ad altri animali, usa un metodo di movimento lento e quasi brutto, riducendo così la velocità al minimo per ottenere la massima libertà di movimento.

Si potrebbero aggiungere molte altre osservazioni dello stesso genere, ma non esiste ancora una meccanica razionale animale che determini le forme degli animali in base ai movimenti che compiono. Le prime basi di questa scienza furono poste da Aristotele e ulteriormente sviluppate da Galileo nelle sue "Conversazioni su due nuove scienze". Ma finora questa scienza è stata trattata solo in saggi non molto autorevoli[6].

Il movimento è comunque la causa principale che determina la forma dell'animale. In caso di necessità, l'intero corpo dell'animale si raccoglie in un'unica massa di forma quasi sferica, poiché più si concentra il peso, più è facile spostarlo. Da qui derriva è la struttura del corpo negli uccelli, in cui la testa, il collo e le zampe sono ridotti per quanto possibile, e il tronco arrotondato contiene tutto il peso del corpo.

Dal fatto che tutte le altre funzioni devono favorire il movimento, è possibile dedurre le forme di quegli organi che servono a queste altre funzioni. Gli animali, come le piante, sono esposti all'azione costante dell'aria, ed entrano in interazione con corpi liquidi e solidi, assorbendo cibo e acqua. Ma ciò che accade nelle piante esternamente, negli animali deve necessariamente avvenire all'interno.

La superficie corporea degli animali non può essere troppo grande, per cui non può esserci un'interazione diretta importante con l'aria. Per mantenere questa interazione, è possibile una sola tecnica: posizionare una grande superficie in un piccolo spazio, formando innumerevoli foglioline, bolle, che, tanto più piccole sono, quanto più possono essere contenute in un dato volume; l'aria, penetrando in questo labirinto, agirà su molti punti in un piccolo spazio. Questo è esattamente il modo in cui sono formati i polmoni degli animali.

In relazione ai corpi liquidi e solidi, gli animali non possono assumerli rimanendo sempre in un luogo come le piante. Per garantire che non ci sia interruzione nell'assorbimento del cibo, gli animali devono tenere all'interno del proprio corpo solidi e liquidi introdotti anche in grandi blocchi. Pertanto, deve esserci uno stomaco all'interno del corpo, che faccia da borsa dove immagazzinare il cibo. Per la natura stessa dell'animale, l'assunzione di cibo è limitata nel tempo e il cibo stesso deve essere concentrato in un unico luogo.

L'azione degli alimenti deve però avvenire in ogni momento e su tutto l'organismo, su tutti i punti del corpo. Per ottenere questo, di nuovo è possibile un solo metodo: ci deve essere una moltitudine di canali sottili in tutto il corpo e le particelle di cibo devono essere portate in questi canali in modo da interagire con le varie parti del corpo. Questo è il principio su cui si basa la circolazione sanguigna.

Quindi vediamo che l'interazione con il mondo esterno, che abbiamo trovato nelle piante, negli animali è completamente preservata e persino intensificata. La forma degli organi coinvolti deriva da questa interazione altrettanto chiaramente quanto la forma delle piante. Notiamo che le piante non potrebbero avere forme così concentrate come gli animali. Per avere uno stomaco, bisogna avere la capacità di assorbire il cibo; affinché l'aria si muova nel labirinto dei polmoni e il sangue scorra nelle vene, è necessario l'intervento di una forza animale, il petto deve alzarsi e abbassarsi e il cuore deve battere. Le forme utilizzate dalle piante per interagire con il mondo esterno sono le più semplici e comode; le forme assunte dagli animali sono più complesse, ma sono perfettamente convenienti per loro perché hanno l'aiuto della forza meccanica. Ecco alcune considerazioni generali che vengono chiamate teleologiche.

Alla teleologia, cioè all'affermazione che le proprietà delle cose sono coerenti con determinati obiettivi, i naturalisti guardano ancora molto sospettosi e sprezzanti. Ciò è in parte dovuto al fatto che la teleologia, con insufficiente rigore dei concetti, commette molti errori. Ma da una cattiva applicazione non segue che i principi debbano essere sbagliati. I fondamenti della teleologia furono riconosciuti dal grande Cuvier, che con il rigore di pensiero che contraddistinse il suo genio, cercò di dare ad essi il giusto significato. Ecco le sue parole:

“Poiché nulla può esistere se non ha tutte le condizioni in sé per rendere la sua esistenza possibile, allora le varie parti di ogni creatura devono essere disposte conseguentemente, in modo che il tutto possa esistere non solo in sé, ma anche in relazione agli esseri che lo circondano; l'analisi di queste condizioni porta spesso a leggi generali, altrettanto rigorosamente dimostrabili, come lo sono le leggi matematiche o empiriche."

Così formulato, il principio della teleologia è incontrovertibile perché è di per sé evidente; nella sua forma più semplice equivale ad affermare che solo ciò che non contiene contraddizioni in sé può esistere. Kant e Hegel hanno spinto la questione ad una soluzione completa e definitiva. Essi distinguono tra teleologia esterna ed interna[7]. La teleologia esterna si pone obiettivi che stanno al di fuori degli oggetti stessi; tali obiettivi saranno sempre vaghi, relativi, condizionati. La teleologia interna cerca invece di trovare gli scopi inerenti agli oggetti stessi, derivanti dalla loro stessa natura; tali obiettivi saranno sempre definiti, essenziali, necessari. La legge di questa teleologia può essere espressa come segue: in ogni essere deve esserci tutto ciò che consegue dal concetto di questo essere. Questa posizione è di per sé perfettamente chiara, ma dice più della legge di Cuvier. La legge di Cuvier limita gli esseri, stabilisce le condizioni della loro esistenza, mentre la teleologia interna esige la completezza degli esseri e ne indica la perfezione.

Il concetto di animale implica quello di oggetto semovente. Di conseguenza, se deduciamo rigorosamente le conseguenze derivanti dal fatto che l'animale si muove liberamente, allora, in un certo senso, costruiremo un animale. Le osservazioni che abbiamo fatto sopra si riferiscono proprio a tale costruzione.

Anche se facciamo ricerche sperimentali, non dobbiamo dimenticare che esse devono condurci alla stessa teleologia interna, perché ogni fatto, ogni fenomeno di un oggetto riceve una spiegazione completa solo quando alla fine vediamo che deriva dal concetto stesso di quel soggetto, in modo che sia la ricerca sperimentale che quella teorica abbiano lo stesso obiettivo e coincidano nei risultati.

La forma delle cose segue dal loro contenuto, e quindi, per trovare il contenuto, dobbiamo esplorare la forma e trovare il contenuto che le corrisponde. Questo è il modo in cui abbiamo esaminato i cristalli e le forme organiche. E qual è il contenuto che siamo arrivati a comprendere negli organismi in base allo studio delle loro forme?  Possiamo definirlo come l'aumento graduale dell'interazione con il mondo esterno, o perlomeno questa è una delle caratteristiche insite nel concetto di organismo associata alla sua essenza più profonda. L'essenza è determinata dalla mente; essenza è ciò che esiste incondizionatamente e necessariamente.

NOTE

  1. "Io chiamo forma l'essenza dell'essere della cosa" - Aristotele (metafisica, 1035 IZZ, 1032 S, ecc.).
    "Senza forma non c'è contenuto" - Hegel (Scienza della logica, libro Due, sezione uno, capitolo tre).

  2. Quanto sopra non si applica agli animali inferiori (invertebrati) in cui è possibile la completa rigenerazione (recupero) da un piccolo pezzo di corpo. Nei mammiferi e nell'uomo è possibile solo la rigenerazione dei singoli tessuti.

  3. Strakhov ha ragione: dal punto di vista della moderna botanica evolutiva, la radice è apparsa (filogeneticamente) più tardi del fusto e si è evoluta da ramoscelli simili a radici (rizomoidi) delle prime piante ad apparire sulla terraferma.

  4. Il movimento (camminare) di una persona come processo di "caduta continua in avanti" è considerato in numerosi libri su Funny Mechanics di YV Perelman e altri autori.

  5. Qui Strakhov intende i problemi di massimo e minimo, la cui soluzione si trova nella combinazione ottimale di determinati parametri (lat. optimus - il migliore).

  6. Nell'opera di G. Galileo "Conversazioni e prove matematiche su due nuove scienze" (1638), vengono affrontate, tra l'altro, domande sul rapporto tra dimensione, struttura e resistenza delle ossa animali.

  7. L'idea di "teleologia interna risale al concetto di entelechia in Aristotele (dal greco: εντελεχεια- un fine che agisce all'interno (dell'organismo).

9. Il contenuto della vita umana

Molto spesso si incontrano persone che fanno, quasi senza pensarci, esclamazioni come queste: "l'uomo è fatto così", "questa è la natura umana", come se davvero l'uomo potesse essere stato creato in mille modi diversi o come se davvero avessimo scoperto in quale modo speciale la natura lo ha pensato. Ma quali sono le proprietà della natura umana? Questa forse è la domanda più grande e difficile nell'intero campo del pensiero. Possiamo dare una risposta soltanto guardando all'intera storia dell'umanità.

Che tipo di creatura è l'uomo? Buono o cattivo, stupido o intelligente, grande o insignificante, corpo o spirito? Quali sono gli usi e costumi di questo animale? È erbivoro o carnivoro, tropicale o polare, malvagio o mite, agile o pigro? Esaminando tali questioni una per una, noteremo che l'uomo è il più indefinito di tutti gli esseri, non ha caratteristiche che ne precisino esattamente la natura; e questa, come è facile convenire, è la sua più evidente peculiarità.

Tutti gli altri oggetti della natura sono incomparabilmente più definiti. Per esempio, un oggetto inerte, come un pezzo d'oro, ha persino una definizione completa; il suo colore, la densità, la flessibilità, la capacità termica, la temperatura di fusione, e in generale tutte le sue proprietà hanno un certo grado e misura, come in ogni altro pezzo d'oro del mondo. Tuttavia, è impossibile dire cosa sia con certezza un uomo; può essere un individuo infinitamente elevato e con tante sfaccettature; ma allo stesso modo può essere una creatura insignificante, semplicemente un pezzo di carne pulsante in cui non ci sono nemmeno virtù animali.

Dobbiamo tenere presente che la mente umana è sempre in cerca di certezze e si sforza di tracciare confini netti attorno agli oggetti che concepisce. Ecco perché immaginiamo che in un individuo ci sia qualcosa di definito, come in un pezzo d'oro, e che ci sia un denominatore comune in tutte le persone, nonostante tutte le differenze.

Ogni persona ha infinite possibilità, non è solo quello che è in un dato momento, ma anche quello che era e quello che può essere. Quindi, invece di chiederci che cos'è un uomo, dovremmo chiederci che cosa può diventare un uomo.

Come abbiamo visto l'uomo è un organismo, quindi un essere vivente soggetto ad un grande numero di influenze dovute alla sua connessione con il mondo circostante, ed essendo anche un animale, è in grado di rispondere a questi stimoli esterni. Gli organismi sono esseri che, partendo da quelli inferiori e salendo verso quelli superiori, perdono sempre più l'immutabilità, percepiscono più profondamente e possono reagire con più forza alle sollecitazioni esterne.

L'uomo è l'essere più dipendente e più indipendente di tutto il mondo, ma riesce a conciliare queste due proprietà contraddittorie, e proprio in questa riconciliazione sta la sua essenza.

L'uomo è l'essere più dipendente perché tutto agisce su di lui, è soggetto ad ogni tipo di influenza affinché queste influenze non rimangano sterili, ma producano un effetto indispensabile.

Prendiamo la pietra, un oggetto che subisce molte azioni dagli elementi esterni come l'aria, l'umidità, la luce, il calore, ecc. Un essere umano è similmente soggetto a tutte queste azioni, ma in più su di lui agiscono molti altri influssi che per la pietra non esistono affatto.

Questa casa, questi alberi, il fiume, il ponte, i bambini, le donne, ecc., e tutto ciò che può abbracciare solo con lo sguardo, tutto questo occupa e preoccupa una persona, la rallegra o la rattrista, in breve tutto la tocca con un'intensità mille volte maggiore dell'aria e dell'acqua su una pietra.

Arriva la notte, il cerchio di azione si espande. L'animale non si preoccupa delle stelle, l'uomo si preoccupa di tutto. L'intero universo precipita su di lui i suoi raggi, e il suo pensiero vola a Sirio, scruta la Via Lattea, segue i movimenti delle stelle. Quanto potentemente agiscono su di lui! Sono finiti i tempi dell'astrologia, quando le stelle governavano la vita umana, ma ancora non si è sottratto alla sua influenza. Non sono loro la causa delle notti insonni passate a scrivere libri e a risolvere problemi matematici?  Impossibile resistere al loro fascino.

Tutto, il presente, il passato e anche il futuro, attrae irresistibilmente un uomo, tutto agisce su di lui, tutto lo commuove. L'essere umano rappresenta un centro verso cui convergono tutti i raggi dell'universo, tutte le influenze che sono nel mondo.

Da ciò si capisce perché questo centro debba avere un alto grado di autonomia; tutto ha un'influenza su di una persona, ma nessuna di queste influenze la assorbe completamente; deve avere una ricettività inesauribile, e allo stesso tempo deve rimanere se stesso, qualunque cosa percepisca.

Un uomo riceve influenze che possono cambiarlo, ma allo stesso tempo qualcosa internamente rimane invariato. Al contrario, la pietra o non subisce affatto influenze o, se le subisce, cessa di essere se stessa. Se la mettiamo nell'acqua la pietra non cambierà per nulla; se la mettiamo nell'acido corrosivo, la pietra si scioglie e otterremo una pietra diversa, sia nell'essenza che nella composizione chimica. Se tagliamo un sasso avremo  due sassi, perché il peso e la forma non sono attributi essenziali della pietra. Se invece tagliamo un dito, un braccio, o una gamba da un essere umano, rimarrà sempre la stessa persona. La parte separata della pietra è essa stessa una pietra; le parti recise di una persona non valgono nulla in confronto alla persona da cui sono state separate.

 Quante più influenze e quanto più a lungo agiscono sulla pietra, tanto più veloce e completa sarà la sua distruzione. Al contrario, le influenze che agiscono su un essere umano non solo non lo distruggono, ma fortificano ulteriormente la sua indipendenza e contribuiscono al suo sviluppo. Un uomo assimila qualcosa in sé quando qualche forza agisce su di lui; assimilare significa fare proprio, portare nella propria natura, aggiungere alla propria essenza. Quindi l'essenza di una persona cresce man mano che subisce varie influenze; ma è impossibile assimilare qualcosa di completamente estraneo, con cui cioè non c'è affinità nell'essere assimilante stesso. In un dato momento e in un dato luogo, un uomo può solo assimilare ciò di cui la sua anima sente il bisogno, con cui è affine. Ecco perché i fenomeni più sorprendenti spesso non lasciano traccia, mentre eventi in apparenza insignificanti possono causare in noi grandi cambiamenti.

 Molte persone sembrano vivere completamente in balia degli eventi. Ma gli uomini migliori si distinguono per uno sviluppo di sé severo e coerente e, indipendentemente dalle circostanze della loro vita, si dirigono verso il loro obiettivo principale, senza disperdersi in mille attività.

 Possiamo dividere le influenze esterne in due tipi, quelle che favoriscono e provocano lo sviluppo e quelle che lo ostacolano. Gli influssi che si oppongono allo sviluppo possono essere così forti da ritardarlo fino a bloccarlo del tutto. Tra queste circostanze negative possiamo includere anche gli eventi fatali; per quanto una persona possa essere grande nello spirito o forte nel corpo, basta un sasso o una pallottola perché tutta la sua grandezza e tutta la sua forza svaniscano. Allo stesso modo, certe influenze morali possono indebolire e sopraffare le aspirazioni dello spirito. Ma alcuni tipi di forze che provengono dall'ambiente in cui viviamo provocano in noi uno sviluppo, diverso da persona a persona. Infatti un uomo che vive in un dato ambiente e in date circostanze storiche subisce un influsso dovuto al fatto che tutto il mondo intorno sopprime in lui alcune tendenze e ne suscita altre. Di conseguenza, ciò che si sviluppa in questa persona sarà del tutto originale, e non l'inevitabile prodotto della natura, della storia o dell'ambiente.

Se l'anima è in grado di sopportare qualcosa, allora uscirà da questa oppressione con nuove forze e con nuove acquisizioni. Qualunque evento lo colpisca, un uomo può sempre trarne beneficio, perché l'anima è composta da tutto. Questo è il potere dell'indipendenza umana.

Quindi, se l'uomo è il centro di tutte le influenze, è solo perché lui stesso si sforza di essere al centro del mondo; se una persona sopporta tutto, è solo perché può abbracciare tutto, elevarsi al di sopra delle forze che vogliono sottometterlo. Questa è l'essenza speciale dell'uomo, e la vita non è altro che la progressiva formazione di questa essenza.

All'inizio, ancora un bambino, un nuovo abitante del mondo, un uomo non vede quasi nulla intorno oltre a sé e non ha quasi nessuna indipendenza. Il suo mondo è angusto e ogni impressione sembra assorbire la sua anima. Per i primi lunghi anni della sua vita queste impressioni però non lasciano traccia perché il bambino non ha ancora memoria. Tutto è luminoso e leggero intorno a lui, incoerente e frammentato in immagini separate. Il mondo sembra un caos variopinto. Tutto il piacere della vita è limitato al momento presente, e il tempo sembra una lunga serie di sogni sconnessi. Ogni giorno, al risveglio, si sente rinnovato, e guarda con la stessa dolce curiosità tutto ciò che lo circonda, come se vedesse tutto questo per la prima volta; gli anni sembrano secoli.

A poco a poco, però, tutto si concentra, il bambino diventa pienamente consapevole di ciò che lo circonda e non dimentica più il suo passato. Cerca e sperimenta il nuovo, ma allo stesso tempo non perde il ricordo delle cose passate. La vita spirituale cresce, la curiosità per le cose più disparate e lontane lo avvince. A lungo il cerchio del suo mondo interiore si espande, ma gli rimane ancora molto da esplorare e da sperimentare. Il suo stesso futuro è vago e pieno di fantasticherie e nebulose speranze. Ma gradualmente tutto si fa più chiaro ed impara a conoscersi meglio, a comprendere sempre più le proprie forze e il mondo che lo circonda.

Arriva il mezzogiorno della vita, illuminato dalla accecante luce della coscienza concentrata. Al risveglio non sente più un nuovo essere in se stesso, ma, in un unico quadro, vede davanti a sé tutto il passato, il presente e il futuro che lo attende. Le nebbie sono scomparse, non c'è più spazio per disperdersi in mille progetti e velleità, e adesso, come nella piena luce del sole, può andare verso una meta ben definita.

Quindi, per ogni uomo la vita è una concentrazione graduale, una progressiva comprensione di tutto ciò che lo circonda nel tempo e nello spazio. L'uomo è la luce che illumina il mondo, e il mondo è quella sfera che è illuminata dalla luce della sua coscienza.

Ma che cosa contiene questo mondo illuminato dalla luce della coscienza? E qual è lo scopo dell'illuminazione stessa? Dove cercare il significato della vita? Cosa ne rimane, cosa ne esce?

Possiamo dire che lo scopo dalla vita è la vita stessa, non è necessario che ne venga fuori altro. E infatti la vita, per sua stessa essenza, è un fenomeno indifferentemente buono, perché non consiste in altro, come in un'aspirazione realizzata, un bisogno continuamente soddisfatto, un autocompiacimento.

Perché questo ci sembra strano? Perché consideriamo questo autocompiacimento in modo così negativo, quasi vergognandocene? Perché questo flusso inesauribile di piacere che penetra in ogni fenomeno della vita, che è presente in ogni movimento e in ogni respiro non riesce a soddisfarci?

Gli uomini hanno una visione terribilmente seria della vita: tutto deve avere uno scopo in vista di un obiettivo più importante, che a sua volta deve servire per qualcosa di più importante ancora, e così via; questo sguardo distruttivo e caustico ci insegue con insistenza ovunque, non importa quanto già abbiamo dalla vita con tutte le sue bellezze e piaceri.

La vita di un uomo è ricca. Abbiamo l'amore, l'affinità delle anime, la beatitudine che ci fa dimenticare tutto.

        Se non fosse
        per una vaga attrazione
        qualcosa di anima assetata,
        starei qui solo per il piacere
        di gustare il silenzio sconosciuto: dimenticherei
        tutti i desideri tremanti,
        chiamerei il mondo intero un sogno
        E ascolterei questo balbettio.
        In tutto questo intrecciarsi di steli nel vento. [1]

        

La devozione alle scienze e alle arti è ricompensata con grandi gioie. Lo stesso poeta la racconta:

        Non render conto a  nessuno,
        servi e soddisfa da solo te stesso
        per il potere, per la livrea
        non piegare né  la coscienza, né  i pensieri, né  il collo;
        vaga qua e là per capriccio,
        meravigliato della bellezza della natura divina,
        davanti alle creazioni delle arti e dell'ispirazione,
        annegando silenziosamente nella gioia della tenerezza.
        Ecco la felicità! Proprio così ... [2]
        

E tutto questo, tutta la nostra bella vita, la vogliamo sacrificare, vogliamo a tutti i costi farne solo un mezzo per raggiungere qualcos'altro. Ci spinge sempre

        una vaga attrazione
        qualcosa di anima assetata
                                

Siamo insaziabili e disprezziamo l'autocompiacimento in qualunque modo si esprima. Andare avanti significa avere una meta, essere insoddisfatti del presente e tendere sempre al futuro, lottare contro ciò che non è conforme a queste aspirazioni e realizzare i nostri ideali. In una parola significa agire; all'essenza di una persona conviene non solo ciò che in essa conosce e sente, ma anche ciò che agisce. La vita non è solo autocompiacimento, ma anche autodistruzione, insoddisfazione di sé .

Che cos'è un neonato? Un pezzo di carne, come a volte viene espresso con disprezzo. Ma il bambino è una persona in fieri, deve diventare un uomo; e più o meno consapevolmente sente davanti a sé questa meta, più o meno consciamente si adopera per raggiungerla.

Quando la coscienza inizia ad agire il bambino incomincia ad indagare il mondo circostante e quello che vede ha una grandezza infinita e un contenuto di inesauribile profondità; ma, in un modo o nell'altro, il bambino ha bisogno di diventare un uomo. Deve in qualche modo adattarsi a tutto ciò che lo circonda, entrare in questo mondo, salire alla superficie di questo flusso di persone che si agitano e di avvenimenti che accadono intorno a lui, e infine respirare profondamente e dire: "Bene! Finalmente anch'io sono un uomo!"

Più questo lavoro viene svolto consapevolmente, più è immenso e difficile. Non è facile comprendere le forme e i contenuti della vita umana; tutta la storia del genere umano si riflette in loro e vive in loro. Ma ognuno ha tutto il diritto di interpretare questa storia in rapporto a se stesso; ognuno vuole essere l'ultima pagina di questo libro di storia, il risultato finale e completo di tutte le pagine precedenti.

Che sfida! Eppure per la maggior parte della vita questa lotta è in parte inconscia. L'anima umana è sensibile e plasmabile; da un bambino, da un pezzo di carne, si forma rapidamente una bella persona; tutto ciò che è nobile e santo entra in lui, aspirazioni e pensieri si accendono come una grande fiamma da una scintilla; accetta come qualcosa di familiare tutto ciò che generazioni vissute in tempi immemorabili hanno conquistato con grande fatica.

E finché una persona adempie a questo compito il suo obiettivo è chiaro, le sue aspirazioni sono vive e forti e la sua vita sembra piena di significato. Poiché è ancora insoddisfatto di se stesso, sta ancora cercando la pienezza della vita.

Con derisione, ma allo stesso tempo con geniale precisione di pensiero ed espressione, Pushkin descrive questo stato d'animo giovane parlando del suo Lensky:

        Lo scopo della vita era per lui
        Un mistero allettante
        Su cui si rompeva la testa
        E ...sospettava miracoli.[3]
                                        

Ma ora la pienezza della vita è stata raggiunta. Un uomo ascende al limite estremo delle sue possibilità, arriva la concentrazione della vita di cui abbiamo parlato. Questa epoca della vita è la più luminosa, ma è spesso accompagnata da grandi sofferenze; tutta la vita è in potere dell'uomo, ma lui non sa cosa farne ed entra in quella crisi che può portare le persone a farsi  monaci e i re a togliersi le corone.

Da cosa è causato questo tormento? E' l'anima che cerca l'attività e langue senza di essa. Finché c'è un compito che non è stato risolto, finché c'è un piano che non è stato realizzato, finché c'è un obiettivo che non è stato raggiunto, l'attività è possibile, e la nostra anima tormentata ci spinge verso l'irrisolto e l'imperfetto. Sono le doglie del parto che dobbiamo patire per dare vita al nuovo che viene nel mondo, al misterioso futuro che sta arrivando.

La vita è spesso una commedia, ma in realtà è il dramma più profondo. Non scriviamo noi questo dramma, ma noi stessi ne siamo gli attori, e siamo assorbiti nella sua trama. Questa commedia perderebbe per noi tutto il suo valore se l'esito dipendesse solo dalla nostra volontà o se conoscessimo in anticipo il finale. La vita è un vero rinnovamento, un vero mistero, e quindi la sua essenza si rivela nel fatto che, così come è ignoto il futuro, così non possiamo sapere ciò che sarà della vita di ciascuno di noi.

NOTE

  1. Poesia di A. Pushkin (senza titolo, durante la vita del poeta non fu pubblicata).
  2. Versi finali della poesia di A. S. Pushkin "Non apprezzo i titoli altisonanti " (da Pindemonti).
  3. Alexander Pushkin “Eugenio Onegin”  cap.2 VII

10. Gli extraterrestri [1]

Una volta da Hegel, abbiamo bevuto il caffè dopo cena e stavo con lui alla finestra; ragazzo di vent'anni, guardavo con gioia il cielo stellato e chiamavo le stelle dimora dei beati. Ma l'insegnante mormorò tra sé : "Le stelle - hm! hm! Le stelle non sono altro che un'eruzione luccicante sulla faccia del cielo. (Heinrich Heine)[2].

L'aneddoto su Hegel ha un significato profondo, e ci proponiamo di capirlo in questo capitolo che parla dei possibili abitanti di altri pianeti. Ma che cosa ci importa in fondo di queste fantomatiche creature di cui comunque non potremmo avere informazioni accurate né stabilire alcun rapporto? Non abbiamo abbastanza problemi e cose da fare nell'occuparci di quello che accade qui sulla Terra? Le obiezioni sono giuste: ragionare sugli abitanti degli altri pianeti può davvero sembrare una depravata inclinazione del pensiero, come diceva il vecchio Daubenton.

Il fatto è che, per fortuna o sfortuna, solo un essere, per usare sempre le parole di Daubenton, è depravato per sua stessa natura, cioè si preoccupa di tutto. Questa è la sua stranezza e particolarità, che, come tutti sanno, gli ha causato non pochi guai; ma è anche la sua radice di appartenenza essenziale: l'uomo è l'essere più frivolo del mondo intero, cioè un essere che si interessa a tutto.

Ecco perché, fin dai tempi più remoti, l'uomo si è costantemente, anche con particolare curiosità, dedicato a compiti che in apparenza non hanno con lui alcun rapporto. Queste sono, ad esempio, le domande sull'inizio e la fine del mondo: qui una persona si stacca dal presente e si immerge con la mente nel passato più lontano e nel futuro più distante. La domanda sugli extraterrestri è in fondo la stessa.

Da quando è stata scoperta la vera natura dei corpi celesti il pensiero umano non ha potuto staccarsi dal loro mondo misterioso, dai loro abitanti lontani e inaccessibili. Con irrefrenabile entusiasmo l'immaginazione iniziò ad abitare i pianeti e le stelle con creature simili agli esseri umani. L'uomo si immagina circondato da innumerevoli miriadi di mondi che si estendono all'infinito, dove vivono, pensano e agiscono esseri infinitamente diversi, la cui perfezione può superare incomparabilmente qualsiasi perfezione umana.

Laplace afferma che l'astronomia, assegnando alla Terra un posto quasi insignificante tra i pianeti del sistema solare e tra le stelle, la ha abbassata ad un grado inferiore di dignità. L'uomo non ha più il diritto di vantare una somiglianza esclusiva con Dio, non deve avere pretese di verità assoluta; è un granello di sabbia nell'oceano dell'esistenza, e la sua vita con tutto il suo contenuto, con la sua conoscenza e la sua anima è insignificante, come un'onda appena visibile in questo oceano [4]. Laplace parla come se non avesse alcun dubbio sull'esistenza di altri mondi abitati.

Ma se, al contrario, non ci sono altri abitanti nel mondo, allora, ovviamente, la Terra è il pianeta più bello; se le stelle sono vuote, allora non importa quanto siano grandi e numerose, la Terra sarà il vero centro dell'universo e l'uomo sarà il re della natura, l'essere più importante del mondo. Chi ha ragione? Ci sono davvero abitanti sui pianeti?

La corretta esposizione della domanda

Innanzitutto possiamo notare che, non solo non abbiamo ragioni importanti per presumere l'esistenza di abitanti di altri pianeti, ma anche che l'ipotesi che non esistano è quella più semplice e meno contraddittoria. Di solito, come argomento più forte a favore dell'esistenza di queste creature, ci si chiede perché esiste questo numero sterminato di corpi celesti. Ma questa domanda non ha molto senso: se i pianeti e le stelle sono masse vuote, allora è ovvio che sono inutili, non serve dire altro. Sarebbe molto strano se ogni stella, solo perché è grossa e pesante, pretendesse di essere la dimora di esseri intelligenti. Per gli esseri razionali, certo, era necessario allestire un'abitazione comoda e piacevole, ma non ne consegue che, al contrario, fosse necessario creare degli esseri razionali per popolare le stelle. Se le stelle sono solo una massa enorme, morta, allora sono qualcosa di completamente insignificante, quasi la stessa cosa dello spazio vuoto.

Non si può nemmeno dire che richiedano molto lavoro alla natura, e che senza  abitanti tutte queste opere rimarrebbero inutili. Infatti, la più piccola cellula organica è molto più complessa di tutte le stelle prese insieme e costa maggiore sforzo da parte della natura nel crearla. E poiché, nella nostra ipotesi, le stelle non sono altro che sassi, anche se molto grandi, non c'è motivo di vedere incongruenze nel fatto che siano prive di abitanti intelligenti. La vita, nella sua interezza, è qualcosa di così bello e grande che davanti ad essa le masse e le distanze siderali di stelle e pianeti sono insignificanti; quindi non ci sarà nulla di strano e incongruo se immaginiamo un solo pianeta adorno di vita e tutti gli altri vuoti e silenziosi.

Ovviamente la domanda va completamente ribaltata: i pianeti e le stelle non hanno bisogno della vita, ma la vita ha bisogno di altri pianeti e altre stelle? Forse la vita è così varia e ricca da non poter essere contenuta in un'unica Terra. Oppure la vita è troppo sovrabbondante e profonda per potersi limitare a quelle forme in cui si manifesta sulla Terra e deve necessariamente esprimersi in altri modi, uguali o addirittura migliori, su altri corpi celesti. O, forse, la vita è addirittura inesauribile, cosicché per quante stelle e pianeti esistano, non saranno mai sufficienti, ed essa non avrà mai il tempo di dispiegarsi nella sua pienezza.

Una tale comprensione della vita, un tale desiderio di immaginare una vita diversa dalla nostra umana, è indubbiamente il fondamento principale della nostra ossessione di popolare pianeti e stelle lontane. Tuttavia, non è stata l'astronomia a scoprire o intensificare questo sforzo dello spirito umano; l'astronomia considera i corpi celesti solo come pietre, cioè come corpi pesanti aventi reciproca attrazione; quindi ci ha solo dato una scusa per giocare con la nostra fantasia, ci ha mostrato un luogo che potevamo popolare con le nostre creazioni mentali.

Siamo contenti che l'astronomia ci abbia slegato le mani e abbia dimostrato l'infinità dell'universo. Ora, se anche una ricerca rigorosa dimostrasse che non ci sono affatto abitanti sugli altri pianeti del nostro sistema solare, non saremmo minimamente in difficoltà: li collocheremmo nei sistemi stellari più vicini; se anche quelli si rivelassero vuoti, andremmo avanti nell'esplorazione con la certezza di trovare prima o poi un posto adatto.

Il concetto di una vita diversa da quella umana è profondamente e saldamente radicato nello spirito umano, perché è indissolubilmente legato al significato che diamo alla nostra vita terrena. In questi extraterrestri proiettiamo il regno delle ombre, questi fantasmi luccicanti e cupi.

Sicuramente l'immagine di un uomo alato è una delle forme preferite in cui immaginiamo esseri superiori. Volare è sempre stato particolarmente desiderabile per le persone, tanto che sembra quasi una mancanza dell'essere umano il fatto di non avere le ali.

Ma se è lecito per un poeta, per un artista o anche per un semplice sognatore parlare di persone con le ali, i professori di zoologia hanno meno diritto di fare tali discorsi. Per lo zoologo un uomo con le ali è un'assurdità, un'evidente contraddizione.

È comprensibile per un laico in zoologia non sapere che le mani umane corrispondono alle ali degli uccelli, e quindi è naturale per lui appendere le ali dietro le braccia; ma lo zoologo deve sapere che non c'è e non c'è mai stato un vertebrato con sei arti; quindi lo zoologo, accettando un uomo alato, deve presumere che quest'uomo sia senza braccia, e che queste braccia si siano trasformate in ali. La mano, dopo il viso, è la parte più mobile, più viva del corpo; la stretta di mano corrisponde al bacio; la mano, al pari del viso, esprime l'anima. Se i vertebrati non hanno mai avuto sei arti, è probabilmente perché non possono averli.

Ma liberiamo la fantasia e immaginiamo di poter viaggiare per i pianeti o di venire trasportati nel futuro. Qui siamo nel regno del pensiero puro, nel regno del possibile. Quindi, lasciamo pure che una persona abbia, oltre a gambe e braccia, un paio di altri membri, le ali, e vediamo se voliamo lontano con queste ali.

Si dice spesso che all'uccello vengono date le ali per poter volare, ma questo non è affatto corretto, perché le ali da sole non sono sufficienti per volare. Affinché il volo sia possibile, è necessaria una struttura speciale di tutto il corpo oltre alle ali, l'intera anatomia dell'animale deve cambiare. I dettagli dell'anatomia aviaria in questo senso sono di straordinario interesse. Per permettere all'uccello di volare, la natura ha usato tutti i trucchi meccanici possibili, subordinando tutti gli organi a questo fine. Quindi, se un essere umano vuole volare, allora tutto il suo corpo deve essere modificato in funzione di questo.

Il corpo dell'uccello è particolare in quanto forma una massa solida arrotondata senza divisioni significative. Il collo, la testa e le zampe sono molto piccoli rispetto al tronco, dove è concentrato tutto il peso del corpo. Secondo le leggi della meccanica, tale forma è richiesta per agevolare il volo. Pertanto, quando si aggiungono le ali a un uomo o a un cavallo, è impossibile immaginare che il loro corpo conservi la forma precedente: deve raggrupparsi, formare una massa consistente e tondeggiante.

Il nostro sentimento però si ribella istintivamente a qualsiasi deviazione dalla figura umana. Abbiamo davanti agli occhi la bellezza apollinea delle statue greche che risplende in ogni muscolo teso, non solo nel viso, ma dal collo ai piedi tutto esprime la forza e l'orgoglio olimpici. Un uomo con il corpo di un uccello sarebbe una mostruosa assurdità.

Ma, se proprio decide di volare, la sua trasformazione non finisce qui. Il volo è un processo meccanico rigoroso, ed è possibile solo in determinate condizioni. Derivando queste condizioni una dopo l'altra con tutta la precisione possibile, troveremmo che il corpo umano, per adattarsi a queste condizioni, deve avvicinarsi sempre di più al corpo di un uccello.

Gli uccelli, in generale, sono animali relativamente piccoli, e questo non è un capriccio della natura, ma dipende dal fatto che è impossibile costruire una creatura volante il cui peso sia maggiore di un certo limite. Ne consegue che, se un uomo vuole volare, allora deve ridursi alle dimensioni di un condor o di un pellicano. Ma, contestualmente ad un rimpicciolimento nel corpo, deve esserci anche una diminuzione del cervello.

Cosa otterremo da tutto questo? Non vogliamo affatto essere uccelli, vorremmo rimanere umani e avere solo la capacità di volare. Dopotutto, i movimenti umani sono di così poca importanza da invidiare i movimenti di un uccello, il suo volo? Siamo sicuri che che volare sia meglio di camminare?

Decidere cosa è meglio e cosa è peggio non è un compito facile, e non si dovrebbe affrontare una questione del genere in modo frivolo e frettoloso. Ovviamente, il vantaggio di un uccello sull'uomo è nella sua velocità di movimento. Ma la velocità è l'unica virtù del movimento? La dignità dei movimenti, infatti, consiste principalmente non nella velocità, ma in ciò che è contenuto nei movimenti stessi, in ciò che da essi si realizza. La forza dei movimenti, la loro libertà, la loro varietà sono molto più importanti della velocità. Ed è facile vedere che l'uomo è superiore a qualsiasi uccello in questo senso. Tenendo conto del suo peso, troveremo che l'andatura umana è estremamente leggera e veloce, e non c'è un solo animale che, durante il movimento, abbia un controllo così libero sul proprio corpo. L'uccello è completamente assorbito nel suo volo, non può fare nulla mentre vola, mentre l'uomo, spostandosi da un luogo all'altro, può contemporaneamente agire liberamente e con forza con tutte le parti superiori del corpo; nessun animale è capace di una tale varietà di movimenti. La flessibilità delle articolazioni distingue nettamente il corpo umano; nell'uomo la natura ha risolto un difficile problema meccanico: combinare la massima facilità di movimento con la forza e l'agilità.

Quindi dovremo rinunciare alle ali se vogliamo popolare gli altri pianeti non solo con uccelli, ma anche con creature umanoidi. E, in generale, se nelle nostre creazioni seguiamo rigorosamente le leggi della meccanica, non potremo mai inventare figure migliori di quella umana, ma solo arrivare a forme animali inferiori in termini meccanici, e anche brutte o addirittura mostruose.

Infine, non bisogna essere ingannati dal fatto che gli animali sono spesso caratterizzati da terribile forza, velocità e facilità di movimento. È facile vedere che qui non c'è alcun vantaggio sull'uomo, proprio perché queste proprietà rivelano l'unilateralità meccanica di questi animali, che li porta ad avere molti altri difetti.

Uniformità dei fenomeni sostanziali nell'universo [4]

Quindi, è impossibile creare un animale la cui attività fisica sia migliore (nel senso più ampio del termine) di quella umana. Le leggi della meccanica sono tra le leggi necessarie, cioè, non possiamo immaginare che, sia su altri pianeti del nostro sistema solare o su altri sistemi solari nell'infinità stessa del cielo, queste leggi non siano osservate. Le leggi della meccanica in questo senso sono abbastanza simili ai teoremi della geometria, che sono validi ovunque senza eccezioni.

Per completezza, però, bisogna aggiungere che la figura umana dipende non solo dalle leggi meccaniche in  base alle quali è costruita, ma anche dalla sostanza di cui è composta. La forma e le dimensioni di ogni macchina dipendono sicuramente dal materiale di cui sono fatti. Pertanto, per i cercatori di nuove forme, c'è ancora l'opportunità di cambiare la figura umana utilizzando un materiale diverso. Forse, diranno, i nervi e i muscoli di altri mondi sono fatti di una sostanza diversa dalla nostra, e quindi l'intera macchina del loro corpo ha una qualità incomparabilmente più alta, sebbene sia costruita secondo le stesse leggi meccaniche.

La domanda è difficile perché i fisiologi non sanno nulla della connessione tra l'essenza di una sostanza e quella degli organismi; non possono provare che una tale sostanza sia necessaria per la vita organica. Proviamo, però, a considerare casi più semplici e prendiamo non fisiologi, ma scienziati più precisi: fisici e chimici. Potranno magari credere che in altri mondi i fenomeni che studiano si verifichino in modo diverso, perché lì la sostanza è diversa? Ad esempio che la luce venga rifratta in modo diverso; che non ci siano tre diversi stati della materia, solido, liquido e gassoso, ma quattro o cinque; che i corpi non si combinino chimicamente in determinate proporzioni, eccetera? Quasi nessuno negherebbe che tali ipotesi siano impossibili. È chiaro che fisici e chimici, occupandosi di fenomeni più semplici, possono vedere più chiaramente che questi fenomeni sono connessi con l'essenza stessa della materia e ne derivano direttamente; cercano perfino di dedurre da questa essenza le leggi della natura, per esempio mediante la teoria degli atomi.

Un fisico che accetta la teoria degli atomi deve accettare necessariamente che anche sulle stelle più lontane la materia sia costituita da atomi; il chimico che crede che certe proporzioni di composti siano spiegate dalle proprietà degli atomi, crede necessariamente che in tutto l'universo le sostanze siano combinate in certe proporzioni. In breve, arrivando alla realtà ultima della nostra sostanza terrena, siamo convinti di arrivare a quell'unica essenza che funge da base dell'intero mondo materiale. Noi professiamo ancora lo stesso insegnamento predicato da Talete, cioè che tutti i corpi sono formati da un'unica sostanza, anche se non siamo d'accordo con lui che questa sia l'acqua, ma forse l'idrogeno.

A questo proposito, è comune fare una distinzione infondata tra natura inerte e natura organica, cosa che fanno non solo i comuni mortali, ma anche stimati scienziati. Siamo cioè abituati ad attribuire alla natura inorganica delle leggi fisiche e meccaniche rigorose, mentre gli organismi ci sembrano imperfetti e addirittura non necessari; siamo naturalmente portati a vederli come un gioco casuale della materia, un capriccio della natura, oppure ne attribuiamo le forme e le manifestazioni all'arbitrarietà di forze esterne, come ad una fantasia che ha creato le loro immagini secondo il suo desiderio e gusto e poi le ha aggiunte al mondo materiale. Comprendere la saggezza della creazione in questo modo è completamente sbagliato. Ecco un meraviglioso passaggio dal “Libro della Sapienza” di Salomone, che meglio spiega la questione ed è famoso per il suo importante significato. Lo scrittore discute le esecuzioni capitali egiziane e, rivolgendosi a Dio, dice:

E per i loro pensieri folli e peccaminosi, per aver adorato i rettili muti e le bestie insensate, hai inviato loro per vendetta una moltitudine di animali senza parola. Affinché  sappiano che se qualcuno pecca, sarà punito. Perché non potrebbe l'onnipotente mano tua, che ha creato il mondo da una sostanza informe, mandare loro molti orsi o leoni feroci o animali sconosciuti appena creati pieni di rabbia nei loro occhi; anche quelli che potrebbero distruggerli non solo per il loro danno, ma per l'orrore della loro stessa specie? Oppure potrebbero cadere, perseguitati solo dal tuo giudizio, ed essere distrutti e dispersi da uno spirito della tua forza. Tutto per misura, per numero e per peso hai stabilito".

Il significato di questo passo straordinario è che gli animali, gli organismi più alti e più belli, sono stati creati secondo misura, numero e peso, cioè secondo esatte leggi matematiche. Lo sviluppo di questo pensiero porta inevitabilmente al riconoscimento della necessità delle forme animali.

Quindi, se qualcuno vuole immaginare piante e animali sui pianeti, allora deve immaginarli come sono sulla Terra. Così, un fisico, studiando l'atmosfera dei pianeti, presume che i suoi gas seguano la legge di Marriott e, in generale, abbiano tutte le proprietà dei gas terrestri; così il chimico, supponendo che la luce delle stelle dipenda dalla combustione, vedrà in questa combustione un composto chimico in proporzioni definite; e un mineralogista, volendo immaginare i minerali dei pianeti, penserà che presentino le stesse forme cristalline che vede sulla Terra.

Gli astronomi spiegano i fenomeni celesti esattamente come quelli terrestri. Nessun astronomo dubiterebbe che la luce delle stelle segua le stesse leggi della luce di una candela stearica, che la legge di gravità operi allo stesso modo ovunque, che la densità e la durezza delle comete siano trascurabili, perché hanno poco peso, e così via. Infine nei meteoriti, pietre dallo spazio celeste, i chimici hanno trovato le stesse sostanze che già conoscevano sulla Terra.

In conclusione, di tutti i fenomeni astronomici, non ne è stato trovato nemmeno uno che provi la diversità del mondo, ma, anzi, l'astronomia stellare ha proprio dimostrato la sua monotonia. Dal nostro punto di vista, cioè dalla Terra, non possiamo vedere i pianeti e i satelliti che ruotano attorno alle stelle, possiamo solo vedere le stelle stesse. Ma poiché ci sono stelle che orbitano l'una intorno all'altra, l'astronomia potrebbe provare, e anzi ha dimostrato, che il loro moto avviene secondo la stessa legge di gravitazione alla quale obbedisce il sistema solare e la Terra in particolare.

 E questo non significa che vogliamo fare della nostra insignificante Terra un modello per l'intero universo, ma che la grandezza dell'intero universo si riflette nella Terra, che quindi contiene tutta l'essenza del mondo.

“Micromega” di Voltaire

Una conclusione facile e diretta sarà che, se gli esseri degli altri mondi non differiscono nella loro natura materiale dagli esseri della Terra, allora non possono differire nemmeno nella loro natura mentale, perché l'attività mentale corrisponde necessariamente a quella corporea. Ma è proprio contro questa conclusione che il nostro pensiero oppone grande resistenza.  Una persona insoddisfatta della sua vita porta in sé ideali dolorosi, che non riesce mai a raggiungere, e quindi ha bisogno di fede nella diversità morale del mondo, nell'esistenza di esseri migliori di se stesso. I dolori e i disagi fisici sono poca cosa rispetto alla sofferenza psicologica e alla disperazione morale. Così, se una persona insoddisfatta della sua struttura corporea, a volte sogna le ali, allora sarà tanto più incline ad immaginare creature che non abbiano i nostri difetti morali. è qui che risiede la radice principale del nostro desiderio di popolare i pianeti, il  motivo per cui Heine, parlando con Hegel, chiama le stelle la dimora dei beati.

Voliamo mentalmente verso i felici abitanti di altri pianeti per prenderci una pausa dalla noia e dalla malinconia della vita terrena. Allo stesso modo la gente amava ricordare "l'età dell'oro"; è così che un tempo immaginavano l'Eldorado, che anche Voltaire visitò, o la Nuova Atlantide, dove Bacone di Verulamio fluttuava nella sua mente[5]. Tali sogni sono molto numerosi e hanno un nome tecnico, utopia, dal nome dell'isola di Utopia, descritta in dettaglio dal cancelliere Thomas More nel 1516. La fonte stessa di tali creazioni dell'immaginazione mostra che esse rappresentano le aspirazioni più o meno elevate della mente umana; e anzi, spesso esprimono le speranze e i desideri più alti e più nobili.

La nostra vita spirituale si forma e si sviluppa secondo leggi precise, come nei fenomeni fisici o chimici. Partendo dalle sensazioni più semplici fino a pensieri, sentimenti e desideri più profondi, i fenomeni mentali sono strettamente correlati tra loro e scaturiscono da un'unica sorgente. Bisognerebbe quindi mostrare il loro necessario sviluppo dalle più misteriose profondità dell'essenza umana in cui spirito e corpo si fondono, in un centro di gravità dove si concentra tutta la nostra esistenza.

Ma è possibile una vita spirituale diversa e magari superiore a quella umana? Molti scrittori hanno immaginato mondi abitati da esseri molto più grandi e intelligenti di noi, con più di cinque sensi, che vivono molto a lungo, in cui la memoria è infallibile, eccetera.

Al di là delle fantasie letterarie, vediamo se questi esseri sono possibili, e se possono essere migliori di noi.

Prendiamo, per esempio, la fiaba “Micromega” di Voltaire. Il protagonista è un abitante del mondo di Sirio, alto centoventimila piedi, tanto intelligente da scoprire cinquanta teoremi di Euclide nella giovinezza, possiede settanta sensi esterni e vive dieci milioni di anni.

Per quel che riguarda l'altezza spropositata, l'errore sta nel fatto che la forma e la dimensione degli esseri sono considerate completamente indipendenti. La connessione tra dimensione e forma è innegabile e  fu scoperta e dimostrata matematicamente dal grande Galileo. Proprio come un uccello non può essere più grande di una certa dimensione, così anche la forma umana ha dei limiti che non può superare. Un uomo come noi, ma alto venti metri, non potrebbe reggersi sulle gambe. È noto infatti che le persone molto alte sono pesanti e lente nei movimenti, spesso anche deboli. I Greci, che così bene comprendevano il significato della forma del nostro corpo, ci presentarono Ercole come un uomo di statura media[6].

Molto più invidiabili e attraenti potrebbero sembrare l'intelligenza e la conoscenza di Micromega. che scoprì da solo, bambino e senza l'aiuto di un maestro, cinquanta teoremi di Euclide, cioè diciotto in più di Blaise Pascal, il quale, avendone trovato appunto solo trentadue, come dice scherzosamente sua sorella, divenne in seguito un matematico molto mediocre e un metafisico senza valore[7]. Notiamo innanzitutto che c'è un'evidente contraddizione nelle parole di Voltaire: dice che Micromega ha avuto tali successi quando aveva solo duecentocinquant'anni, e allo stesso tempo lo pone al di sopra di Pascal, il quale però ne aveva solo dodici; Pascal, inoltre, è considerato autore di molte scoperte completamente nuove, sebbene abbia vissuto solo trentanove anni. Ovviamente, Micromega è incomparabilmente meno intelligente di Pascal. Voltaire aveva bisogno di dare una lunga vita al suo Micromega, in qualche modo coerente con la sua crescita, ma non si rese conto che, allo stesso tempo, era costretto a rallentare il processo del suo pensiero. A duecentocinquant'anni Micromega è ancora un bambino, e quindi ha uno sviluppo mentale lento e faticoso.

Per quanto riguarda poi la durata della vita, dobbiamo applicare lo stesso ragionamento che abbiamo fatto per le dimensioni della Terra. Se misuriamo il tempo della nostra vita con l'eternità, allora sarà sempre trascurabile, non importa quanto sia la sua durata. Ma siccome, in relazione all'eternità, tutti i tempi sono uguali e quindi non c'è ragione di chiamare l'uno breve e l'altro lungo, allora per trovare se la nostra vita è lunga o corta, dobbiamo prendere un'altra misura; e questa misura non può essere altro che il contenuto della nostra vita. Possiamo lamentarci che la nostra vita, nella sua brevità, non può contenere tutto ciò che siamo in grado di fare? Ahimè! Se si prende un tale riferimento, si scopre che per moltissimi la vita è anche troppo lunga e per questo motivo sono portati anche alla triste necessità di ammazzare il tempo. D'altra parte, se immaginiamo una persona piena di tutti i doni umani e costantemente attiva, allora sarebbe anche possibile dimostrare che il tempo della vita gli basta per valorizzare tutte le sue qualità e terminare i compiti che si prefigge. Supponiamo che un cristiano zelante pensi alla salvezza della sua anima: non potrà certo dire di non avere abbastanza tempo per questo. Lo scienziato si sforza di padroneggiare appieno la sua scienza e persino di fare nuove scoperte; se non riesce né nell'uno né nell'altro intento, in nessun caso potrà lamentarsi davanti alla morte della mancanza di tempo, i suoi fallimenti sono dovuti ad altri motivi.

Quindi, per desiderare una vita più lunga, dobbiamo allo stesso tempo desiderare attività che superino la nostra capacità di lavoro e che richiedano una grande quantità di tempo. “Vivi e impara” - dice il proverbio russo - “e muori da sciocco” - aggiunge. Siamo infatti abituati a immaginare la conoscenza come un oceano inesauribile. "Sembro" - ha detto Newton delle sue scoperte - "come un bambino che raccoglie conchiglie in riva al mare"[8].

Il fatto è che, sebbene la conoscenza sia davvero teoricamente infinita, non è altrettanto interessante e fonte di curiosità; assolutamente nessuno ha bisogno di possedere tutta la conoscenza disponibile. E questo non perché la mente umana non sia abbastanza fornita di memoria o assetata di sapere, ma proprio perché la mente ha una forza concentrante, centralizzante, e questa è la sua peculiare qualità e il suo grande potere.

Infatti, immaginiamo tutti i possibili tipi di conoscenza, provenienti da tutti i mondi possibili: cosa accadrebbe se la mente avesse solo la capacità di assimilarli uno dopo l'altro? Sarebbe un lavoro senza fine e senza scopo. Ecco perché la mente si ferma, esamina tutto ciò che è già in suo possesso, determina i punti fondamentali, le questioni centrali, e rivolge qui tutta la sua attenzione, lasciando nell'ombra ciò che non è essenziale. Questo è ciò che fa in ogni scienza particolare, in ogni suo insignificante studio, e lo stesso fa in relazione a tutta la sua vita, a tutta un'area del pensiero, al mondo intero. La mente è un'attività completamente libera, davanti alla quale tutte le strade sono aperte. In nessun modo si può dire che da qualche parte nel mondo la mente ponga domande ancora più libere e fondamentali che sulla Terra. Non peggio di eventuali altri abitanti del mondo, siamo in grado di scegliere il compito più profondo o divertente, e se riusciamo a risolverlo non avremo nessuno da invidiare.

In un modo o nell'altro, con la testa o con il cuore, tutti vogliono e hanno il dovere morale di cercare una risposta soddisfacente alle grandi questioni sulla vita. Questo perché le domande più grandi sono proprio questioni di vita e di morte, domande per le quali una persona vive per risolverle.

Sui sensi esterni

Voltaire, come abbiamo visto, accetta tranquillamente la possibilità di più sensi esterni; il saturniano ne ha settantadue, e Micromega ne ha così tanti che non si degna nemmeno di contarli accuratamente, ma dice che ne ha circa mille. La domanda è: c'è qualche possibilità che esistano più di cinque sensi esterni? Questa domanda è tanto più importante perché i sensi esterni stanno esattamente al confine tra la nostra natura materiale e spirituale, rappresentano il punto del loro contatto e, di conseguenza, in essi si rivelano le proprietà di entrambe le nature. Se si scopre che ulteriori sensi sono impossibili, allora avremo il diritto di concludere che, in generale, una diversa natura spirituale e materiale è impossibile per gli extraterrestri.

Senza andare su altri pianeti, possiamo immaginare, e gli zoologi lo fanno spesso, che gli animali abbiano altri sensi esterni oltre ai nostri. Ma finora l'esperienza non l'ha dimostrato, anzi i sensi degli animali sembrano essere ad un livello più basso di quelli umani. È vero che negli animali si può facilmente notare che alcuni dei loro sensi sono molto sviluppati, ma questo sviluppo è sempre unilaterale, e l'unilateralità, come abbiamo visto, è semmai un difetto, non un segno di superiorità. È noto, ad esempio, che nei cani l'olfatto è eccezionale, ma si sa anche che la loro vista è piuttosto debole.

Gli organi dei sensi esterni sono estensioni del sistema nervoso, sono le parti che sono nella più stretta dipendenza dal cervello. L'occhio non è altro che il cervello stesso che sporge dalla fessura del cranio, modificato per una sensazione speciale e importante. Di conseguenza, l'uomo, in quanto l'animale con il sistema nervoso migliore, ha il cervello più grande, e gli organi di senso nell'insieme sono superiori a quelli di tutti gli altri animali.

In generale, si può notare che il sistema nervoso, in quanto organo preminentemente centralizzante ed equilibrante delle funzioni del nostro corpo, deve stabilire le relazioni più vantaggiose tra gli organi subordinati più prossimi. Se non si può supporre che la struttura meccanica del nostro corpo sia in errore, tanto meno è possibile mettere in dubbio la superiorità del nostro sistema sensoriale.

Ma possiamo dimostrare che non ci sono altri sensi esterni oltre a quelli che abbiamo? Cercheremo di fornire non una prova matematica, cosa impossibile, ma di indicare un percorso di riflessione al termine del quale saremo ragionevolmente convinti che effettivamente non esistano più di cinque sensi esterni.

Possiamo innanzitutto suddividere i sensi esterni in tre categorie, in base alle impressioni prodotte in noi dal mondo esterno. Queste impressioni possono essere vissute da noi in tre modi:

La classificazione precedente può essere espressa in un altro modo, in base al fatto che questi sensi siano oggettivi o soggettivi. Il primo gruppo si riferisce ai sensi soggettivi, come il gusto e l'olfatto. Sentiamo chiaramente che i diversi gusti e odori rappresentano solo lo stato dei nostri organi e non le proprietà esterne delle cose. Lo zucchero, mentre è nella zuccheriera, non è dolce di per sé, la dolcezza c'è solo quando è sulla lingua; il sapore dolce è lo stato della nostra lingua.

Il secondo gruppo è quello dei sensi oggettivi, come la vista e l'udito. Vedendo e sentendo, le impressioni ci appaiono direttamente come fenomeni esterni. Un oggetto visibile o udibile è sempre al di fuori di noi.

Solo con un senso, il tatto, distinguiamo con certezza e chiarezza sia l'oggetto esterno che la sensazione che produce nel corpo. Il tatto può quindi essere considerato un senso soggettivo-oggettivo.

Ci sono dunque solo due sensi oggettivi: vista e udito. Una chiara e fondamentale differenza tra loro è che la vista percepisce prevalentemente le relazioni spaziali, mentre l'udito quelle temporali. Le impressioni uditive sono variabili e misurate nel tempo; le immagini della vista possono essere completamente stabili e sono collocate nello spazio. L'udito ci dà la musica, dove gli elementi sono l'armonia, la melodia e il ritmo; la visione corrisponde alla bellezza, dovuta alla posizione, alla forma e alla dimensione delle parti. Le persone comunicano tra di loro con i suoni, che sono l'espressione della nostra vita mentale interiore. La luce è il nostro principale punto di contatto con il mondo esterno, con la natura che esiste al di fuori di noi.

Di conseguenza, l'udito e la vista nelle loro attività sono legati indissolubilmente al tempo e allo spazio. Ma è noto che spazio e tempo sono le due forme fondamentali della natura; non ne esiste una terza, e quindi non può esserci una sensazione oggettiva di altro tipo.

Ci sono solo due sensi soggettivi: gusto e olfatto. Il loro significato è abbastanza chiaro: si riferiscono a quelle sostanze che assumiamo nel corpo: il gusto per il cibo e le bevande, l'olfatto per l'aria. Quindi la loro differenza si basa sui diversi stati della materia: il gusto corrisponde allo stato liquido e l'olfatto a quello gassoso. Uno stato solido non può corrispondere a nessuna sensazione di questo tipo, cioè quella che, come il gusto e l'olfatto, riconosce la composizione dei corpi, perché, secondo un noto assioma, i corpi agiscono o chimicamente o per soluzione, “corpora non agunt nisi soluta”[9]. Ora, se è dimostrato che non possono esserci più di tre stati della materia, non possiamo avere altri sensi oltre al gusto e all'olfatto.

Infine, si può intuire perché il tatto è l'unico senso nella sua categoria: ci fa conoscere i confini del nostro corpo, ci separa dagli altri oggetti. Il nostro corpo ha un confine, quindi la sensazione di questo confine è unica.

La sorgente di tutti i sogni

Il desiderio di sminuire e disprezzare l'essere umano è da tempo una delle predisposizioni più diffuse nella gente. Assume mille forme e ramificazioni e si ritrova nei più svariati fenomeni del mondo mentale. “L'uomo è figlio della polvere, schiavo del peccato, verme della terra”. Lo sguardo che ha dato origine a queste espressioni trova ovviamente una risposta profonda nell'animo dell'uomo. Un punto di vista molto comune è per esempio quello di Augustus Comte e in generale di molti naturalisti, secondo cui il mondo presenta una varietà infinita, e l'uomo non è che una delle innumerevoli creature della natura, assolutamente insignificante sia nelle dimensioni che nel contenuto. In altri luoghi dell'universo, su altri pianeti, la vita si esprime con fenomeni completamente diversi, come diversi sono il significato, la radice da cui sono generati, e la loro stessa essenza.

Abbiamo già visto l'errore che fanno costantemente i sostenitori dell'insignificanza umana: misurano le dimensioni della Terra in base allo spazio infinito, il tempo della nostra vita dall'infinito dell'eternità. Allo stesso modo confrontano il numero dei nostri sensi con quelli di Micromega, le nostre capacità di spostamento con il suo cammino lungo la Via Lattea, eccetera. Lo stesso errore si ripete in molti altri casi e in innumerevoli forme.

Questo errore ha una radice profonda e si basa su qualcosa di essenzialmente umano. Costituisce, infatti, un sofisma che inevitabilmente coinvolge la mente umana; può essere definito il più generale, il più importante sofisma dell'umanità.

Per dirla nel modo più semplice, possiamo vedere che esso si basa sulla nostra capacità di astrarre, quella stessa che forma il linguaggio. Il linguaggio, in quanto espressione completa e precisa del pensiero, riflette necessariamente su di sé tutti i sofismi del pensiero, e l'uomo spesso si aggrappa alle parole piuttosto che al pensiero.

Quindi possiamo dire che il linguaggio ci inganna, e che le parole sono una fonte costante di errori. In effetti, abbiamo parole come mente, potere, tempo, amore, sentimento, eccetera, che non esprimono nulla di definito e oggettivo, ma le usiamo come se rappresentassero qualcosa di realmente esistente. Per esempio, quando paragoniamo la nostra mente umana reale con una mente la cui possibilità è solo teorica, la consideriamo molto debole. E la stessa cosa facciamo con la nostra forza, il nostro amore, eccetera. Ovviamente così facendo invidiamo qualcosa di completamente immaginario[10].

In definitiva possiamo dire che le parole ci nascondono il mondo reale e ci fanno vivere in un mondo fantastico. Ogni parola contiene necessariamente molte ambiguità, uno spazio di significati illimitato che noi cerchiamo di riempire con la nostra immaginazione. Per esempio, la parola albero rappresenta l'immagine generale che abbiamo della sua forma reale; non solo tutti gli alberi che abbiamo visto si conformano a questa immagine, ma anche un numero infinito di alberi che inventiamo noi stessi, e che quindi nessuno può impedirci di piantare in ciascuno degli innumerevoli pianeti dell'universo. Anche immaginare esseri con molti più sensi dei cinque presenti nell'uomo, dipende da un'errata comprensione delle parole e dal fatto che non vediamo la connessione tra il generale e il particolare.

Le parole esprimono sempre qualcosa di generico, di comune, ma noi siamo abituati a pensare di potervi aggiungere innumerevoli particolari. Quindi siamo pronti ad ammettere la possibilità di combinazioni infinitamente diverse, e il mondo diventa un caos in cui le caratteristiche individuali delle cose si combinano come per caso. Questo è il mondo delle parole, ma non è il mondo reale, dove tutto è connesso e in stretta relazione. La scienza si dovrebbe sforzare proprio di trovare questa corretta dipendenza.

Così un botanico, studiando le piante, cerca di trovare il concetto di pianta in generale da cui derivare quelli dei principali tipi di piante; non penserà mai alla possibilità di mele d'oro o a qualcosa del genere. Lo zoologo, dal concetto scientifico dell'animale, conclude che né i cavalli alati né gli uccelli o i polpi giganteschi siano possibili. Il fisico si chiede perché ci siano solo sette colori o perché ci sono tre stati della materia, e così via. Allo stesso modo, infine, la scienza cerca di dimostrare che un senso esterno può avere solo le forme che ha nell'essere umano.

Come esempio estremo e notevole del concetto caotico del mondo che nasce dal miraggio delle parole, citerò qui una nota sullo spazio. È noto che lo spazio ha tre dimensioni: lunghezza, larghezza e profondità. In una delle prime pagine del libro "Analytical Geometry" di Brashman, un testo di grande utilità, si dice che, se avessimo un dispositivo di senso differente, allora forse lo spazio avrebbe per noi un numero diverso di dimensioni, ad esempio quattro. Senza dubbio, questa è l'ipotesi più audace tra tutte quelle che abbiamo sentito. è quasi come dire: forse ci sono pianeti dove due più due non fa quattro, ma cinque. In effetti, lo spazio è qualcosa che comprendiamo chiaramente e distintamente come due più due; proprio come da due e due segue quattro, né più né meno, così dal concetto di spazio consegue che in esso ci sono tre dimensioni, né più né meno. Quando diciamo "due per due", stiamo facendo una moltiplicazione, allo stesso modo stiamo compiendo un'azione sullo spazio quando ne cerchiamo le dimensioni. Dopotutto si può considerare lo spazio non in tre dimensioni. Guardiamolo da un punto, e vedremo come lo spazio si estende in tutte le direzioni. Questo è il suo carattere essenziale, in esso tutte le direzioni e tutte le distanze sono possibili proprio perché è spazio. Pertanto, non conosciamo nessuno spazio particolare o speciale, ma l'unico possibile.

E quindi non si può presumere che su alcuni pianeti si contino quattro dimensioni, su altri dieci, sul terzo cento, mille, eccetera. Tuttavia, per quanti esempi possiamo citare, ci rendiamo conto che non saranno mai del tutto convincenti, ma potranno servire a dare l'idea di una dimostrazione generale; una prova generale può scaturire da una sola fonte, dalle proprietà del pensiero stesso, cioè deve condurci ad una posizione, altrimenti non possiamo pensare.

Infatti pensare è possibile solo con la certezza dei concetti e la necessità delle conclusioni. Quindi, se prendiamo una data sostanza, dobbiamo rappresentarla come qualcosa di specifico, e da essa devono necessariamente seguire le sue proprietà, tali e non altre, perché tutti i suoi fenomeni dipendono necessariamente dalle sue proprietà. Se l'essere umano ha nella sua composizione una data sostanza con i relativi fenomeni materiali, allora solo con questa sostanza e questi fenomeni l'essere umano è appunto un essere umano. È impossibile pensare ad una creatura della natura che sia più elevata dell'uomo. Pertanto, è impossibile presumere che la vita su altri pianeti si sia manifestata in modo più perfetto o anche diverso che su un pianeta in cui l'essere supremo è l'uomo.

L'uomo è il centro del mondo

Laplace ha dimostrato che il sistema solare si è formato gradualmente da una sfera nebulosa, e quindi la sostanza di cui consistono il Sole, i pianeti, e gli altri corpi celesti è la stessa. Ma la formazione dei pianeti non ha seguito un unico percorso. Alcuni pianeti, i primi ad essersi formati, sono poco solidi e molto grandi e orbitano rapidamente attorno al proprio asse, hanno molti satelliti e uno ha persino un anello. In seguito, verosimilmente, ci fu un forte sconvolgimento che disseminò un'intera cintura di piccoli corpi celesti. Dopo questa esplosione, ricominciò una formazione più regolare dei pianeti più vicini al Sole, tra cui la Terra. Questi pianeti sono più piccoli dei primi, ma più densi, ruotano attorno all'asse più lentamente, e solo uno di essi ha un satellite, la Luna[11].

I pianeti del primo periodo non sembrano adatti ad ospitare la vita, mentre alcuni pianeti del terzo periodo, ad esempio Marte, potrebbero esserlo. Ma gli organismi hanno raggiunto il loro pieno sviluppo solo sulla Terra, perché l'uomo è apparso qui, un segno del completamento finale della vita organica. In altri pianeti, non presentando le stesse condizioni necessarie per il completo sviluppo della vita organica, non può esserci l'uomo. Che questi pianeti siano vuoti non c'è nulla di speciale e strano; il sistema solare può essere paragonato ad un grande albero dove la Terra rappresenta il bel fiore o il delizioso frutto di questo albero, e il resto dei pianeti con il Sole sono le foglie, i ramoscelli e il tronco. Il confronto con un animale è ancora più pertinente: la Terra, nel vecchio sistema, è il cuore del sistema solare e, in quello moderno, corrisponde agli emisferi cerebrali.

Le stelle sono, senza dubbio, altri soli, e l'esistenza di pianeti vicino a ciascuna stella è possibilissima, magari un pianeta esattamente nelle stesse condizioni della Terra, dove quindi può apparire l'uomo. Se molte stelle non avessero pianeti di questo tipo, non ci sarebbe nulla di strano o singolare: come sulla Terra ci sono terre desolate e luoghi spogli senza alcun filo d'erba, così nelle diverse regioni del mondo si potranno naturalmente trovare intere serie di stelle che non hanno avuto il tempo di formare un solo pianeta come la Terra.

Questa è la visione più semplice e corretta sugli abitanti dei pianeti. I comuni mortali, senza lasciarsi trascinare né da fantasie filosofiche come Voltaire, né dallo scetticismo dei dotti, presumevano molto semplicemente che, se ci fossero altri mondi abitati, allora lì ci sarebbero le stesse creature presenti sulla Terra. È notevole che questa visione sia stata sviluppata in dettaglio proprio nel momento in cui il sistema copernicano aveva da poco soppiantato il sistema tolemaico ed era ancora in corso una feroce lotta, suscitata dalla sfortunata sorte di Galileo[12]. Huygens, uno dei più famosi matematici e astronomi del tempo, scrisse un saggio sugli abitanti dei pianeti, che fu pubblicato solo dopo la sua morte con il titolo: "Lo spettatore del mondo, o delle terre celesti e del loro ornamento".

In questo libro l'autore cerca di dimostrare in modo coerente e rigoroso che gli abitanti di altri mondi dovrebbero assomigliare agli umani in tutte le caratteristiche essenziali, e allo stesso modo gli altri organismi dovrebbero assomigliare ai nostri animali e alle nostre piante. Le sue considerazioni sono estremamente semplici e spesso colpiscono per la loro ricercata accuratezza. Sostiene, ad esempio, che ipotetici animali di altri pianeti possono differire dai nostri, ma questa differenza sarà comunque insignificante rispetto a quella che troviamo tra i vari animali della Terra. In effetti, gli animali devono muoversi e possono esserci solo tre tipi di movimento: o nell'aria, e quindi volare, o in un fluido, nuotare, o su un terreno solido, camminare e correre. Di conseguenza, i pianeti di altri sistemi solari dovrebbero avere anche gli stessi tre tipi di animali e, ovviamente, quelli che volano dovrebbero avere le ali, quelli che corrono dovrebbero avere le gambe, eccetera.

Come matematico e astronomo, Huygens era assolutamente convinto che sia la matematica che l'astronomia esistessero sui pianeti remoti. Ciò che consideriamo qui vero in matematica, dice, è vero anche per il mondo intero. Se gli abitanti di altri pianeti sono esseri intelligenti, allora anche loro conosceranno la geometria, i logaritmi, e così via. Sicuramente poi osservano il cielo, misurandone la posizione e la distanza dei luminari dagli angoli, come facciamo noi; perciò useranno le stesse proiezioni angolari divise per gradi, eccetera.

Con tali e simili considerazioni Huygens cerca di dimostrare che gli abitanti intelligenti degli altri pianeti dovrebbero avere braccia, gambe e gli stessi sensi esterni dei nostri, converseranno tra di loro, ascolteranno la musica, faranno vita di società, eccetera. Si sbaglia però dove decide di immaginare le differenze tra gli umani e questi altri esseri. Ad esempio, dice che questi abitanti potrebbero avere una diversa forma del naso e una diversa posizione degli occhi, quindi un viso che a noi sembrerebbe deforme, ma che magari loro trovano bellissimo. Huygens si sbaglia, perché sia ​​la forma del naso che la posizione degli occhi non sono casuali, ma seguono con il massimo rigore il resto della struttura del nostro corpo. La forma per un organismo è una questione essenziale, ed è impossibile presumere forme casuali per un organismo come l'uomo.

Ma, in generale, il libro di Huygens, poco conosciuto e considerato di scarso valore letterario, suscita un'impressione molto forte. All'epoca in cui fu scritto le scienze naturali avevano da poco riguadagnato interesse e già fatto passi da gigante. Leggendo Huygens, è sorprendente vedere che tutte le scoperte successive non solo non confutano il suo punto di vista, ma lo confermano ulteriormente. Il pensiero di Huygens è così corretto e naturale, da essere sopravvissuto per secoli.

Quindi, d'accordo con Huygens, arriviamo finalmente ad una visione dell'universo semplice e chiara: ci sono innumerevoli pianeti, alcuni simili alla Terra, sui quali si sviluppa la vita organica e l'uomo ne è il vertice; ovunque, spingendoci fino alle profondità del cielo, troviamo la stessa geometria, la stessa astronomia, la stessa musica, gli stessi occhi e gli stessi nasi.

È difficile, tuttavia, ritenersi soddisfatti da un tale universo. Infatti, da noi all'infinito del cielo, tutto è uguale; che terribile monotonia! Perché questa innumerevole ripetizione degli stessi fenomeni? Ogni pianeta abitato è un atomo perso nelle profondità del cielo e l'intero universo è un accumulo illimitato di tali atomi, simili tra loro; non c'è connessione tra loro, nessun centro comune, non c'è nulla di completo al mondo, ma solo frammenti sparsi. Che senso può avere un tale universo?

Passando dallo spazio al tempo, troveremo una serie indefinita di ripetizioni della stessa vita, con gli stessi accadimenti. Ma noi esseri umani vogliamo pensare che la vita non si perda del tutto, ma si accresca gradualmente, e che nel complesso l'umanità stia facendo progressi. Solo da una tale prospettiva la storia acquista significato e la vita si illumina di senso, mentre una visione in cui la storia è un eterno girare intorno ad un punto, è di totale disperazione.

        Hai ragione,
        cantante divino:
        Secoli e secoli solo di ripetizione!
        Prima la seduzione della libertà,
        Poi sonagli di gloria;
        Dopo lo splendore piogge di lussuria,
        Ricchezze con il giogo d'oro,
        Vizi eleganti
        Barbarie sorde dopo...*

        * Da Byron. Traduzione Di Teplyakov [13]
        

Non la pensiamo così e, forse, non ci sbagliamo. Difficilmente si può dire che la nostra epoca sia una ripetizione dell'era egizia, o greca, o romana, ma riteniamo che tutte queste epoche siano state il supporto per la nostra e che noi siamo stati in grado di approfittarne. Accettare che il mondo, per tutta la sua sconfinata grandezza, sia costituito da una serie infinita di fenomeni ripetuti e separati tra di loro, è per noi tanto incomprensibile quanto accettare che la storia consista in un'illimitata ripetizione di eventi identici. Proprio come immaginiamo la storia come un tutto coerente, così vorremmo raffigurarci il mondo come un insieme unito e connesso.

La storia dell'umanità è uno sviluppo, quindi necessariamente un giorno deve finire. È impossibile infatti concepire progressi infiniti; un viaggio infinito senza raggiungere l'obiettivo equivale a girare continuamente in un circolo o a rimanere sempre fermi in un posto. Al contrario, più profondamente riconosciamo il progresso, più ci sembrerà necessario che alla fine esso debba essere completato.

Quindi, supponendo che la vita dell'umanità formi un ciclo, cosa accadrà dopo che questo ciclo si sarà chiuso? Questa domanda, in realtà, è la stessa che ci siamo posti sull'esistenza degli extraterrestri, e la risposta sarà che non potrà esserci nient'altro che una nuova ripetizione della stessa vita; qui o su altri pianeti lo stesso ciclo deve ricominciare, svilupparsi e terminare allo stesso modo. Questo pensiero della ripetizione infinita degli stessi cicli di vita è comune alla mente umana quanto quello sugli abitanti di altri mondi. Invece di molti esempi, darò qui l'opinione degli antichi stoici, come la espone Nemesio:

Gli stoici dicono che quando i pianeti in latitudine e longitudine arriveranno a quelle costellazioni in cui si trovavano all'inizio, durante la creazione del mondo, allora si verificherà un fuoco e una distruzione universali, e poi il mondo sarà restaurato dall'essenza nella sua forma precedente. E poiché le stelle devono ruotare allo stesso modo, allora tutto ciò che era nel periodo precedente si ripeterà senza cambiamento. Riappariranno Socrate e Platone, ogni persona nascerà di nuovo con gli stessi amici e concittadini. Verranno le stesse convinzioni, gli stessi incontri, le stesse imprese, si costruiranno le stesse città e villaggi. E un tale ripristino di tutto avverrà non una volta, ma accadrà molte volte o, per meglio dire, senza fine [14]

Immaginando un numero infinito di pianeti abitati, spezzettiamo il mondo in innumerevoli frammenti nello spazio, immaginando una ripetizione infinita dei cicli della vita, suddividiamo il tempo in innumerevoli parti che non hanno significato l'una per l'altra.

Perché ci ribelliamo istintivamente a questa visione del mondo? Naturalmente non possiamo sopportare la connessione interrotta tra le cose, l'unità perduta dell'universo. Tale comprensione è contraria all'essenza stessa della mente umana; come abbiamo visto, tutti gli scopi della scienza sono concentrati nel trovare una connessione tra le cose, trovando la loro mutua dipendenza e, di conseguenza, la loro unità. Non possiamo accettare, nella nostra vita spirituale, un susseguirsi senza fine di eventi, che quindi perdono qualsiasi valore; e noi stessi siamo orgogliosi di essere gli eredi della vita intellettuale dei romani e dei greci, e anche degli antichi indù, così come consumiamo avidamente tutte le manifestazioni dello spirito, ogni scoperta, ogni pensiero, da qualunque parte provengano.

Questo è il modo in cui dobbiamo considerare gli altri mondi. Se c'è un'altra vita, un'altra manifestazione della ragione, allora la più grande assurdità che esiste nel mondo, la più grande disarmonia, la contraddizione più insopportabile, è di non poter avere relazione e comunicazione con questa vita. Sentiamo in noi stessi una sete insaziabile di un'altra vita, ci riconosciamo pienamente capaci di viverla e siamo pronti, come Voltaire, a dialogare amichevolmente alla pari con lo stesso signor Micromega e con ogni altro suo simile.

Viaggiando mentalmente su altri pianeti, cerchiamo di trovare un'espressione più profonda di ciò che sentiamo in noi stessi, un'incarnazione più piena dei nostri ideali. Se  là troviamo le stesse persone, le stesse cose, gli stessi avvenimenti, allora per noi la loro esistenza sarà assolutamente indifferente. Incontrare volti nuovi, viaggiare in paesi lontani, studiare popoli antichi o moderni, ci incuriosisce e affascina proprio perché speriamo in una vita diversa, in qualcosa di nuovo. Ma se in altri mondi troviamo solo quello che abbiamo anche sulla Terra, il mondo perde ogni armonia e divertimento. Il mondo così non avrebbe un centro e una storia, i pianeti abitati non formerebbero una società, ma un gregge; cicli infiniti di vita non formano storia, ma solo ripetizione vegetativa.

Come possiamo uscire da questo scenario desolante? Resta solo una cosa da fare: disfarci senza rimorsi degli extraterrestri. Possiamo sempre farlo, ed è anche la soluzione più semplice; infatti l'ipotesi dell'esistenza di altri mondi popolati da esseri intelligenti è molto più difficile da sostenere dell'ipotesi che questi non esistano proprio. Quindi ci mettiamo nella posizione più logica e verosimile se assumiamo che, nonostante gli innumerevoli sistemi di pianeti, nessuno di loro sia riuscito a formare un pianeta come la Terra.

Inoltre, più progrediscono le acquisizioni della fisica astronomica, più profondamente penetriamo nella connessione reciproca dell'intero universo, e più risulta chiaro che le stelle sono in qualche modo collegate alla formazione del nostro sistema solare.

Cosa possiamo concludere da tutto questo? È ovvio che una persona può e deve guardare alla sua vita sulla Terra come se il resto del mondo fosse vuoto, e come se nessun nuovo ciclo ricominciasse dopo la morte. Il vuoto che così assumiamo intorno a noi non è qualcosa di terribile e di assurdo, perché il vuoto non richiede necessariamente il contenuto per riempirlo, ma, al contrario, il contenuto richiede necessariamente il vuoto, cioè richiede un luogo per occuparlo, lo spazio e il tempo. Un giorno o un'ora di vita significano più di un'intera eternità vuota, e un essere vivente vale più di un intero cielo di stelle morte. Questo è, anche nelle parole di Laplace, il nostro vero rapporto con la natura.

Che orgoglio! - direte. Come può un uomo mettersi così in alto da considerarsi come l'unica creatura simile a un dio in questo mondo? In effetti, l'orgoglio è grande, ma non dimentichiamo che ci stiamo riferendo solo all'uomo in generale, e non ad una persona in particolare. E più in alto poniamo il nostro ideale di uomo, più modesti dobbiamo essere noi stessi, ma più pienamente e profondamente saranno soddisfatte le nostre aspirazioni più profonde: se in noi c'è una sete inestinguibile per un'altra vita, allora questo Uomo, una persona veramente divina, sarà una fonte inesauribile per soddisfarla. Ci accontentiamo per abitudine mentale di vivere nel circolo ristretto dei nostri soliti modi di pensare, nel mondo chiuso e soffocante della nostra personalità. Proviamo ad uscirne: invece di viaggiare su pianeti remoti, osserviamo da vicino la vita delle altre persone e scopriremo nuovi mondi ricchi di bellezza e significato a noi sconosciuti. Allo stesso modo, invece di sognare epoche lontane a venire, dovremmo guardare con riverenza al futuro a nostra disposizione. L'anima deve essere completamente aperta per il respiro di un nuovo spirito, per nuove scoperte, per la rivelazione di segreti nascosti, e non c'è nulla di più misterioso del futuro.

E a sostegno di questa visione della vita, possiamo citare le parole di Kireevsky:

Non esiste una mente così stupida che non possa comprendere la sua insignificanza e inchinarsi davanti al potere del genio umano; non esiste un cuore così limitato che non possa comprendere la possibilità di un altro amore, incomparabilmente più grande e più puro di quello che esso stesso nutre; non esiste una coscienza che non sia in soggezione di fronte alla grandezza morale dell'uomo. [15]

NOTE

  1. Ovviamente il termine “extraterrestri” appare un po' anacronistico. Strakhov usa spesso la locuzione “abitanti di altri pianeti”.
  2. Heinrich Heine era un ascoltatore delle lezioni di Hegel a Berlino nel periodo 1821-1823. e spesso visitava il "maestro" la sera. Una di queste visite include la storia che Heine ha raccontato in seguito in modi diversi. In particolare, in una lettera al famoso socialista F. Lassalle, attribuì a Hegel una reazione leggermente diversa alle sue delizie per il cielo stellato: "cosa c'entra il cielo stellato, è solo ciò che l'uomo ci mette dentro!"  Cfr. Fischer Kuno. "Hegel, la sua vita, scritti e insegnamenti. Primo semitomo" (1933). La fonte della citazione fornita da Strakhov non è stata stabilita.
  3. Queste parole di Strakhov praticamente coincidono con le argomentazioni di uno dei più grandi astrofisici del 20° secolo, James Jeans (1877--1946), che scrisse nel libro "The Mysterious Universe" sull'insignificanza della nostra casa nello spazio - l'insignificanza che è come la milionesima parte di un granello di sabbia di tutta la sabbia marina del mondo. Vedi Jeans J. “The Mysterious Universe” N. Y, 1958. Pag. 17.
  4. Nella fisica moderna, l'affermazione sull'uniformità essenziale dell'universo è chiamata "principio cosmologico". Risale infatti alle parole di Leibniz da una lettera alla regina di Prussia, Sophie-Charlotte (1704): "Questo principio è che le proprietà delle cose sono sempre e ovunque le stesse come sono ora e qui". Nella storia della scienza, la frase (dalla stessa lettera) "proprio come qui" è diventata un classico.
  5. Il viaggio a El Dorado (un mitico paese ricco d'oro) è descritto nel romanzo satirico di Voltaire "Candido, o L'ottimista" (cap. 17-18). "Nuova Atlantide" è una storia incompiuta di Francis Bacon, Barone di Verulamio, che delinea il progetto dell'organizzazione statale per la ricerca scientifica.
  6. Strakhov probabilmente si riferisce alla statua di Ercole, realizzata da antichi artigiani, conservata nel Museo Nazionale di Napoli. Strakhov visitò L'Italia (compresa Napoli) nel 1875.
  7. Le osservazioni di Voltaire su Blaise Pascal sono decisamente satiriche. Ciò è in parte dovuto al fatto che Gilberta, la sorella maggiore di Pascal, non è molto chiara nei suoi ricordi. Riferisce che suo fratello in giovane età "raggiunse la 32a frase del primo libro di Euclide" (cioè il teorema dell'uguaglianza della somma degli angoli di un triangolo a due angoli retti), dando la falsa impressione di aver scoperto da solo la geometria di Euclide. Gli autori moderni ritengono che si trattasse dello studio di Pascal degli "Elementi" dell'antico matematico greco.
  8. Queste parole di Newton sono citate (in forma più completa) dal fisico scozzese David Brewster (1781-1868) nelle sue Memorie di Newton.
  9. "I corpi non agiscono se non si sciolgono" (lat.). L'accademico K. A. Timiryazev nel suo libro "Agriculture and Plant Physiology" definisce questo principio "un vecchio proverbio chimico", che esprime la condizione necessaria per la "manifestazione attiva della vita".
  10. Strakhov è stato il primo pensatore russo che ha ripetutamente attirato l'attenzione sul ruolo del linguaggio nella conoscenza filosofica e scientifica. Ha osservato, in particolare, che "il linguaggio è uno strumento infinitamente perfetto, sul quale può essere eseguito qualsiasi tipo di musica".
  11. In linea generale, questa idea della formazione dei pianeti del sistema solare come risultato dell'alternanza di accrescimento (aggregazione) e differenziazione è condivisa anche dalla cosmologia moderna.
  12. Come hanno dimostrato gli studi moderni di storia delle scienze naturali, l'immagine corrente di Galileo come "martire dell'Inquisizione" è molto esagerata. Si veda, ad esempio, un'interessante opera di un autore italiano che, peraltro, non è affatto "filocattolico": Geymonat L. Galileo Galilei. Una biografia e un'indagine sulla sua filosofia della scienza. Libro McGraw-Hill. NY, 1965.
  13. La nota di Strakhov non è del tutto esatta. Cita un estratto dal ciclo "Thracian Elegies" di V. G. Teplyakov secondo la pubblicazione: Poemi of Viktor Teplyakov. Volume due. 1836. Essendo un ammiratore della personalità e della creatività di Byron (il "cantante divino"), Teplyakov fornì a questo passaggio una nota in cui indicava una corrispondenza con  il poema di Byron "Childe Harold's Pilgrimage" (canto IV).
  14. Un estratto dall'opera di Nemesio di Emesa "Sulla natura dell'uomo". Lo stoicismo è una delle tendenze principali nella filosofia dell'antica Grecia e dell'antica Roma, che prese il nome dal colonnato coperto (στοα) ad Atene, dove insegnava il suo fondatore Zenone di Kitzio (336-264 a.C- circa). Al centro degli insegnamenti degli stoici c'è l'idea di un destino inesorabile, il fato. Il compito del filosofo è comprendere la "legge del destino" e "arrendersi alla volontà delle leggi della natura" (dal saggio di Seneca "Domande scientifiche naturali").
  15. Parole dai "Frammenti" pubblicati postumi di I. V. Kireevsky. Vedi edizione moderna: Kireevsky I.V. “La mente sulla via della verità”.  2002. Strakhov ha cambiato e abbreviato la prima frase, che suona così: "non esiste una mente così stupida che non possa comprendere la sua insignificanza e la necessità di una rivelazione Suprema". Il corso delle riflessioni di Strakhov sulla natura (e il suo apice, l'uomo) è lontano dalla storia semplificata della creazione nell'Antico Testamento (Genesi, 1).

11. Cosa distingue l'uomo dagli animali?

L'esatta formulazione della domanda

Verso la fine dell'Ottocento la questione sull'uomo ha suscitato un forte movimento nel mondo scientifico, alimentato da nuovi impulsi provenienti dalle scienze naturali, come la scoperta di una nuova scimmia umanoide, il gorilla, l'emergere della teoria di Darwin e la scoperta di ossa umane fossili. Ma qual è questa domanda sull'uomo?

Possiamo per il momento dire che dobbiamo trovare il posto dell'uomo nella natura, spiegare cioè il suo rapporto con essa. Quale scienza può darci la risposta? Vedremo che la questione in esame non può essere direttamente riferita a nessuna scienza in particolare. Non una singola scienza naturale si occupa infatti della natura nel suo insieme e sotto tutti gli aspetti, e pertanto nemmeno di determinare la posizione o di chiarire il rapporto con i suoi soggetti particolari.

Illustriamo questa affermazione con un esempio. Se il titolo di un saggio fosse: “il posto dell'uomo nel sistema zoologico”, allora capiremmo senza alcuna difficoltà di cosa si sta parlando. In effetti, sappiamo abbastanza distintamente e chiaramente che cosa sia un sistema zoologico e che posto occupa l'uomo in questo sistema. Ma la zoologia non ha alcuna idea di cosa sia un posto in natura.

Analogamente, se il titolo fosse: “la distribuzione dei resti umani sugli strati delle formazioni geologiche”, anche qui la questione ci sarebbe del tutto chiara: sappiamo infatti cosa sono gli strati geologici, cosa sono i resti, qual è la loro distribuzione. Ma, ancora, né la geologia né la paleontologia ci spiegano cosa significhi la locuzione “posizione in natura”.

Ovviamente, la nostra domanda appartiene ad una sfera più ampia e più generale di quella di ognuna delle scienze naturali. Questo sarà ancora più evidente se approfondiamo l'argomento e vediamo come queste scienze si relazionano con la nostra questione. La prima cosa che possiamo notare è che, non appena la questione sull'uomo viene trattata da una certa scienza senza secondi fini, perde ogni difficoltà e peculiarità, ogni significato e interesse, in breve cessa di essere una domanda.

Un fisico, parlando di una bilancia, non penserà mai di considerare la pesatura di un corpo umano come un compito speciale: il corpo umano si pesa come tutti gli altri corpi del mondo.  Allo stesso modo, ad un chimico o ad un fisiologo non verrebbe mai in mente che il corpo umano presenti funzioni speciali o che richieda tecniche scientifiche particolari; il corpo umano si scompone chimicamente allo stesso modo di tutti i corpi del mondo; i suoi processi fisiologici possono essere studiati allo stesso modo di tutti gli altri corpi in cui si verificano. Anche la paleontologia non trova nell'uomo alcuna domanda particolare: i resti umani possono essere determinati con grande accuratezza e senza difficoltà, l'antichità degli strati in cui si trovano è stabilita con gli stessi metodi di qualsiasi altro strato.

Infine, prendiamo la zoologia. Il posto dell'uomo nel sistema zoologico non ha mai rappresentato nulla di oscuro o misterioso: nel sistema gerarchico l'uomo occupa il primo posto, subito seguito dalle scimmie antropomorfe, e solo considerazioni estranee alla zoologia potrebbero confondere un sistema così chiaro e assodato. Linneo, il grande genio della tassonomia, ha indicato la strada a tutti i naturalisti: l'uomo occupa il primo posto nel primo ordine dei mammiferi (Primati), a cui appartengono anche le scimmie.

Quindi, nessuna di queste scienze naturali contiene una domanda come quella che ci riguarda; la nostra questione, ovviamente, non può essere espressa nei termini di queste scienze e risolta con i loro metodi.

Tutto questo ci sarà ancora più chiaro se proviamo a formulare più precisamente la domanda stessa. Il modo più semplice e diretto di farlo è di utilizzare l'espressione del titolo stesso del capitolo: in cosa differisce l'uomo dagli animali? Questa è sicuramente la forma più generale e astratta, perché ammette in risposta tutte le differenze che esistono. Pertanto, si possono ora fare due osservazioni.

Innanzitutto possiamo dire che le scienze naturali di cui abbiamo parlato ci mostrino tutte le possibili differenze tra umani e animali? Ovviamente, non vi è alcuna garanzia che queste scienze esauriscano tutti i tipi di differenze.

In secondo luogo, è chiaro che è facile rispondere alla domanda in questa forma, ma che la risposta non potrà soddisfarci. È molto strano leggere in Huxley le seguenti parole:

Colgo l'occasione per assicurare positivamente che la differenza tra un uomo e una scimmia superiore è grande e significativa, che ogni singolo osso di un gorilla ha caratteristiche per cui può facilmente essere distinto dall'osso corrispondente di un essere umano. [1]

Perché questa garanzia? Sappiamo molto bene che tutte le cose nel mondo sono diverse, e quindi è possibile anche distinguere l'uomo dagli altri animali. Distinguiamo molto facilmente anche le singole persone, e non solo dalla loro fisionomia, dai capelli, dalla larghezza delle ossa, eccetera, ma anche per come parlano e si muovono.

Quindi, il fatto che le scienze naturali determinano le differenze note tra l'uomo e gli animali, ciò non significa ancora che rispondano alla nostra domanda. Infatti, non ci interessa avere davanti ai nostri occhi l'intero elenco di queste differenze, ma vogliamo sapere  quali sono le differenze essenziali tra uomo e animale.

Questa è la forma della domanda, dalla quale è chiaro che essa sta al di sopra del regno delle scienze naturali. Infatti, per queste scienze, ciò che è essenziale è ciò che è insignificante; le scienze naturali non si occupano di queste domande. Ognuna di esse ha un proprio ambito dal quale non può uscire. Così la fisica determina le differenze fisiche tra gli oggetti, le chimica quelle chimiche, le zoologia quelle zoologiche; ma non c'è una scienza che si occupi di determinare in generale le differenze essenziali tra le cose. Ciascuna di queste scienze, ovviamente, considera alcune differenze più importanti, altre meno, ma questi gradi non hanno un significato assoluto e quello che è importante per una delle scienze può non esserlo per un'altra. Due ossi qualsiasi per un fisico e un chimico non rappresenteranno alcuna differenza importante; ma lo zoologo troverà tra loro un'enorme differenza: li distinguerà non per le loro proprietà chimiche o fisiche, ma per la loro forma.

La zoologia è sicuramente la scienza naturale che dà la risposta più diretta alla questione sull'uomo. Ad esempio, la fisica e la chimica lo considerano come un qualsiasi altro oggetto, privo di un posto speciale nella natura. Ma la zoologia la pensa diversamente: ritiene che il suo compito sia determinare l'essenza delle cose, che un posto in un sistema zoologico significhi un posto nella natura, che l'affinità o la differenza zoologica siano l'affinità e la differenza più essenziali.

Così, per esempio, si può generalmente dire che le differenze chimiche tra gli oggetti sono più importanti o essenziali delle differenze fisiche, e le differenze zoologiche siano ancora più importanti di quelle chimiche. Un uomo adulto pesa la metà di un gorilla adulto, la scimmia più vicina a lui, ma questo ha poca importanza. Ancora più importante, è la pochissima differenza nella composizione chimica delle parti di entrambi gli animali. Ma più importante ancora è il grado di affinità zoologica.

Huxley ne parla in modo molto interessante. Iniziando a discutere delle somiglianze tra uomo e scimmia, annota:

Sebbene queste somiglianze e differenze non possano essere pesate e misurate, la loro importanza è facile da determinare: la scala per valutare tale importanza ci viene data nel sistema di classificazione che è ora accettato dagli zoologi.

Ma di quale importanza sta parlando qui Huxley? L'importanza zoologica è facile da determinare usando la scala corretta nel sistema zoologico, ma questa non può essere una scala assoluta, essenziale. Perché qui una scienza è superiore ad un'altra? In che senso va intesa questa superiorità? Come misurarla? Tutte queste sono domande per le quali non esiste una risposta chiara, ma forse la zoologia ha, o potrebbe avere, il diritto di considerare le sue definizioni più pertinenti di quelle di altre scienze naturali.

Ma, per quanto riguarda la domanda che ci interessa, questo non prova ancora nulla. In zoologia non c'è alcuna evidenza che le sue definizioni sui gradi occupati dalle cose nel mondo siano quelle definitive. Quindi, può benissimo essere che qualche altra scienza, per esempio una tra quelle più nuove come la psicologia, trovi caratteristiche ancora più importanti ed essenziali.

Comunque sia, è abbastanza evidente che la nostra domanda equivale a trovare i motivi in base ai quali possiamo giudicare ciò che è essenziale e ciò che non lo è nelle differenze tra gli esseri umani e gli animali.  

Cosa possono rispondere le scienze naturali?

Se vogliamo trovare questa differenza, allora dobbiamo sapere in anticipo quale essa potrebbe essere, cosa dobbiamo cercare. Se, per esempio, misuriamo e pesiamo l'uomo e gli animali e proviamo a determinare la relazione tra la dimensione del corpo umano e la dimensione del corpo degli animali, allora, per quanto misuriamo e pesiamo, non possiamo trovare altro che una relazione aritmetica. Quindi, se alcuni dicono che non c'è differenza essenziale tra l'uomo e gli animali, dovrebbero prima di tutto chiedersi se si possono trovare differenze essenziali tra le cose. Ad esempio, i materialisti danno lo stesso valore a tutti gli oggetti, e quindi non possiamo sorprenderci che ai loro occhi non ci sia alcuna differenza significativa tra l'uomo e gli animali, non c'è bisogno di dimostrarlo. Infatti, se si sa in anticipo che i cerchi quadrati non esistono, sarà del tutto inutile provare che non esistono sulla Terra, né sulla Luna, né da nessun'altra parte.

Quindi, se ci rivolgiamo alle scienze naturali per trovare la differenza tra uomo e animali, allora dobbiamo porci la domanda: possono queste scienze essere in grado di determinare la differenza essenziale tra le cose? Se non sanno come fare, allora dobbiamo essere preparati in anticipo al fatto che riceveremo una risposta inutile, insoddisfacente; possiamo fare riferimento ad una lunga esperienza come prova evidente della loro impotenza nella distinzione essenziale tra le cose e anzi, più importante è la differenza, meno sono in grado di distinguere.

Ad esempio non riescono ancora a comprendere appieno come la vita animale differisca dalla vita vegetale, sebbene questa differenza sia grandissima ed evidente, dal momento stiamo parlando di due regni speciali che non si mescolano tra di loro e si toccano appena l'un l'altro negli organismi microscopici. Allo stesso modo, le scienze naturali non riescono ancora a trovare una differenza significativa tra natura organica e inorganica. Tutti i discorsi dei naturalisti a riguardo  sono estremamente vaghi e confusi.

In generale, più le differenze sono insignificanti, più è facile per le scienze naturali determinarle e definirle con precisione, e la difficoltà aumenta man mano che queste differenze diventano più profonde e importanti. Se queste scienze non sono state in grado di scoprire come la natura organica differisce da quella inorganica, gli animali dalle piante, allora sarà ancora più difficile per esse stabilire in che modo l'uomo differisce dagli animali.

Possiamo facilmente intuire che tutte e tre queste domande sono necessariamente collegate tra loro. Non si può infatti sperare che la questione sull'uomo venga risolta prima della questione della differenza tra animali e piante, o tra organismi ed oggetti inorganici. Se passiamo dal semplice al complesso, allora la questione degli organismi dovrebbe essere risolta per prima. Ma difficilmente sarà così: con ogni probabilità la più profonda delle domande, cioè la domanda sull'uomo, contiene la chiave dell'enigma, risolto il quale tutte e tre le domande si avvicineranno contemporaneamente alla loro soluzione.

Ma che cos'è una differenza essenziale? Di solito non vediamo il mondo come un tutto organico, ma lo immaginiamo costituito da oggetti e fenomeni separati che vogliamo confrontare tra di loro. Questa però non è altro che una semplice suddivisione, una constatazione della loro differenza. Se non sono collegati tra di loro, oggetti e fenomeni non possono che provenire da una fonte diversa, diversa dall'eternità. Per questo i chimici consideravano i loro elementi come sostanze primordiali, e le differenze tra gli organismi erano spiegate dalla forza vitale, cioè un elemento fin dall'inizio estraneo alla natura inorganica.

Questa visione ci porta ad una concezione molto rozza del mondo: in un mondo siffatto c'è un certo ordine, una certa struttura e una composizione ben definita, ma questo ordine è puramente esteriore e meccanico, e consiste in un mero agglomerato di cose riunite insieme. Il mondo cioè è fatto di tanti pezzi, e per discriminarne gli oggetti ci accontentiamo di metterli sullo scaffale appropriato.

Ma ci sono altri modi di vedere le cose. Rifiutiamo per prima cosa ogni criterio di distinzione che violi l'integrità del mondo, non vogliamo cioè trasformarlo in un caos informe, in una folla infinita di atomi, dove in sostanza nulla è diverso da nulla.

Per maggiore chiarezza parleremo in senso figurato. Se un'immagine della natura presenta un certo ordine, se su di essa è raffigurato qualcosa di definito, allora devono esserci anche delle linee, proprio come delle funzioni matematiche. Queste linee devono seguire una certa legge, e quindi avranno i loro punti speciali, centri, fuochi, asintoti, picchi, eccetera. Se intuiamo la questione in questo modo possiamo allora immaginare che l'uomo svolga il ruolo del centro di un cerchio o dell'asintoto di una linea curva. Un dato cerchio o una certa linea, per esempio, potranno rappresentare il regno animale o la natura organica. In questo modo, possiamo assegnare all'essere umano una posizione definita nell'ordine della natura.

Se i posti in natura differiscono per la loro maggiore o minore importanza, allora sarà necessario determinare l'importanza essenziale del luogo occupato dall'essere umano. Prendiamo un caso un po' generale: se consideriamo alcune quantità continue in esse è impossibile distinguere parti separate, ma si possono riconoscere alcuni limiti a cui si avvicinano sempre di più, senza tuttavia raggiungerli. Non ammettendo la discontinuità nel mondo, possiamo vedere l'uomo come il limite al quale tende la natura organica in generale, e la natura animale in particolare. Dal punto di vista meccanico, l'uomo può appropriatamente rappresentare il limite di un certo tipo di dispositivo fisico.

Nel suo "Cosmos", che, secondo l'espressione preferita dell'autore, dovrebbe rappresentare un quadro generale della natura, Humboldt ricorda che tutto il mondo organico dipende in qualche modo dalla massa della Terra:

È necessario ammettere - scrive - che se il nostro pianeta avesse solo la massa della Luna e, quindi, una gravità sei volte inferiore, i processi meteorologici, il clima, le relazioni ipsometriche delle catene montuose rialzate, la fisionomia (faciès) della vegetazione, sarebbero completamente diversi.

Quanto detto sulla fisionomia della vegetazione va esteso alla forma degli animali. Galileo aveva già ben compreso il nesso tra la forma e la forza di gravità, e ne tratta nelle sue "Conversazioni su due nuove scienze".

Ecco quindi una caratteristica molto definita nel quadro della natura: la massa della Terra ha un certo valore e la fisionomia delle piante e la forma degli animali dipendono da questo valore. Cioè la massa della Terra determina quei confini entro i quali la forma dell'animale può cambiare e da cui non può uscire. Facendo un ulteriore passo, possiamo facilmente immaginare che l'uomo, con il suo corpo, raggiunga una certa forma limite.

Alcune caratteristiche di questo tipo di raggiungimento del limite colpiscono nella struttura del corpo umano. Un essere umano cammina su due gambe, e questo è il tipo di movimento che raggiunge la possibile perfezione. Su due gambe è forte, veloce e leggero come un cavallo su quattro zampe. Di per sé questa caratteristica del dispositivo meccanico non è importante e si trova anche in altri animali, ma acquista un significato speciale come caratteristica limite: è impossibile infatti camminare su meno di due gambe.

Analogamente la posizione verticale della colonna vertebrale nell'uomo presenta una caratteristica limite molto chiara. La posizione orizzontale e la posizione verticale sono i due limiti tra i quali può trovarsi la direzione della colonna vertebrale, e l'uomo occupa uno di questi limiti. Inoltre, collegato a questo, c'è un'altra caratteristica limite altrettanto evidente, vale a dire che la base del cranio nell'uomo forma un angolo retto con la direzione della colonna vertebrale. In altri animali la base del cranio o è parallela alla direzione della colonna vertebrale, e così abbiamo il limite inferiore, o forma un angolo più o meno acuto con questa direzione; negli esseri umani raggiunge il limite superiore, cioè è perpendicolare. Anche la struttura del volto umano è notevole in questo senso: la bocca e il naso, cioè le estremità dei tratti digestivo e respiratorio, costituiscono anteriormente la parte prominente della testa negli animali; negli animali superiori, si ritirano sempre di più e, infine, nell'uomo si raggiunge il limite, cioè il viso non sporge dal cranio, e quindi dal cervello.

Ecco alcune indicazioni che non pretendono di essere esaurienti, ma possono chiarire sufficientemente l'idea generale. Potremmo proseguire nel compito di trovare tutti i dettagli che dimostrino che l'essere umano possiede il dispositivo meccanico più perfetto possibile per un animale sulla Terra. Immaginiamo quindi il corpo umano come un limite, nello stesso senso stretto per cui un cerchio è il limite dei poligoni inscritti e circoscritti.

Già da qui si potrebbe dire che uomo e animale sono due cose diverse, così come i matematici dicono che una linea spezzata non è curva. Tuttavia, è evidente che questo non basta: le differenze matematiche e meccaniche, qualunque esse siano, per la loro stessa natura non possono essere di grande importanza. Il limite in senso matematico è quasi del tutto omogeneo con ciò che si avvicina al limite. Quindi è necessario ricorrere ad altre misure, cercare altri metodi per determinare le differenze.

In generale, notiamo che maggiore è l'area in cui cerchiamo queste misure, più ampie ed essenziali troviamo le differenze. Ad esempio, ad uno sguardo puramente estetico, l'incomparabile bellezza del corpo umano lo distanzia infinitamente dalla scimmia a lui più vicina. Se in una singola persona si potesse manifestare questa bellezza divina, allora sarebbe già al di sopra dell'intero regno animale.

Passiamo ora dal meccanico all'organico. Il mondo organico ci presenta differenze così importanti che non possono essere trovate nella meccanica. Un organismo è composto da varie parti, secondo la sua stessa definizione elementare. Su questa base, le differenze più evidenti sono solitamente espresse in termini presi dal concetto di organismo. "Lui è il capo di tutta la faccenda; questa persona è la mia mano destra, questa o quella città è il cuore della Russia" - queste sono le frasi comuni per descrivere la funzione o la posizione di qualcuno o qualche cosa.

Infatti l'anatomia e la fisiologia, qualunque sia il carattere meccanico che cercano di assumere, devono inevitabilmente indicare una differenza significativa tra le parti dell'organismo. Tutti i tessuti del corpo umano hanno origine da cellule omogenee, ma nessuno dubita che il tessuto principale sia quello nervoso, e che in questo senso sia nettamente distinto dagli altri, ad esempio da quello osseo. Tutte le parti del corpo sono composte da cellule, ma è ovvio che la testa è la parte principale del corpo umano, significativamente diversa dalle altre.

Ora trasferiamo tutto ciò all'essere umano: immaginiamo che l'uomo nei confronti degli altri organismi sia come il sistema nervoso in rapporto ad altri sistemi del nostro corpo. Oppure immaginiamo che sia, in relazione al regno animale, come la testa rispetto al resto del corpo. Anche in questo caso l'uomo rappresenterà un limite per gli organismi, non un limite meccanico, ma organico, in modo da unire e concentrare in sé tutto il significato e il contenuto di ciò che costituisce un limite.

Perché proprio il sistema nervoso? La dignità e l'importanza di un organo è determinata dalla sua funzione. Quindi, se vogliamo trovare una differenza essenziale degli animali rispetto all'essere umano, allora dobbiamo cercarla sulla base di qualche evidente diversità nelle funzioni, che, nella sua importanza per il significato e la vita della natura, sia analoga a quella del sistema nervoso nel corpo umano rispetto agli altri organi.

L'uomo pensa, e questa è la peculiarità dell'uomo in tutta la natura. Se l'uomo è un organismo pensante, è quindi nettamente separato dal resto della natura, così come il tessuto nervoso è separato dagli altri  per il fatto di essere un tessuto sensoriale. La sensibilità è incomprensibile ai naturalisti: non sono riusciti a inquadrarla sotto nessuna formula e non sanno come sia connessa con la struttura del tessuto sensoriale. Tuttavia questo fatto è riconosciuto da tutti, e in generale è indubbio che il sistema nervoso sia l'organo principale e il più importante; che l'uomo sia un organismo pensante, è evidente a tutti, sebbene non possa essere dimostrato scientificamente.

Darwin ha scoperto che gli organismi si sviluppano secondo la legge della selezione naturale. Se assumiamo questo punto di vista, dobbiamo riconoscere che l'uomo è l'essere più selezionato della natura, un essere davanti al quale tutte le altre creature, sia organiche che inorganiche, debbono ritirarsi sconfitte nella lotta per l'esistenza. Uccidere un leone e condurre il fiume lungo un nuovo canale, queste due gesta di Ercole, hanno lo stesso significato nel mondo umano. Se lo sviluppo ha come motore la lotta, allora possiamo dire che l'uomo è il limite della lotta darwiniana, perché qui la lotta si ferma, appare il dominatore davanti al quale non ci sono rivali, a cui tutto è ugualmente sottomesso.

Da tutto ciò è chiaro che la scienza ha davanti a sé un percorso lungo e complesso per determinare il significato dell'uomo, e che, da qualunque parte affronterà la questione, le si apriranno sempre lontani orizzonti di ricerca.

NOTE

  1. Strakhov cita il libro di Thomas Huxley "Sulla posizione dell'uomo tra gli esseri organici" (San Pietroburgo, 1864).

PARTE SECONDA

  NATURA INORGANICA

12. Critica dell'atomismo

Leggi generali nello sviluppo delle scienze

Nell'ambito delle scienze naturali l'empirismo regna quasi incondizionatamente. L'empirismo è sicuramente una visione della causalità, che viene poi applicata a tutti i fenomeni, anche a quelli mentali. Per molti empiristi non c'è neppure bisogno di fenomeni mentali; l'intera storia della mente è un miscuglio di errori, supposizioni e pregiudizi che si susseguono come una catena; nessuno rimane senza conseguenze, nessuno sorge senza precedenti influenze. E questa visione è considerata razionale e profonda. Molte persone pensano che, esaminando le cause immediate degli eventi, raggiungeranno la loro stessa essenza, il loro stesso significato.

In nessun posto come nella storia della scienza questa misera visione delle cose si è rivelata così inadeguata. La scienza ha costantemente lo stesso contenuto, lo stesso obiettivo immutabile: la verità. La scienza non può esistere un solo giorno senza la certezza di poter raggiungere la verità, anche una verità parziale. Se le cause producono effetti, e gli effetti diventano cause di nuovi fenomeni, dove va a finire questa serie infinita? È altrettanto facile presumere che ci conduca all'errore piuttosto che alla verità.

Quindi è ovvio che l'empirismo non può comprendere la cosa più importante, cioè i principi dello sviluppo della scienza, che in questa visione non ha significato e ordine perché dipende interamente dal caso, dalla scoperta inaspettata di nuovi fatti, dall'opera isolata di un qualche genio, eccetera.

Tuttavia, se gli scienziati naturali applicassero alla storia delle loro scienze gli stessi principi che li guidano nello studio della natura, si incamminerebbero subito per la strada giusta e troverebbero legge, ordine e razionalità dove tutto sembra loro caos o meccanica accumulazione di fatti e pensieri.

Da questo punto di vista la storia delle scienze è insieme confortante e profondamente istruttiva; è, infatti, la storia dei sentieri lungo i quali si muove la mente umana e, studiandola, comprendiamo anche i metodi che ne stano alla base.

Senza sviluppare ulteriormente questi pensieri, ci soffermeremo qui, a titolo di esempio, su un fatto molto importante, che dovrebbe aver stupito chiunque non abbia studiato con un cieco empirismo lo sviluppo delle scienze. Ci sono cioè alcuni fenomeni, alcuni problemi, attorno ai quali ruotano costantemente le scienze sperimentali e che, tuttavia, rimangono del tutto irrisolti e incomprensibili, nonostante tutte le ricerche.

La storia della scienza mostra che questioni di questo tipo sono state proposte da tempo immemorabile nello stesso modo in cui vengono formulate ora, ma che tutti i successi della scienza, nonostante brillanti scoperte e grandi sforzi, non ci hanno avvicinato di un passo alla loro soluzione. Questo fatto è molto importante, anche se per un empirista ortodosso non ha il minimo significato. E infatti, considerando tutti i fenomeni come casuali e sconnessi, non solo è impossibile conoscere l'ulteriore corso della scienza, ma è impossibile essere sicuri, ad esempio, che le leggi di gravità non vengano violate in questo momento nella stanza accanto, o che questo tavolino non risponderà alle nostre domande attraverso la scrittura automatica eccetera.

Ma mettiamoci dal punto di vista dell'empirismo ragionevole e cerchiamo di vedere le cose in modo diverso. La storia delle scienze, la loro esperienza secolare, mostrano che le domande che la mente pone a se stessa sono di due categorie. Le domande del primo tipo sono quelle in cui la risposta, seppur molto lontana, diventa via via più chiara con il passare del tempo, mentre quelle del secondo tipo continuano a rimanere oscure, come dal primo minuto in cui ce le siamo poste.

Consideriamo, ad esempio, la questione della nutrizione del corpo umano o della formazione del globo. Che domande vaste e difficili! Quanto è lontana la loro soluzione completa! Ma intanto ci avviciniamo passo dopo passo; che scoperte sorprendenti, che grandi aspettative! Spesso tra le persone istruite, ma non pienamente informate, si può sentire persino una sfiducia beffarda su molti di questi problemi. Ma sappiamo già molto e, per di più, siamo fermamente convinti che col tempo impareremo ancora di più.

Prendiamo ora domande di tipo diverso, per esempio, quelle sulla connessione tra fenomeni spirituali e materiali, o su cos'è una sostanza. Queste domande sono così comuni che inevitabilmente ogni fisiologo, fisico o chimico vi si sono imbattuti dall'inizio della storia delle loro scienze e continuano ad essere attuali. Tuttavia, nelle lezioni di queste scienze, si sente spesso affermare di non sapere quale sia l'essenza della materia, oppure che la connessione tra il corpo e l'anima rimarranno per sempre incomprensibili per la mente[1].

Ma se la ricerca empirica ruota costantemente intorno a queste domande, allora non avremmo noi il diritto di aspettarci che gradualmente si chiariscano, che ci avvicineremo almeno alla loro soluzione? In effetti, chi potrebbe sapere meglio di un chimico o un fisico cos'è una sostanza? Chi potrebbe capire la connessione tra anima e corpo meglio di un fisiologo?

Infatti, molti fisici e fisiologi affrontano queste domande affermando che appartengono completamente al loro campo e che le scienze empiriche, con il loro graduale sviluppo, si stanno effettivamente avvicinando alla loro soluzione. Per certi aspetti tali studiosi possono rivendicare i molti successi delle loro discipline in questo campo. Le scienze empiriche sono mosse costantemente dal desiderio di risolvere le questioni indicate seguendo una certa direzione, che possiamo chiamare materialista. Così fisici e chimici si appoggiano alla teoria atomistica della  materia, e la fisiologia inclina sempre di più verso la riduzione dei fenomeni spirituali a quelli materiali.

Tali successi, tuttavia, non sono altro che pura apparenza. In realtà, è facile vedere che le questioni non sono state sostanzialmente spostate di un passo, mentre la loro soluzione in una certa direzione è stata trovata molto tempo fa. I materialisti e gli atomisti esistevano già nell'antica Grecia; in epoca moderna, i fenomeni da analizzare sono stati moltiplicati all'infinito, ma i naturalisti applicano semplicemente gli stessi metodi di soluzione ad un numero maggiore di casi e li considerano un successo, mentre non hanno più diritto di decidere su queste cose rispetto agli antichi filosofi greci.

In ogni caso, gli empiristi non ammetteranno che in queste domande non è stato fatto alcun progresso, ma qui cercheremo di darne un abbozzo di dimostrazione prendendo come riferimento la teoria degli atomi; da questo esempio particolare cercheremo quindi di evidenziare l'impotenza dell'empirismo in alcuni ambiti, mostrare cioè che ci sono domande che sono insolubili per le scienze sperimentali. Se riusciremo in questo intento, sarà di per sé ovvio, oltre ad altre conseguenze, che la storia delle scienze non può essere considerata né come una successione di errori e delusioni, né come una serie infinita di rivoluzioni. Infatti da ciò si vedrà che l'empirismo è inevitabilmente soggetto da sempre alla stessa legge, che ha confini oltre i quali si sforza costantemente di andare, ma che questi sforzi, che sono invariabilmente della stessa natura, rimangono infruttuosi.

Questo perché le questioni sull'anima e sulla sostanza sono notevoli in quanto non possono venire analizzate, cioè scomposte in problemi più semplici che possono essere risolti uno dopo l'altro. Quando ci poniamo una domanda di tipo diverso, per esempio, sulla formazione del globo, qui ci sono domande parziali. Ad esempio, la Terra è sempre stata separata o era prima inglobata in altri corpi? Come e perché si è separata? In che stato era la sua sostanza? Che dimensione aveva? Quale movimento? E così via. È tutt'altra cosa quando si pone la domanda: che cos'è una sostanza? Qui non si può rispondere per parti separate; la domanda non si può scomporre, e ci aspettiamo o una risposta completa o nessuna risposta del tutto.

Una difficoltà simile si presenta inevitabilmente quando si tratta della connessione tra l'anima e il corpo. Se qualcuno volesse conoscere la relazione tra la pressione del vapore e il movimento di un piroscafo, potrebbe formulare la sua domanda, ad esempio, chiedendo prima su quale superficie preme il vapore, poi in quale modo si muove il corpo soggetto a questa pressione, come questo movimento viene trasmesso ad altri corpi, ecc. Insomma, in questo caso si richiede di determinare una connessione meccanica, e sappiamo già cosa sia una connessione e quali parole e concetti abbiamo per descriverla.

È completamente diverso quando ci si interroga sulla connessione tra fenomeni spirituali e materiali: qui la caratteristica della connessione stessa è sconosciuta, non ci sono le definizioni e i concetti adatti per iniziare a comprendere il fenomeno.

In altre parole, in questioni di questo tipo si tratta dell'essenza dell'oggetto, e quindi la risposta è difficile; in questioni di altro genere, come la formazione della Terra o il nutrimento del corpo, si presume che l'essenza dell'oggetto sia conosciuta; assumiamo già l'esistenza della materia, e l'azione di forze fisiche e chimiche, e ci chiediamo solo come si verificano i loro effetti, in quale ordine, in quale numero, con quale intensità, eccetera.

Quindi i naturalisti non possono decidere domande sull'essenza dei fenomeni, cioè precisamente su ciò che vorremmo sapere di più. Infatti fisici e chimici affermano quasi all'unanimità di non sapere cosa sia la materia.

La nozione degli atomi è il primo concetto che incontra chiunque inizi a studiare fisica; si abbraccia facilmente e poi non ci si riesce più a staccare.

ll punto fondamentale dell'atomismo riguarda la divisibilità della materia. La questione è abbastanza precisa: delle due l'una: o la materia è divisibile all'infinito, oppure è costituita da particelle indivisibili; non può essere che una questione così diretta, chiara ed essenzialmente importante non possa essere risolta in alcun modo.

Critica ai fondamenti della teoria

Per motivi di chiarezza espositiva, esaminiamo direttamente su cosa si basa l'assunzione degli atomi, cioè, cerchiamo di analizzare appieno quei fondamenti indicibili su cui poggia così saldamente la convinzione degli atomisti.
  Si dice spesso che l'ipotesi degli atomi sia stata inventata dai Greci, Leucippo e Democrito, nel V secolo a.C., ma che abbia ricevuto particolare sviluppo e verosimiglianza a partire dalla dottrina delle proporzioni chimiche, confermata da esperimenti esatti[2]. È facile mostrare, tuttavia, che la teoria atomistica ha un valore molto più alto, che è una supposizione che deriva naturalmente dalla natura della nostra mente. Di conseguenza, senza Leucippo e Democrito, e senza proporzioni chimiche, doveva necessariamente apparire prima o poi nella scienza. Proviamo a mettere in evidenza i fondamenti su cui si basa realmente, e a tracciare la formazione stessa del pensiero sugli atomi.

I corpi sono costituiti da parti, sono divisi in parti. Ecco un dato di fatto, ecco quell'informazione sperimentale per la quale non è necessario recarsi nei laboratori chimici, e che però costituisce la base della teoria degli atomi.

Per cui, senza soffermarci su questo fatto, andiamo oltre e contrapponiamo subito il corpo alle sue parti. Diciamo: il corpo non è qualcosa di indipendente, è solo un insieme di parti, è costituito da esse. Di conseguenza l'essenza del corpo non è contenuta nel suo tutto, ma nelle sue parti. Le parti sono indipendenti e il corpo è solo la somma delle parti.

Ma, ovviamente, se il corpo, nel suo insieme, non esiste in senso proprio, ma esistono solo le sue parti, queste parti non dovrebbero consistere a loro volta di parti, ma dovrebbero esistere in se stesse, dovrebbero cioè essere oggetti interi indipendenti. L'unica posizione coerente è quindi quella di dire che i corpi sono composti da questi atomi, cioè particelle indivisibili e non connesse tra di loro.

La fallacia, o, per meglio dire, l'unilateralità di questo ragionamento, è evidente. In effetti, perché una tale preferenza per le parti rispetto a tutto il corpo? Perché non dire che le parti del corpo esistono sempre solo come parti e che il tutto è indipendente, e le parti in senso proprio non esistono?

Possiamo ragionare così: i corpi possono essere divisi in parti, ma non sono costituiti da parti. Infatti ogni corpo può essere diviso in parti nei modi più diversi, quindi, avendolo in qualche modo diviso, non possiamo però dire che fosse costituito proprio dalle parti in cui lo abbiamo diviso.

Ogni corpo rappresenta qualcosa di indipendente, avente una forma, una dimensione, un peso definiti, ecc. Finché è un corpo, non ci sono parti indipendenti in esso; se lo abbiamo diviso, allora la forma, la dimensione e la densità delle parti dipenderanno completamente dalle proprietà del tutto e dal metodo di divisione.

Quindi ogni corpo è un tutto indipendente, e l'esperienza mostra che non esistono parti definite in esso, che cioè ogni corpo può essere diviso in qualsiasi modo. Invece degli atomi, siamo dunque arrivati a una divisibilità indefinita della materia.

Per quanto chiara sia questa divisibilità da tutti i tipi di esperimenti, il fondamento metafisico su cui poggia la convinzione degli atomisti si è così strettamente fuso con i loro pensieri che, nonostante tutti gli esperimenti, la teoria degli atomi continuerà ad esistere a lungo. Ma non è facile convincere i fisici che stanno discutendo metafisicamente e, per di più, senza fondamento.

Presentiamo la posizione degli atomisti in una forma diversa ma con lo stesso significato.

Dicono: dividiamo un corpo in parti. In realtà però non è cambiato nulla: le sue parti contengono tutto ciò che era presente nel corpo intero; dividendolo, non importa in quanti frammenti, non solo non distruggeremo l'essenza del corpo, ma non la cambieremo nemmeno per un capello. Pertanto, nel corpo c'è qualcosa di immutabile, permanentemente dimorante. Ma il corpo consiste di materia, e la materia è essenzialmente caratterizzata alla grandezza e dalla forma; di conseguenza il corpo è costituito da una sostanza la cui dimensione e forma sono inalterabili, cioè da particelle indivisibili che chiamiamo atomi. Un corpo può dividersi, ma i suoi atomi non possono essere divisi in parti; le parti di un corpo possono avere forme e dimensioni diverse, ma gli atomi hanno invariabilmente la stessa forma e dimensione.

Tutta questa costruzione si basa sul fatto che la sostanza di un corpo è considerata immutabile e che, nonostante tutti i possibili cambiamenti nei corpi, si ritiene che i suoi atomi mantengano tutte le loro proprietà, tra cui forma e dimensione, come qualsiasi altra sostanza.

È già chiaro qui che i fisici cercano di percepire il mondo immutabile delle essenze dietro il mondo dei fenomeni, ma poi con la loro immaginazione rivestono questo mondo nelle forme dei fenomeni a loro familiari.

In effetti l'essenza della materia è immutabile, ma perché incarnare questa essenza in particelle immutabili, cioè immaginare corpi che però non hanno le proprietà dei corpi reali, ma hanno le proprietà di un'essenza?

Tutti i corpi si dividono, questo è uno dei primi principi della fisica. Com'è possibile passare da qui all'indivisibilità degli atomi? La divisione è un cambiamento significativo nel corpo. In effetti, cosa consideriamo essenziale per un corpo se la sua forma e le sue dimensioni non sono essenziali per esso? Avendo diviso il corpo in due parti, otteniamo ovviamente due corpi invece di uno, il corpo di partenza non c'è più.

E in generale, tra gli innumerevoli mutamenti della materia, come mai i fisici si sono avventurati ad affermare la sua invariabilità? La più audace tra tutte le ipotesi audaci! Eppure la difendono con incrollabile convinzione e il più grande ardore.

Prima di tutto mostriamo che, secondo la teoria atomistica, tutti i fenomeni sono spiegati in modo da essere in realtà negati, e quindi non richiedono alcuna spiegazione. Tale negazione deriva direttamente dalla natura stessa di questa teoria. Gli atomi rappresentano per noi l'essenza immutabile della materia, nessun cambiamento nel mondo dei fenomeni li tocca, ma gli atomi stessi sono materiali, e però immaginiamo che la loro materia non subisca cambiamenti. Esaminiamo, infatti, i casi particolari più importanti.

Quindi, vediamo che ovunque, per quanto profondo sia un cambiamento nella materia che si verifica in natura, è spiegato dagli atomisti in modo tale che, in realtà, non esiste, che cambiano solo le relazioni spaziali degli atomi, e non la materia stessa, non gli atomi.

Dagli esempi precedenti soffermiamoci un po' sulla comprimibilità ed espandibilità di una sostanza, cioè sulla sua capacità di occupare più o meno spazio. Questo argomento è molto importante.
  In primo luogo, molti vedono questi fenomeni come una prova particolarmente chiara dell'esistenza degli atomi.

Quando vediamo - dice Lavoisier - che i corpi si espandono dal calore e si contraggono dal freddo, è difficile resistere all'ipotesi che siano composti da particelle che si avvicinano l'una all'altra con il freddo e si allontanano con il calore.[3]

Questa prova è spesso data in un'altra forma. Dicono: la sostanza è impenetrabile, e l'esperienza mostra che i corpi sono compressi; quindi, si deve presumere che ci siano spazi vuoti nei corpi, ci siano distanze tra le particelle reali. Le particelle stesse non hanno spazi vuoti e, quindi, sono incomprimibili e inestensibili.

La cosa più strana qui è la contraddizione diretta delle prime due proposizioni: la materia è impenetrabile, ma l'esperienza mostra che i corpi sono compressi. Ovviamente la prima asserzione, l'assoluta impenetrabilità della materia, ovvero l'immutabilità dello spazio che essa occupa, è presa dai fisici non dall'esperienza, ma è presupposta nell'esperimento, e poi, quando l'esperienza mostra che i corpi sono comprimibili ed espandibili, gli atomisti negano questo fenomeno e accettano invece solo il movimento delle particelle.

Per inciso, l'impenetrabilità è solitamente dimostrata da esperimenti, ma in nessuna esperienza la contraddizione tra ipotesi e conclusioni è così stridente. Prendiamo, dicono, un cilindro pieno d'aria, e iniziamo a spostare il pistone al suo interno. Quindi l'aria può essere compressa in uno spazio di dieci, venti volte minore, ma ancora l'aria non penetrerà attraverso il pistone o il pistone attraverso l'aria.

Ovviamente, però, questo esperimento, invece di dimostrare la perfetta impermeabilità dell'aria, dimostra solo che l'aria è permeabile, ma non può essere completamente penetrata. Infatti lo stesso spazio che l'aria occupava all'inizio ora è occupato dal pistone; il pistone, dunque, è penetrato nel luogo che apparteneva all'aria: quale altra permeabilità è possibile? D'altra parte, lo stesso corpo, la stessa quantità di materia occupava meno spazio e, quindi, più materia veniva posta nello stesso spazio. Solo questa si può chiamare permeabilità, perché se vogliamo che due sostanze occupino contemporaneamente lo stesso spazio, allora questa non sarà più penetrazione, ma un altro fenomeno, cioè la combinazione di due corpi in un nuovo corpo, un composto chimico.

Ripetiamo ancora una volta lo stesso ragionamento: un certo spazio appartiene necessariamente ad ogni corpo; se qualche altro corpo occupa una parte di questo spazio, allora diciamo che un corpo penetra in un altro. Se immaginiamo che lo stesso spazio in tutti i suoi punti sia occupato contemporaneamente dall'uno e dall'altro corpo, allora questo, ovviamente, risulterà in un nuovo corpo, nel quale sarà impossibile distinguere tra i due corpi di partenza, e di conseguenza non si può dire che l'uno sia penetrato nell'altro.

Anche in questo caso vediamo che la penetrazione esiste nelle soluzioni e nei composti chimici ma viene rifiutata dagli atomisti. è impossibile non cogliere la contraddizione nel fatto che, avendo dimostrato l'impenetrabilità dei corpi, i fisici vadano oltre e dimostrino che tutti i corpi sono porosi, portando come prova di questa affermazione esperimenti da cui è chiaro che i corpi sono permeabili. È difficile capire come questa strana incoerenza sia sfuggita ai fisici, ma è molto facile spiegare come sia successo. Gli atomisti infatti, nonostante l'evidente comprimibilità e permeabilità dei corpi, presumono che tutti i corpi siano costituiti da piccoli corpi incomprimibili e impenetrabili, gli atomi. Pertanto, quando i corpi presentano la resistenza alla compressione e alla penetrazione, la attribuiscono ai loro atomi, e quando si verificano chiaramente compressione e penetrazione, lo attribuiscono all'intero corpo e in particolare alla sua porosità, cioè al fatto che le particelle siano separate da spazi vuoti. Così, nell'esperimento con l'aria che abbiamo visto prima, se l'aria passasse attraverso il pistone, questo dimostrerebbe che ci sono spazi tra gli atomi del pistone, e se non passa, allora questo dimostra che gli atomi dei corpi non possono penetrarsi a vicenda.

Se accettiamo che la materia in generale possa contrarsi, espandersi ed essere divisa in qualsiasi modo, allora la cosa più semplice è immaginare la permeabilità come la intendono i fisici, cioè la capacità dei corpi di far passare altri corpi attraverso se stessi. Il miglior esempio di ciò è una bolla di gas che sale dal fondo di un fiume; passa attraverso l'intera massa di liquido e si mescola con l'aria sulla superficie. Ovviamente, non ci sono canali o pori nell'acqua per tali bolle, eppure passano liberamente attraverso di essa. Allo stesso modo, le gocce di pioggia attraversano l'aria, comprimendola e lacerandola lungo il percorso. Così come, senza dubbio, la palla d'oro degli accademici fiorentini lasciava passare l'acqua che vi era contenuta sotto forte pressione[4].

Al contrario, la permeabilità nel senso dell'esistenza di vuoti o passaggi all'interno dei corpi, è una caratteristica di molti corpi, ma non di tutti. È noto che una spugna o un albero hanno dei pori, ma questi sono corpi organici, e quindi porosi nella loro struttura. Tuttavia, dell'innumerevole numero di sostanze omogenee note alla chimica, non possiamo provare per nessuna la presenza di pori e canali in esse. Tali sono, ad esempio, tutti i liquidi, i metalli, il vetro, ecc. In questi corpi tutti gli esperimenti mostrano una perfetta omogeneità, cioè mostrano che ogni punto di essi è ugualmente occupato dalla materia. Nonostante questo fatto, gli atomisti rifiutano l'omogeneità di qualsiasi corpo.

Da quanto precede sembra chiaro che la teoria atomistica neghi i fenomeni che osserviamo nei corpi, perché presuppone che nella sostanza, cioè negli atomi, questi fenomeni non si verificano. Ne consegue che nessuna esperienza potrà né confutare questa teoria né dimostrarne la validità. Infatti, qualunque sia l'esperimento che facciamo, nell'essenza della teoria stessa questo esperimento viene rifiutato, e al suo posto viene fornita una spiegazione consistente nel gioco degli atomi. E viceversa, poiché le proprietà degli atomi sono in diretta contraddizione con le proprietà dei corpi, allora ovviamente non potremo mai trovare corpi così piccoli come i fisici immaginano gli atomi, e non osserveremo un solo esperimento in cui i corpi agiscono come se fossero composti da atomi.

Quindi non incontreremo mai gli atomi; abbiamo bisogno di atomi solo per personificare l'essenza immutabile della materia, e quindi, non possiamo incontrarli nel mondo dei fenomeni, nel mondo reale dei continui cambiamenti.

Pertanto, non importa come dividiamo la materia, nella più piccola parte di essa debbono esserci ancora atomi, perché anche la più piccola parte della materia è sempre materia mutevole, comprimibile, divisibile, ecc. Quindi, gli atomi devono per forza essere infinitamente piccoli, cioè inferiori a qualsiasi grandezza data. In altre parole, immaginando gli atomi, non possiamo dar loro alcuna dimensione, anche la più piccola, perché da essi dobbiamo costruire i fenomeni della materia, per quanto piccole possano essere le dimensioni dei fenomeni e dei corpi reali. Dunque la dimensione degli atomi è arbitrariamente piccola. Non appena ci allontaniamo da questa definizione e immaginiamo che gli atomi siano reali, aventi una certa grandezza definita, cadiamo immediatamente in contraddizione.

Se gli atomi non possono essere trovati in natura, allora siamo nel campo del pensiero e non nel campo della realtà. Ma supponiamo di aver trovato effettivamente una tale sostanza. Allora i fisici troverebbero dei fenomeni senza dubbio più sorprendenti di tutto ciò che hanno visto e studiato finora, troverebbero infatti una sostanza che non ha le proprietà della materia.

Ci sono molti altri esempi simili. Tutti i corpi sono permeabili, ma gli atomi sono corpi impenetrabili, quindi, assolutamente solidi; tutti i corpi sono porosi, tuttavia gli atomi non hanno pori, e quindi sono omogenei e così via. Negando i fenomeni conosciuti negli atomi, allo stesso tempo attribuiamo loro alcune proprietà ben definite, sebbene non riscontrabili in natura.

Davanti a noi c'è un intero mondo di proprietà e fenomeni particolari e noi, secondo le inevitabili leggi della mente, dobbiamo immediatamente sforzarci di spiegare a noi stessi tutti questi fenomeni. Così, per poter spiegare i fenomeni della materia, l'atomismo li riduce ad altri fenomeni ancora più incomprensibili.

Agli atomisti non resta che ammettere che non ci sono e non possono esserci risposte corrette e ragionevoli ad alcune domande, in altre parole, che ci sono fenomeni che non hanno causa. Questo è ciò che fanno quando dicono, per esempio, che le proprietà degli atomi appartengono a loro dall'eternità, che sono le particelle primordiali della natura, dalle cui proprietà dipendono le proprietà di tutti i corpi e di tutti i fenomeni. Tali risposte sono direttamente contrarie alla ragione, contrarie allo spirito stesso della ricerca scientifica.

Prendiamo, ad esempio, la questione dell'indivisibilità degli atomi, un eterno ostacolo per gli atomisti. Poiché gli atomi sono estesi, possono essere mentalmente divisibili; ma perché nella teoria non si dividono? Da cosa dipende la loro indivisibilità?

Questo è il concetto stesso di atomo; non appena ci fermiamo su di un atomo, già si disintegra in particelle; se ci fermiamo sulle particelle, queste sono costituite da particelle ancora più piccole, e così via all'infinito[5]. Se alla fine decidiamo di fermarci, allora la domanda è inevitabile: perché i nostri ultimi atomi sono indivisibili?

A questa domanda, come detto, gli atomisti non hanno risposta. Questa mancanza è stata perfettamente espressa da Newton che, come si addice ad una grande mente, la espresse con assoluta chiarezza.

Ritengo verosimile - dice - che Dio abbia creato prima la materia sotto forma di particelle dense, solide, impenetrabili, mobili, di tali forma e dimensioni, con tali proprietà e in tale relazione con lo spazio, come era richiesto dallo scopo per cui furono create; che queste particelle originarie sono incomparabilmente più dure di tutti i corpi porosi che sono fatti di queste particelle; anzi, tanto dure che non possono mai essere divise in parti, perché nessuna forza può separare ciò che Dio ha creato intero.

Quindi l'indivisibilità degli atomi dipende direttamente dalla volontà di Dio. Ma, nello stesso esatto senso, tutto il resto, tutti i fenomeni, qualunque cosa prendiamo, dipende da Dio, e quindi, quando si spiega un fenomeno, non ci si può accontentare della parole: così piace a Dio... Significherebbe semplicemente rinunciare alla ricerca.

Critica all'ipotesi degli atomi

Quindi la teoria degli atomi presenta, come abbiamo visto, un duplice difetto. In primo luogo riconosce proprietà negli atomi che, come sappiamo per esperienza, non esistono nei corpi, e in secondo luogo, non fornisce alcuna spiegazione per queste proprietà.

Senza dubbio gli atomisti saranno d'accordo che la loro teoria è supportata da una sola cosa, e cioè la riduzione di tutti i fenomeni in relazioni spaziali e temporali. Il movimento, cioè il cambiamento dello spazio nel tempo, è un concetto facile, semplice, in cui la nostra capacità di rappresentare non incontra alcuna difficoltà. Per immaginarci questo scenario è però necessario togliere alla sostanza ogni capacità di cambiamento e lasciarle solo quella di movimento; ecco da dove vengono tutte queste strane proprietà degli atomi. Ma queste proprietà, così difficili da spiegare, sono estremamente facili da immaginare; sono semplici, consistono tutte in una totale negazione del cambiamento e quindi hanno la determinatezza matematica che tanto ama la nostra mente.

Vediamo, quindi, che fisici e chimici cadono in netta contraddizione con i loro principi quando, accettando la teoria degli atomi, non osano spiegare alcuni fenomeni con l'aiuto delle relazioni meccaniche. Consideriamo, ad esempio, il concetto dei chimici di elementi. Credono, almeno la maggior parte di loro, che ogni elemento abbia i suoi atomi distinti. Eppure non c'è niente di più facile che presumere che gli atomi di tutti i corpi siano uguali e che la differenza tra oro e ferro consista solo nella diversa struttura delle particelle di questi metalli.

Invece spesso la forma dei cristalli è spiegata erroneamente dalla forma degli atomi di cui sono composti. A parte il fatto che spiegare la forma per mezzo della forma non è per nulla corretto, ma in effetti la domanda è proprio questa: perché una sostanza presenta una certa forma? Di conseguenza, ci si può chiedere anche degli atomi: perché hanno la forma giusta per ogni sostanza? Inoltre tale spiegazione non concorda con lo spirito della teoria atomistica perché non c'è difficoltà nel costruire forme e figure dagli atomi e quindi non ci sono problemi ad immaginarli tutti uguali e della stessa forma, come dovrebbe fare un atomista coerente. Per esempio Berzelius credeva che tutti gli atomi fossero rotondi; pensava addirittura che potessero essere uguali tra loro e differire solo per il loro peso[6].

I naturalisti evitano senza ragione un tale assunto, mentre è abbastanza chiaro che, per la massima semplicità, è necessario. Il significato dell'intera teoria atomistica, come abbiamo detto, è una costruzione meccanica e quindi la più semplice di tutte.

Ma, anche concedendo che la visione meccanicistica sia effettivamente così semplice, così chiara e così in accordo con la nostra mente come suppongono gli atomisti, ci si può ancora chiedere: è davvero sufficiente l'esistenza degli atomi per costruire una struttura meccanica del mondo intero, cioè, è davvero così facile spiegare tutti i fenomeni partendo dalla sola ipotesi dell'esistenza degli atomi?

Supponiamo che gli atomi esistano e vediamo cosa possiamo concludere da questo. Immaginiamo un numero indefinitamente grande di atomi, immaginiamo gli atomi del mondo intero: quali fenomeni ci presenteranno? Ovviamente nessuno. Se fossero almeno abbastanza grandi, allora avremmo davanti a noi dei corpi, magari di forme diverse, di gravità diversa, ecc. Ma sono piccoli, incommensurabilmente piccoli, invisibili, intangibili e tutti sono uguali. Cosa ci presenteranno? Ovviamente nulla. Perché qualsiasi fenomeno, anche un semplice corpo, derivi dagli atomi, è necessario, oltre ad essi, qualcos'altro, delle forze, un qualche tipo di movimento; cosicché se analizziamo in dettaglio tutti i fenomeni, risulta che per nessuno di essi gli atomi stessi sono sufficienti, ed è necessaria una nuova ipotesi che li aiuti a costruire il fenomeno. L'essenza della teoria stessa è la necessità di fare tante ipotesi quanti sono i fenomeni.

Esaminiamo i fenomeni più importanti al riguardo:

Potremmo estendere facilmente lo stesso ragionamento a molte delle altre spiegazioni offerte dagli atomisti. Al di sopra degli atomi è sempre richiesta la presenza di forze, ed è tale grandezza con le sue proprietà che occorre per spiegare i fenomeni. Così, per esempio, in quest'ultimo caso, sarebbe vano per gli atomisti dire che atomi di forma diversa possono avere forze uguali: se infatti le forze sono qualcosa di separato dagli atomi, allora per atomi uguali possono essere diverse, o alcune forze possono essere uguali, mentre altre non lo sono, ecc.

 Ci soffermeremo qui in particolare sulle proporzioni chimiche, poiché sono considerate il più forte supporto alla teoria atomistica e si ritiene solitamente che l'esistenza degli atomi sia necessaria per spiegare la determinatezza dei composti chimici.

I filosofi - dice Regnault - hanno discusso molto sulla divisibilità della materia, ma i loro sforzi hanno fatto ben poco per far avanzare la soluzione di questo problema. Gli studi dei nuovi chimici sono stati più felici; hanno dimostrato quasi inconfutabilmente che la divisibilità della materia ha un limite [7].

Vediamo se la ricerca empirica dimostra davvero qualcosa al riguardo. Non risulterebbe, al contrario, che nel creare la teoria degli atomi, i chimici sono andati oltre i limiti dell'esperienza e sono entrati nella filosofia? è sufficiente infatti accettare l'esistenza degli atomi per spiegarsi le proporzioni chimiche?

Per chiarezza, esaminiamo la questione in modo più dettagliato. Come sappiamo, ci sono tre leggi delle proporzioni chimiche. La prima afferma che se due corpi sono chimicamente combinati, allora il rapporto tra le loro quantità incluse nel composto è sempre definito.

Ci sono due fatti qui: primo, un composto chimico dà sempre un corpo omogeneo; secondo, la proporzione dei corpi che entrano in questo composto è invariabilmente la stessa. Né l'uno né l'altro di questi fatti possono essere spiegati con l'aiuto dei soli atomi. In effetti, perché, quando combinato, un atomo di un corpo è ovunque combinato con un solo atomo di un altro? Oppure, il che è lo stesso, perché un certo numero di atomi di un corpo è ovunque combinato con lo stesso numero di atomi di un altro? Possiamo facilmente immaginare che il corpo risulterà eterogeneo, cioè in un punto gli atomi si combineranno a coppie, in un altro quattro a quattro, e generalmente in tutti i tipi di combinazioni. Perché questo non accade? D'altra parte, da cosa dipende la persistenza delle connessioni? Perché, quando una sostanza è in eccesso, non entra nella connessione? Anche qui gli atomi non possono interferire.

A queste domande i chimici rispondono semplicemente che queste sono le leggi dell'affinità chimica, la forza alla quale attribuiscono l'unione dei corpi[8].

La seconda legge chimica stabilisce se due corpi possono formare diversi composti, allora le quantità di ciascuno di essi incluse nei diversi composti sono relazionate tra loro come numeri molto semplici, ad esempio 1, 2, 3, 1/2, 2/3, ecc.

Ovviamente anche qui gli atomi non c'entrano nulla. Tutto infatti viene spiegato con il fatto che l'affinità chimica ha una predilezione per i numeri semplici, li ama proprio per la loro semplicità. Quanto agli atomi, non interferiscono con nulla, così come non contribuiscono a nulla; potrebbero essere presi in migliaia e milioni per ogni composto: tutto dipende solo da come funziona l'affinità chimica.

La terza legge chimica afferma che il rapporto delle quantità con cui due corpi semplici sono combinati con la stessa quantità del terzo, a quelle quantità in cui questi due corpi sono combinati tra loro, è espresso in numeri piccoli e interi.

Questa legge ha una chiara somiglianza con le precedenti e, proprio come queste, non è spiegata dagli atomi. Al posto di numeri piccoli, gli atomi potrebbero darne di molto complessi, soprattutto se si tiene conto che nel composto è compreso un terzo corpo, completamente dissimile dai primi due; così anche qui si deve supporre che l'affinità chimica di tutti i corpi tra loro preferisca i piccoli numeri a quelli grandi.

Oltre alle leggi di proporzione, i chimici spesso citano altri fenomeni chimici come prova dell'esistenza degli atomi. Ma in tutti questi fenomeni è chiaro che gli atomi da soli non bastano a spiegarli: è sempre necessario attribuire all'affinità chimica la capacità di disporre gli atomi in un modo o nell'altro; gli atomi, ripetiamo, non possono da soli spiegare un singolo fenomeno.

A causa di questa incapacità, sia i chimici che i fisici sono costretti a ricorrere ad innumerevoli ipotesi, come tutte quelle sulla disposizione degli atomi, sulla differenza tra atomi eterici[9]e corporei, tutte strutture di particelle. Queste particelle, oggi tanto amate dalla fisica e dalla chimica, sono sempre costituite da atomi, collegati come piace al teorico, cioè come richiesto per spiegare i fenomeni. La particella stessa è un complesso di molte ipotesi poste una sopra l'altra. Così, per Clausius {Vedi: Rivista del  Ministero della  Pubblica  Istruzione. 1858, giugno. VII, 144.} le particelle dei corpi contengono molti atomi, sono elastiche, tremano, si muovono in linea retta, ecc. In poche parole, ci sono quasi più supposizioni che fenomeni da  spiegare. Va da sé che, partendo dall'ipotesi opportuna, si può sempre spiegare il fenomeno, ma cosa ci guadagniamo da questo? Che al posto di un fenomeno, di un fatto, otteniamo una teoria, cioè scambiamo la verità con la finzione.

Pertanto non dovremmo essere ingannati dai progressi della chimica e della fisica rispetto agli atomi. Inutile dire che sono costretti a costruire edifici molto ingegnosi dagli atomi per spiegare con il loro aiuto i vari fenomeni. Più i fenomeni scoperti vengono analizzati, più complicate e macchinose diventano le loro costruzioni. Apparentemente, penetriamo nei più grandi segreti della natura, nella struttura interna dei corpi, ma in realtà tutte queste sono solo ipotesi, e per di più nessuna di esse è stata ancora dimostrata, e sono tutte altrettanto improbabili come il loro stesso fondamento, cioè l'esistenza degli atomi.

In conclusione, più ci viene detto sulla disposizione degli atomi, sulle loro varie forze, sui movimenti rotazionali, vibrazionali e qualsiasi altro, meno dovremmo crederci, perché ogni caratteristica di questa storia è un'ipotesi e la totalità di molte ipotesi è incomparabilmente meno probabile di ciascuna di esse presa separatamente.

Analisi di evidenze fattuali

Vediamo quindi che la teoria atomistica non semplifica e non spiega nulla, ma assume esattamente lo stesso numero di fenomeni ipotetici per spiegare i fenomeni osservati, e quindi non riduce il particolare al generale, ma traduce solo un fenomeno in un altro. Una tale traduzione, una tale sostituzione di alcuni fatti in luogo di altri, ovviamente, può essere realizzata solo se si prova l'esistenza dei fatti da sostituire, in questo caso quando è provata l'esistenza degli atomi. Dunque, arriviamo all'ultima domanda: c'è anche un solo fenomeno, un solo fatto, da cui deriva necessariamente l'esistenza degli atomi? Abbiamo mostrato che accettare gli atomi non è sufficiente per spiegare i fenomeni; mostreremo ora che non c'è bisogno di accettarli.

Notiamo, in primo luogo, che gli atomisti non riescono a spiegare le esperienze più semplici. Si potrebbe, ad esempio, cercare di trovare il limite di compressione, cioè di comprimere il corpo fino a far collidere i suoi atomi in modo che un'ulteriore compressione sarebbe impossibile. Ma nessun esperimento presenta nulla del genere[10]. All'aumentare della pressione, aumenta anche la compressione. Si potrebbe provare a dimostrare la porosità di alcuni corpi omogenei, come per esempio il vetro, ma l'esperienza mostra che nessun gas, per quanto sottile, nessun liquido, per quanto volatile e mobile, passa attraverso il vetro. E in generale abbiamo visto che i fenomeni materiali sono direttamente opposti a quelle proprietà che vengono attribuite agli atomi, e quindi, quando consideriamo questi fenomeni, non arriveremo mai agli atomi stessi.

Consideriamo le leggi chimiche. Dalla prima legge i corpi sono combinati in determinate proporzioni in base al peso. Questo fatto, considerato semplicemente, mostra solo che la connessione dei corpi è in qualche modo relazionata con il loro peso, con la loro massa. Cosa c'è di sorprendente nel fatto che l'azione della gravità rappresenti una relazione definita con le azioni chimiche dei corpi?[11] Se immaginiamo i corpi come solidi e omogenei, allora questa posizione non solo non è strana, ma addirittura è assolutamente richiesta dalla nostra mente.

Mescoliamo idrogeno e ossigeno: l'esperienza mostra che, qualunque sia la loro quantità, si mescoleranno in modo uniforme, in modo che ogni particella della miscela conterrà tanto idrogeno e ossigeno quanto qualsiasi altra. Quindi, la semplice penetrazione dei corpi avviene in proporzioni definite. Ma facciamo passare una scintilla elettrica attraverso la miscela: i gas che sono penetrati l'un l'altro entreranno ovviamente in una speciale interazione, si forma l'acqua. Questa interazione, questa azione di affinità chimica, avviene già in determinate proporzioni rispetto alle masse. E sappiamo, inoltre, che ciò è connesso non solo al peso dei corpi, ma anche al volume, al calore, alle proprietà elettriche dei corpi. In generale, vediamo che un fenomeno è in una certa connessione con molti altri. Gli atomi, come abbiamo visto, non ci aiutano minimamente a far luce su questa connessione, quindi qui sono completamente inutili e, di conseguenza, tanto meno si può dire che sono necessari.

Se, nella seconda legge, per una massa nota di un corpo, o due, o tre, ecc., è richiesta la massa di un altro corpo, allora l'esistenza degli atomi non segue necessariamente da questo. È infatti evidente che le varie connessioni di un corpo con un altro possono essere considerate come connessioni successive di un corpo semplice con uno composto. Ad esempio, l'acqua è una combinazione di idrogeno e ossigeno; il perossido di idrogeno può essere considerato come una combinazione di acqua con ossigeno. Ma la connessione di un corpo semplice con uno complesso può essere considerata semplicemente come una combinazione di tre, quattro, cinque, ecc., corpi semplici. Per tali composti, i chimici devono accettare le seguenti leggi: ogni corpo semplice, collegandosi con uno complesso, entra nel composto in una quantità tale con cui dovrebbe entrare quando si connette con ciascuno dei corpi semplici. Cioè, un corpo complesso svolge il ruolo di uno semplice. E questa è una questione molto nota e chiara. La distinzione tra corpi semplici e complessi in chimica è solo temporanea; nessuno può garantire che i loro corpi semplici siano davvero semplici; quindi, non sorprende che i corpi semplici agiscano allo stesso modo di quelli complessi e, viceversa, quelli complessi agiscano come quelli semplici.

Quindi non c'è nulla di sorprendente nel fatto che l'ossigeno, combinandosi con l'acqua, entri nel composto nella stessa quantità di quando si combina con l'idrogeno.

La seconda legge chimica segue perciò direttamente dalla prima e ne differisce solo in quanto una si riferisce ai corpi complessi, e l'altra a corpi semplici. Ma non è lo stesso immaginare che gli atomi complessi svolgano il ruolo di quelli semplici o semplicemente dire che i corpi complessi agiscono allo stesso modo di quelli semplici?

La terza legge chimica è ovviamente una ripetizione della prima; solo che nella prima si considerano due corpi, e nella terza molti corpi.

Quindi tutte e tre le leggi si possono ridurre ad una, che possiamo esprimere nel modo seguente: l'azione chimica di ogni corpo (semplice o composto che sia) è proporzionale alla sua massa {Cioè per ogni corpo c'è un numero che, moltiplicato per la massa, rappresenterà l'azione chimica di questo corpo.[12]}; quando combinate (cioè durante l'interazione chimica), queste azioni debbono essere uguali.

Infatti, prendiamo due corpi in quelle masse in cui le loro azioni chimiche sono uguali, cioè quelle in cui entrano in una combinazione. Ovviamente, se un terzo corpo entra nel composto, allora qualunque sia la sua azione chimica, per combinarlo con l'una e l'altra delle masse, dobbiamo prenderlo nella stessa quantità. Quindi, i numeri atomici non rappresentano per noi altro che masse per le quali l'azione chimica dei corpi è la stessa. In congiunzione c'è, per così dire, un bilanciamento delle azioni chimiche; quindi, è chiaro che, per quante volte facciamo composti chimici e scomposizioni, si verificheranno sempre in masse corrispondenti ad azioni chimiche uguali.

Possiamo quindi concludere che, nella spiegazione dei fenomeni chimici, gli atomi non sono minimamente necessari; sono molto convenienti per rappresentare questi fenomeni, incarnano perfettamente le leggi chimiche, ma non ne consegue assolutamente nulla. Il ruolo degli atomi in chimica può essere paragonato a quello che svolgono nel concetto stesso di massa. La massa di un corpo è il numero dei suoi atomi; più atomi ci sono, più massa. Certo, questo è molto conveniente, molto chiaro, ma tutti saranno d'accordo che non ci sono prove a favore degli atomi.

Il vero significato di atomistica

Quindi, né la fisica né la chimica forniscono una singola prova solida a favore degli atomi. Sarebbe inutilmente tedioso passare in rassegna tutta una serie di casi particolari per dimostrare la non esistenza degli atomi. Gli atomi sono troppo semplici, troppo limitati e da soli non possono spiegare alcun fenomeno; è sempre necessario introdurre altri soggetti, che si rivelano poi fondamentali.

Ma quali sono le basi fondanti dell'atomismo? In primo luogo, l'assunzione dell'indipendenza e dell'immutabilità della materia; in secondo luogo il fatto di presentare in modo semplice e immediato tutti i fenomeni come un gioco meccanico di atomi.

Tuttavia la prima contraddice l'esperienza ed è costretta a rendere le sue particelle immutabili, invisibili, in alcun modo tangibili, e la seconda non può spiegare un singolo fenomeno, perché il gioco vuoto degli atomi, il loro semplice movimento, non possono farlo.

Vediamo quindi chiaramente che gli atomi sono le creazioni della nostra immaginazione; ci allontanano dal fatto diretto, dal fenomeno reale, e ci fermano proprio quando vorremmo andare oltre. L'atomistica è una visione ideale, ma stesso tempo insoddisfacente, una spiegazione che non spiega nulla.

In definitiva fisici e chimici sono idealisti, come tutti gli altri mortali: loro, naturalmente, respingono sdegnosamente l'idealismo e si considerano dei puri realisti, ma si sbagliano anche in questo caso. Un atomo ideale non potrebbe essere per loro altro che una totale assurdità, un'invenzione fallita, una cattiva ipotesi. Eppure gli atomi non meritano affatto un simile trattamento; su di essi i fisici possono basare la convinzione che non solo la sostanza è indistruttibile, ma che le creazioni del pensiero umano sono altrettanto solide, altrettanto indistruttibili quanto la materia pesante, come le leggi della natura.

La storia degli atomi è molto antica, infatti apparvero già tra i primi filosofi greci, e sembra, tra i fenici e gli indù; si estendono quindi attraverso l'intera storia della filosofia e delle scienze sperimentali, anche se solo recentemente hanno ottenuto riconoscimenti e popolarità diffuse che continuano ad accrescersi.

Tutto ciò deriva direttamente dal fatto che l'atomistica è uno stadio necessario attraverso il quale passa il pensiero umano, e che, in una certa misura, in esso sono state espresse esigenze essenziali ed ineliminabili della mente. Gli atomi sono la personificazione di alcuni dei nostri concetti immutabili di natura.

Infatti gli atomi esprimono l'indipendenza, la concretezza di ogni punto della materia. In questi punti vediamo la radice stessa dei fenomeni, l'essenza stessa di ciò che esiste. E, soprattutto, gli atomi esprimono la nostra innata propensione a costruire un intero dalle sue parti, da esseri e fenomeni separati.

In questo senso Cartesio dovrebbe essere considerato il padre del nuovo atomismo e della visione che ancora domina le scienze naturali. Fu infatti il primo a separare spirito e materia da un abisso incolmabile, riconoscendo quindi l'esistenza speciale della materia, dell'estensione in ogni punto. Rifiutando le qualità nascoste (qualitates occultae), queste creazioni semi-spirituali della scolastica, egli spiega tutti i fenomeni del mondo con la meccanica, cioè con la sostanza stessa. Infatti, se una sostanza è indipendente, e, poiché esiste estesamente, lo è in ciascuna delle sue parti, allora l'intero tutto deve essere spiegato da queste parti indipendenti, non è più indipendente. Quindi una confutazione completa e definitiva dell'atomismo è possibile solo se l'abisso della distanza tra materia e spirito viene colmato e il mondo viene nuovamente fuso in un tutto, in modo che l'indipendenza delle parti dipenda dall'indipendenza del tutto.

Tutto ciò che è particolare è indipendente, mentre il generale è composto solo dal particolare: questa è la regola principale dell'atomismo. Per vedere dove conduce una tale visione basta riferirci alla filosofia di Epicuro e di Lucrezio, che l'hanno sviluppata in modo completamente coerente. Nel loro universo esistono una forza speciale e una sostanza speciale, indistruttibile come gli atomi, ma che cerca di spiegare anche i moti della nostra anima.

Ma in filosofia, come nelle sfere superiori della vita, tale visione è unilaterale, superficiale, e apre la strada al materialismo, la morte dello spirito, e al fatalismo, la morte della vita. Non è per nulla applicabile ad una questione di carattere generale, universale, tuttavia in quelle scienze che sono esse stesse unilaterali, è perfettamente adatta e, anzi, molto utile. Per le scienze che si occupano di materia niente potrebbe essere più vantaggioso di assumere l'indipendenza della materia in ogni suo punto, e infatti innumerevoli opere e scoperte geniali sono state possibili grazie a questa ipotesi.

A confronto con la nostra conoscenza della natura quella degli antichi è infinitamente meno ricca di tesori e di meravigliose scoperte. Alexander Humboldt osserva giustamente in un luogo del suo "Cosmos" che, se Strabone e Tolomeo resuscitassero proverebbero una gioia e uno stupore indescrivibili davanti alla nostra conoscenza geografica e astronomica.

Da ciò si capisce perché il sistema atomistico sia così saldamente legato alle scienze fisiche, lo sarà per molto tempo ancora, e difficilmente scomparirà completamente.

Noi qui rifiutiamo la teoria atomistica, ma nonostante tutto la apprezziamo ancora più degli stessi atomisti che sono pronti a considerarla un'assurdità se ne provano l'incoerenza per esperienza o deduzione.

Eppure siamo assolutamente convinti che gli atomi non esistono.

Ciò che, infatti, dovrebbe essere perfettamente chiaro a tutti è questa continua variabilità della materia, la sua fusione e trasformazione, la sua metamorfosi da piante morte a piante viventi, da piante ad animali animati, la metamorfosi del pane e del vino nell'uomo.

Questa grandiosa visione è irrimediabilmente nascosta come da una nebbia magica per l'atomista, che vede solo  atomi che si muovono, che ruotano, e che si scontrano. Il principale bisogno di atomi che i fisici sentono è dovuto al loro uso estremamente conveniente nei calcoli matematici. Ma non un solo fisico, non un solo matematico oserebbe affermare che gli atomi sono indispensabili, e che senza di loro è impossibile fare calcoli. C'erano tempi, o meglio c'erano matematici che accettavano l'esistenza delle cosiddette quantità infinitesimali, prendevano, per così dire, gli atomi dello spazio e del tempo[9]. Da questo punto di vista si potrebbe anche dire che il calcolo differenziale e integrale esiste solo a condizione dell'esistenza di quantità infinitesimali. Ma è noto che l'esistenza di tali quantità non è più riconosciuta da nessuno, e tuttavia il calcolo stesso è rimasto[10]. Lo stesso si deve dire per la fisica matematica.

Gli atomi scompariranno, ma questa scienza con tutte le sue conclusioni rimarrà. È solo necessario tradurli da una lingua all'altra, dall'atomismo al puramente materiale. Naturalmente questo non è un lavoro da poco, così come non è affatto facile liberare la nostra immaginazione dagli atomi.

Dopotutto, gli atomi ci appaiono come l'essenza stessa della materia. Questo è così vero che molti, se dite loro che rifiutate gli atomi, vi chiederanno subito: cosa accadrà? Cosa resterà?

Ci sarà qualcosa che vediamo e che conosciamo meglio degli atomi. La sostanza rimarrà, con le sue trasformazioni, con le sue leggi necessarie, una sostanza però non atomica, non solida, immutabile e morta, ma flessibile, mutevole, vivente, realmente esistente. Rifiutando gli atomi, guadagniamo molto: la sostanza diventa più ricca, più mobile, più diversificata. E questo è proprio il punto: nulla può essere spiegato dai morti atomi, anche nella natura fisica, non solo nella natura organica vivente. E in definitiva tutti i fenomeni di questa sostanza sono radicati nell'essenza della materia, così che comprendendola, potremo comprendere i fenomeni stessi.

Per questo non stupisce che il concetto di essenza della materia sia un concetto profondo, di non immediata intuizione, che cambierà gradualmente con i successi delle scienze e del pensiero filosofico.

NOTE

  1. Confrontiamo le parole di cui sopra con la confessione di un eminente scienziato russo, fondatore del primo dipartimento di biofisica al mondo: "Non conosco i principi dell'interazione tra l'anima e il corpo e penso che nessuno li conosca e non lo saprà mai conoscerli" (Blyumenfeld L. A. Problemi risolvibili e irrisolvibili di fisica biologica, Mosca: 2002).
  2. La dottrina delle proporzioni chimiche risale al lavoro del fisico e chimico inglese John Dalton, “The new system of chemical philosophy” (1808), dove vengono esaminate le relazioni di peso e massa degli elementi che formano vari composti gassosi.
  3. Lavoisier L. “Corso elementare di chimica” (pubblicato nel 1789).
  4. La famosa "Accademia degli Esperimenti" (Accademia del Cimento) di Firenze fu fondata nel 1657 e si sciolse per ragioni poco chiare dieci anni dopo. Durante questo periodo gli "accademici fiorentini" condussero 14 serie di esperimenti, tra cui quello citato da Strakhov (peraltro la conclusione fu fatta proprio sulla "porosità" dei metalli).
  5. Justus von Liebig è arrivato all'idea di atomi "fisici" e "assoluti" nel processo di studio dei composti organici in cui singoli gruppi di atomi (i cosiddetti radicali) si comportano come elementi chimici. Gli "atomi fisici" di Liebig possono anche essere intesi come molecole. Ma l'essenza delle obiezioni di Strakhov all'atomismo non cambia, a nostro avviso.
  6. Berzelius J. J. L'esperienza della teoria delle proporzioni chimiche (il libro è stato pubblicato nel 1818). L'idea che tutti gli atomi abbiano le stesse dimensioni, essendo errata dal punto di vista della moderna teoria atomica, si è storicamente rivelata un prerequisito necessario per lo sviluppo di un metodo per "contare il numero di atomi in un determinato volume" e, in definitiva, per calcolare il famoso numero di Avogadro (il numero di atomi in una molecola di qualsiasi sostanza). Questi sono i paradossi della storia dell'atomismo!
  7. Regnault H.V.  Corso di chimica. T. I. si riferisce probabilmente al "corso iniziale di chimica" (1847-1848) dello stesso autore.
  8. La risposta formale a questa osservazione di Strahov la dà il concetto di valenza (lat. valentia-forza), entrato in chimica nel 1868 dopo il lavoro di A. Kekule, G. Wichelhaus, ecc. ma il concetto di valenza è stato spiegato solo in connessione con il concetto di spin, che è considerato come una caratteristica del "movimento interno" dell'elettrone e di altre particelle elementari. Allo stesso tempo, si nota tradizionalmente che è impossibile immaginare questo "movimento interno". Quindi, si può dire che lo spin è quel concetto "non rappresentabile" che "spiega" il legame chimico.
  9. L'analogo moderno dell'"atomo eterico" sono le particelle elementari di campo (fotoni, gravitoni, ecc.), che sono generalmente distinte dalle particelle elementari della materia.
  10. In un certo senso, la risposta a questa osservazione di Strahov la suggerisce l'astrofisica moderna, secondo la quale all'interno di stelle sufficientemente massicce può verificarsi, sotto l'influenza delle forze di attrazione, Il cosiddetto "collasso gravitazionale". Di conseguenza, la stella si trasforma in un buco nero da cui, secondo la relatività generale, nessuna informazione può più fluire nel mondo esterno. In altre parole, è impossibile dire cosa succede in caso di pressioni estremamente elevate!
  11. In questo caso, l'identificazione della massa e del peso corporeo (caratteristica della chimica di quel tempo; Cfr. il titolo dell'opera di di Mendeleev "Rapporto tra proprietà e peso atomico degli elementi") porta Strakhov a un'ipotesi errata sulla partecipazione dell'”azione di gravità” nella formazione di composti chimici. D'altra parte, l'ulteriore ragionamento di Strakhov è vicino alla Legge di azione delle masse, che fu stabilita intorno al 1867 dai chimici norvegesi K. Guldberg e P. Vaage.
  12. Questa affermazione di Strakhov si rivela vera se formulata più precisamente:"Per ogni sostanza chimica, ci sono numeri che, moltiplicati per la massa molare di una determinata sostanza, rappresenteranno la sua interazione chimica con altre sostanze chimiche". Quindi il numero di cui parla Strakhov è il numero di moli di una sostanza che partecipa a una certa reazione chimica. Aggiungiamo che il concetto di mole consente una definizione sia atomistica che puramente fenomenologica (come equivalente chimico di 0,012 kg di carbonio).

13. Critica del materialismo

Come confutare il materialismo

E' molto facile e frequente bollare alcune opinioni, alcuni giudizi e persino intere dottrine come assurdità, e la storia delle scienze è piena di esempi di accuse ingiuste di questo tipo. La scienza spesso guarda con disprezzo a tutto il suo passato, lo giudica in base alle sue attuali conoscenze, ai suoi moderni metodi e risultati. La maggior parte delle persone si fida molto ingenuamente di questa comprensione della verità, considera corretto solo l'ultimo libro, l'ultima teoria scientifica, mentre un vecchio trattato è considerato inutile o pieno di concetti obsoleti ed errati. Così facendo però non si realizza che, quanto più si rincorre l'ultima teoria, tanto più si è lontani da una conoscenza solida e reale, perché questa stessa conoscenza sarà continuamente superata.

In generale, possiamo dire che etichettare come assurde le convinzioni del passato pecca contro una corretta visione del mondo, e in definitiva della nostra vita umana. In effetti, cos'è l'assurdità? L'assurdità è un'evidente contraddizione, un nonsenso, qualcosa che non può essere pensato; l'affermazione, per esempio, che una quantità è allo stesso tempo minore e maggiore di un'altra. Se è così, tacciare di assurdità le convinzioni e i pensieri di una persona significa umiliarne la mente. Vedere incoerenze e contraddizioni ovunque è immaginare il mondo come un caos, dove nulla può avere un significato, e tale visione è contraria all'essenza stessa della mente, che per sua natura cerca sempre senso e significato nelle cose. Naturalmente ci sono molte contraddizioni nel mondo, ma per la nostra mente non possono avere importanza. La matematica, che davvero mantiene il significato proprio di contraddizione, non si occupa di trovarne, non le definisce e non le studia; è una disciplina lucida e positiva e, stabilendo il confine dell'assurdo, non lo oltrepassa mai.

Più le convinzioni di qualcuno sono limitate e unilaterali, più illogicità trova nel mondo; considera i pochi pensieri, i pochi libri che concordano con le sue opinioni come l'unica luce della verità e giudica tutto il resto come una sciocchezza, tanto spesso, rimproverando agli altri l'assurdità, la commette lui stesso.

Ricordiamo qui le meravigliose parole di Leibniz, che dovrebbero essere la regola per ogni pensatore:

Ho scoperto - dice - che la maggior parte degli insegnamenti sono quasi sempre veri in ciò che affermano e sbagliati in ciò che negano. [1]

Purtroppo in questo mondo vale spesso il contrario: le persone a cui piace più la negazione dell'affermazione, che sanno sempre trovare un lato sbagliato in tutto, che criticano molto e non elogiano nulla, vengono considerate intelligenti.

Tutti sanno che oggi ci sono molti materialisti e che il materialismo ha acquisito una grande forza. Il nostro compito è quello di confutare il materialismo, ma vogliamo farlo in un modo diverso da quello in cui si intende comunemente per confutazione. Confutare di solito significa portare all'assurdo, evidenziare incongruenze e contraddizioni, mettere in cattiva luce le opinioni degli avversari. Ma nel nostro caso questo tipo di confutazione non può avere grande forza e significato. Il materialismo, certo, presenta molte incongruenze, ma elencarle una ad una ed insistervi non vale la fatica; il materialismo infatti non si fonda su queste incongruenze, ma la sua forza deve risiedere in qualcosa di ragionevole, su reali esigenze della mente. Dunque, prima di tutto, bisogna ammettere che il materialismo non è assurdo e dovremo quindi cercare di capire quale sia la sua vera forza, e solo allora si potrà trovarne la confutazione adeguata. La migliore confutazione è sempre quella che rende all'avversario la massima giustizia.

Spesso nella polemica non si cerca di capire l'avversario, ma di denigrarlo, e in questo i materialisti sono più colpevoli di chiunque altro. Non solo non cercano di comprendere le conclusioni filosofiche, ma le respingono anche perché non le capiscono, rifugiandosi in frasi del tipo: "sono tutte sciocchezze, filosofia vaga, hegelismo".

I materialisti dovrebbero sapere che, al contrario, la filosofia non considera il materialismo un nonsenso e che quindi, se lo rifiuta, allora questo rifiuto ha una forza e un significato indiscutibile. La filosofia conosce il materialismo, ma i materialisti non conoscono la filosofia; perciò la filosofia può giudicare il materialismo, e i materialisti non hanno il diritto di parlare di un argomento che non è loro familiare.

L'attività particolare della mente

Per trovare il punto di partenza del materialismo si può fare riferimento all'opinione comune che esso sia convalidato dai risultati delle scienze naturali, e al fatto reale che lo studio di queste scienze predispone all'adozione di convinzioni materialistiche.

Che il materialismo sia una conseguenza diretta e necessaria della ricerca dei naturalisti non è assolutamente vero, basti pensare ai tanti grandi naturalisti che non erano materialisti come Cartesio, Newton, Cuvier e molti altri. Ma, cosa più importante, questa convinzione diffusa ovviamente fraintende il rapporto delle scienze con la filosofia. Nessuna scienza particolare può dare come risultato una concezione generale dell'essere, sebbene nessuna scienza nelle sue fondamenta profonde possa contraddire la vera visione del mondo.

La scienza è una cosa sacra, uno dei più grandi santuari del nostro tempo, non c'è quindi da stupirsi che il suo nome sia usato così spesso a sproposito. Ma se veramente riconosciamo la sua sacralità, allora dobbiamo ricordare che l'impegno e lo sviluppo di ogni scienza è qualcosa di profondo e difficilmente penetrabile. Per convincersene, basta ricordare gli sforzi mentali che sono necessari per padroneggiare bene una scienza. Ogni scienza ha i suoi geni, che trovano sentieri misteriosi, spazi liberi, inaccessibili agli occhi normali. Le scienze sono come organismi indipendenti, pieni di una grande forza interna, dove l'attività della mente umana in ciascuna di esse non è limitata o vincolata da alcunché, e nascono dalle profondità stesse della mente.

Ma proprio per questo si sbagliano terribilmente coloro che immaginano una scienza finita, che cercano risultati già pronti per le risposte alle questioni generali che ci presenta. Fintantoché la vera scienza cresce e si sviluppa si rifiuta di dare risposte definitive a tali domande, e coloro che si fermano ai risultati parziali trovano solo generalizzazioni errate.

È sorprendente che molti naturalisti siano materialisti? Dopotutto la sostanza è qualcosa di reale, i suoi processi e fenomeni esistono realmente; quindi, se le scienze della natura non si sono elevate al di sopra della sfera della materia e dei suoi fenomeni, è comprensibile che le persone ad esse devote credano nell'esistenza di questa sola sfera. Queste stesse scienze, ovviamente, si sforzano di abbracciare non solo la vita materiale della natura, ma anche la vita organica, la vita animale e persino la vita umana; di conseguenza possono ancora liberarsi dal materialismo se si sviluppano nella giusta direzione.

Nulla vieta ad un chimico di esaminare le parti costitutive del corpo umano, ad un fisico i processi fisici che vi hanno luogo, ad un meccanico la sua struttura meccanica e le leggi del suo movimento, ma tutti questi scienziati non devono cadere nell'errore di ridurre la vita umana all'interazione di elementi chimici, al gioco dei processi fisici, e a considerare l'uomo nient'altro che una macchina. Nessuna di queste scienze ha la pretesa di risolvere l'enigma dell'esistenza umana, ma, allo stesso tempo, nessuna di esse può eludere questa sfida, e prima o poi dovrà condurre le proprie ricerche verso la sua soluzione.

Quindi, in generale, le scienze naturali possono orientare verso l'accettazione del materialismo, che però non è la loro conseguenza; uno dei motivi per cui lo scienziato scivola così spesso nel materialismo va ricercato nella naturale tendenza inconscia della nostra mente alla generalizzazione: osservando gli oggetti più vicini e utilizzando i modi di pensare più familiari, li eleviamo al livello di un'unica e assoluta verità. Le aspirazioni particolari della mente sono generalmente legittime e non contraddicono in alcun modo quelle generali, ma cade in errore quando le fa diventare comuni, supreme e uniche.

In questo senso si può dire che la mente umana è ingannevole per la sua stessa natura interiore. Infatti la proprietà essenziale della mente è la sua universalità, cioè la sua indisturbata identità con se stessa, sempre e ovunque. Ciò di cui siamo fermamente convinti lo consideriamo vero in generale, per qualsiasi altra mente, in ogni luogo e in ogni tempo esista. Pertanto, qualunque sia la mente individuale, è sempre soddisfatta di sé, pensa di essere completamente indipendente e riconosce sempre a se stessa la possibilità e il diritto di giudicare con sicurezza sulle questioni del mondo.

Tuttavia sappiamo bene che la mente dipende in gran parte da molte influenze: ha la sua educazione, le sue proprietà ereditarie, le sue abitudini, le sue passioni e le sue malattie. È chiaro che se la mente individuale, fortemente soggetta a queste influenze, si riconosce comunque come una mente generale, allora ne deriveranno tutti i tipi di delusioni.

Eppure quante volte l'attività più insignificante della mente è considerata del tutto sufficiente, come se chi vi si abbandona attingesse già alla fonte stessa della verità! Anche l'autorità esagerata che spesso viene data comunemente agli scienziati si fonda su questo. Lo scienziato è solitamente ammantato di un alone di saggezza, di profondità e intelligenza, mentre spesso per tutta la sua vita ripete solo qualche semplice meccanismo mentale, come un meticoloso entomologo o un pedante linguista. Spesso questi scienziati trovano una completa soddisfazione della mente nelle cose più insignificanti, si assuefanno alla piacevolezza e alla comodità dei metodi e dei procedimenti che ripetono continuamente, talvolta disprezzando poi tutto il resto.

A questo proposito, i matematici sono esposti al pericolo maggiore: la matematica, infatti, è una scienza formale, cioè non contiene alcuna conoscenza di ciò che è realmente esistente. Tuttavia i matematici si innamorano profondamente dei loro calcoli rigorosi, delle loro costruzioni visive, dei loro precisi e sottili procedimenti logici, e tendono poi a guardare con arroganza a tutte le altre scienze. Tutto sembra loro incongruente, impreciso, incerto.

Parlando rigorosamente - scrive Laplace - tutta la nostra conoscenza è solo probabile, sappiamo poco con certezza, cioè quello che contengono le scienze matematiche. [2]

Da qui si capisce perché i matematici si abbandonino così spesso allo scetticismo, alla diffidenza verso ogni sapere. Infatti, come i naturalisti tendono a diventare materialisti, così i matematici diventano scettici; questo scetticismo paralizza notevolmente la loro attività mentale nel resto del campo della conoscenza, e talvolta lascia il posto ad una superstizione imperdonabile, in cui la loro mente cerca cibo che non si trova nel deserto di teoremi e formule. Pascal e Newton non sono gli unici esempi di questa curva apparentemente strana[3]. Nel Settecento D'Alembert ritenne necessario difendere i matematici dai rimproveri per l'aridità e la sterilità delle loro menti [4]. Pensava persino che la matematica fosse la migliore preparazione per la filosofia, non accorgendosi che lo scetticismo dei matematici non è un vero scetticismo filosofico, ma corrisponde inconsapevolmente al materialismo dei naturalisti.

L'attività particolare della mente nello studio della natura

Le scienze naturali si occupano del mondo esterno, la natura. In questo senso la natura è proprio tutto ciò che è portato al di fuori dello spirito. Per capire cosa intendiamo per “fuori” immaginiamo un punto che rappresenta lo spirito o il pensiero come un centro da cui si guarda l'esistente. Ciò che non è concentrato lo localizziamo sulla circonferenza, e lo chiamiamo perciò esterno.

L'attività che la mente compie riferendosi agli oggetti esterni si chiama rappresentazione. Pertanto tutte le scienze naturali sono costantemente impegnate nella rappresentazione, non importa se si tratta di una rappresentazione di oggetti reali o solo presunti, ad esempio etere, atomi, eccetera. Il materialismo è proprio un sistema basato sull'attività della rappresentazione, limita tutta la conoscenza a questa attività e quindi rifiuta ogni diversa comprensione delle cose.

In effetti, è ovvio che se si riesce a rappresentarsi chiaramente qualcosa, si avrà una certa conoscenza di questo argomento; immaginiamo adesso un sistema in cui le sole conoscenze accettate sono quelle rappresentabili: questo sarà il materialismo.

La rappresentazione, nel senso in cui usiamo qui la parola, è facilmente distinguibile da qualsiasi altra accezione, cioè è quella che si trova solo e in entrambe queste due forme definite, lo spazio e il tempo. Pensare o immaginare qualcosa significa vederlo mentalmente nello spazio e nel tempo. In questo modo rappresentiamo tutto ciò che percepiamo, ma anche tutto ciò che possiamo solo pensare come qualcosa di esterno a noi; così, ad esempio, anche se non vediamo la Terra ruotare attorno al proprio asse, possiamo facilmente immaginarla, trattandosi di un fenomeno spaziale e temporale.

Il senso più alto per la percezione del mondo esterno è la vista, motivo per cui i filosofi tedeschi chiamano la rappresentazione con un termine speciale, cioè vista o contemplazione (Anschauung). I naturalisti infatti usano soprattutto la vista: questo è il loro senso esterno principale, il sentimento del mondo, come lo chiama Fries.

La rappresentazione è, in un certo senso, l'azione più semplice e primordiale del pensiero; è così comune e così evidente che il più delle volte non viene notata come un'azione speciale, non è considerata tra le altre manifestazioni della mente. Pertanto, uno dei maggiori meriti di uno dei più grandi filosofi, Kant, consiste proprio nell'analisi della rappresentazione.[5]

Per convincersi della peculiarità della rappresentazione nella sua separazione dal resto del campo del pensiero, bisogna approfondire il significato dei suoi modi, spazio e tempo. Questi due concetti ci appaiono così chiari, così definiti e diversi da tutti gli altri che il pensiero li afferra immediatamente.

Possiamo immaginare che non esista alcun oggetto, anche che non esista il mondo intero, ma non possiamo immaginare che spazio e tempo non esistano. Cosa significa questo? Solo che, senza rappresentare lo spazio e il tempo, non si può immaginare nulla, che senza di essi l'idea stessa è impossibile. Appena incominciamo ad immaginare, dobbiamo raffigurarci lo spazio e il tempo, e solo allora possiamo disegnare le figure che vogliamo su questo sfondo fisso.

Non affronteremo subito la questione di cosa siano lo spazio e il tempo, ma, naturalmente, questa domanda qui sorge spontanea. Poiché abbiamo chiamato la rappresentazione attività mentale, allora dovremmo ragionare nel modo seguente. Dovremmo dimostrare innanzitutto che la rappresentazione è una delle attività necessarie del pensiero, cioè che, per l'essenza stessa del pensiero, una delle sue manifestazioni deve essere la rappresentazione. Inoltre bisognerebbe dedurne che la rappresentazione deve avere due forme e che di queste forme possono essercene solo due, cioè lo spazio e il tempo.

Per il momento la cosa più importante per noi è che la domanda stessa esista, che richieda una soluzione e che una soluzione sia possibile. La domanda su cosa sono lo spazio e il tempo ci è venuta perché abbiamo prestato attenzione all'attività stessa della rappresentazione, abbiamo cominciato a pensarci. Ma colui che non pensa, ma solo immagina, non può rispondere a una domanda del genere.

Supponiamo infatti che l'attività mentale di qualcuno sia limitata solo alla rappresentazione. Ovviamente una persona del genere può porsi, ad esempio, la domanda: che cos'è una balena? Questa domanda richiede la rappresentazione di una balena, cioè la risposta deve consistere in una descrizione della forma, della struttura meccanica, dei movimenti dell'animale in questione, in modo che l'interrogante possa immaginarlo. Lo spazio e il tempo qui sono come una tela già pronta su cui bisogna solo disegnare sopra.

Ma la risposta diventa impossibile non appena questa tela viene portata via e non c'è più niente su cui dipingere. Quando mi si chiede cosa sono lo spazio e il tempo, non posso più rispondere con nessuna spiegazione spaziale o temporale: devo rispondere con qualcosa in cui spazio e tempo non entrano più; quindi, utilizzando solo la rappresentazione, non posso rispondere, perché le rappresentazioni hanno già bisogno di spazio e tempo.

Se è così, allora qui possiamo vedere se la nostra definizione di materialismo è corretta. Se il materialismo consiste davvero di sole rappresentazioni, allora non può avere una risposta a questa domanda, e anche la domanda stessa dovrebbe sembrare qualcosa di oscuro, impenetrabile per il pensiero. E infatti è proprio così: uno dei tratti distintivi più evidenti del materialismo sta nel fatto di non sapere cosa sono lo spazio e il tempo. Lo stesso va detto per l'intero campo delle scienze naturali: conoscono lo spazio e il tempo come qualcosa di speciale solo dal linguaggio.

Matematici, astronomi, naturalisti di ogni tipo, hanno quotidianamente a che fare con questi oggetti misteriosi, spazio e tempo, questa tela vuota su cui cercano di raffigurare questa o quella parte del grande universo; parlano spesso di spazio e di tempo, ma non sono mai riusciti a comprenderli. Così, Newton nel suo libro immortale "Principia mathematica philosophiae naturalis" dice: "Non definisco cosa sono il tempo e lo spazio, poiché tutti lo sanno perfettamente"[6]. Ma la risposta più appropriata sarebbe questa: "Finché non mi chiedono che cosa sono lo spazio e il tempo, mi sembra di conoscerli; ma non appena me lo chiedono, non lo so"[7]. E, infatti, dire che tutti conoscono lo spazio e il tempo significa solo che tutti li rappresentano; ma la domanda non richiede che li rappresentiamo, il che è facile e inevitabile, ma che ci pensiamo, in modo da formarci un concetto su di essi.

Quindi, da tutto quanto precede, è chiaro che è possibile pensare senza rappresentazione, perché altrimenti dovremmo abbandonare tutte le domande sullo spazio e sul tempo. I materialisti, volendo essere coerenti, non dovrebbero assolutamente porsi domande sullo spazio e sul tempo, perché la possibilità stessa di questi concetti mina le fondamenta del materialismo.

Ma quali sono i pensieri senza rappresentazione? Ci sono molti fenomeni che accadono solo nel tempo, ma non nello spazio e quindi non possono essere rappresentati in alcun modo, come tutti quelli che riguardano i sentimenti, le passioni, i desideri e simili. Quando ne parliamo, sappiamo abbastanza chiaramente di cosa stiamo parlando, poiché questi sono i nostri stati interiori e li conosciamo anche meglio dei fenomeni che ci sono estranei, esterni a noi. Tuttavia non possiamo rappresentarli nello spazio, anche se possiamo aiutarci con delle immagini, come i tratti del viso, gli sguardi, i movimenti, eccetera, ma sempre il centro del pensiero risiede al nostro interno.

Poiché il pensiero inizia con le rappresentazioni, il linguaggio, che appare già ai primi fenomeni del pensiero, ha sovente un carattere descrittivo. Il linguaggio è pieno di immagini, e i concetti più astratti sono espressi in modo rappresentativo: un concetto possiamo abbracciarlo, afferrarlo, osserviamo il flusso dei pensieri, i tremori dell'anima, eccetera; è impossibile per noi evitare queste espressioni.

Questa è una delle principali difficoltà nel comprendere i libri di scienze matematiche e fisiche, dove le rappresentazioni sono molto complesse, e dove, oltre a queste rappresentazioni non c'è null'altro; è più facile per noi capire una storia o un romanzo, perché qui si mescolano idee e concetti immaginati e non.

Dopodiché è chiaro che gli scienziati, costantemente occupati dalle rappresentazioni del mondo esterno, svilupperanno in se stessi un pensiero altamente rappresentativo, mentre la capacità di pensare senza immagini rimarrà per loro poco evoluta e oscura. Tutto ciò che non può essere rappresentato apparirà fumoso, confuso, e spesso verrà rifiutato in blocco. Tuttavia, le persone sono sempre convinte di aver sviluppato completamente la propria capacità di pensare, e quindi smettono di imparare a farlo, e tutto quello che non riescono a rappresentarsi lo considerano un'assurdità.

Poiché il materialismo nega l'intera area del pensiero, ad eccezione della rappresentazione, è costretto a negare una moltitudine di fenomeni. Ricordiamo le parole di Leibniz: i sistemi di pensiero sono per lo più sbagliati quando negano. In effetti, il materialismo è uno dei sistemi più errati.

Spazio e tempo

Per i materialisti, come base di tutto ciò che esiste, ci sono lo spazio e il tempo, ma essi stessi non hanno una base, eppure devono necessariamente esistere, perché è impossibile non pensarli, cioè è impossibile non immaginarli.

Questa è la premessa del materialismo: spazio vuoto infinito, tempo vuoto infinito. Fedele alla sua origine, il materialismo non dubita dell'esistenza di questo infinito spazio vuoto e di questo infinito tempo vuoto: li rappresenta, perché non può non rappresentarli, e quindi esistono.

Ma in qualche modo devono descriverli. Dicono, ad esempio: lo spazio non ha confini, le sue parti non sono diverse l'una dall'altra; è immobile; è permeabile ovunque.

Leggendo questa descrizione si nota subito qualcosa di incongruo: innanzitutto vediamo che tutte le proprietà attribuite allo spazio sono puramente negative. La descrizione dello spazio è evidentemente modellata sulla descrizione di un corpo fisico: ogni corpo è impenetrabile, mobile, ha dei confini, e le sue parti differiscono nella posizione, esattamente l'opposto dello spazio. Di conseguenza lo spazio è pensato come qualcosa di opposto al corpo.

Lo spazio non ha confini: ma il concetto di confine è applicabile allo spazio? Il confine è il limite tra una parte e un'altra dello spazio e quindi possiamo parlare solo dei confini nello spazio, non dei confini dello spazio. Dire che lo spazio non ha confini è come dire che lo spazio occupa tutto lo spazio.

Le parti dello spazio non sono diverse l'una dall'altra: è ovvio, tuttavia, che lo spazio stesso non può avere parti. Possiamo distinguere le parti solo in ciò che esiste nello spazio; avendo trovato alcune parti, possiamo confrontarle tra di loro e decidere se sono uguali o meno. Dire dello spazio che è uguale a se stesso ovunque significa solo dire che lo stesso spazio esiste in ogni luogo dello spazio.

Lo spazio è immobile: di nuovo, le proprietà che attribuiamo allo spazio non possono essere applicate allo spazio stesso. Il movimento è possibile solo nello spazio; è assurdo immaginare che lo spazio sia racchiuso in qualche altro spazio, e porsi la domanda se si muove all'interno oppure no. È anche assurdo dire che ogni parte dello spazio rimane costantemente nella stessa parte dello spazio.

Lo spazio è permeabile ovunque: qui allo spazio è negata la resistenza a qualsiasi movimento. Ma cos'è il movimento se non un cambio di luogo, un passaggio da una parte all'altra dello spazio? Di conseguenza, il movimento è possibile solo con l'esistenza dello spazio. E viceversa lo spazio, a parte la possibilità di movimento, non contiene nulla in sé, cioè non solo non resiste al movimento, ma anche non lo accelera, non gli fa cambiare direzione e non lo controlla in alcun modo. Dire che lo spazio è permeabile è dire molto poco; in generale va detto che lo spazio stesso non contiene forze che producono fenomeni, né leggi secondo le quali questi fenomeni si verificano.

In definitiva nello spazio c'è solo lo spazio e nient'altro.

Le descrizioni del tempo non sono meno strane. Ad esempio, il grande Newton si è espresso dicendo che il tempo scorre uniformemente (aequabiliter fluit)[8]. Ma cosa significa questo? Non più del fatto che tempi uguali trascorrono in tempi uguali. Newton, in modo molto complicato, ha detto anche che l'ordine delle parti del tempo e dello spazio è immutabile. Se esprimiamo la stessa idea in modo più preciso, allora dovremmo dire che è impossibile prendere parte del tempo da una parte del tempo e trasferirlo in un'altra.

In generale, in tutte queste descrizioni c'è un'inconcepibile bipartizione dello spazio e del tempo, cioè lo spazio stesso lo si immagina collocato in un altro spazio e il tempo trascorrere in un altro tempo.

Cosa possiamo dedurre da questa analisi? Primo, il fatto che i naturalisti non abbiano modo di dire nulla sullo spazio e sul tempo. Se iniziano a parlarne, le loro parole non esprimono nulla. Quindi è chiaro perché i naturalisti sbagliano nell'immaginare di poter descrivere lo spazio e il tempo:  credono che  siano, per così dire, oggetti reali, la vera base e la profondità dell'universo; eppure, quando decidono di porre questo fondamento in una relazione essenziale, in una connessione reale con gli oggetti esistenti, si scopre che spazio e tempo non determinano nulla, così come non interferiscono con nulla, e che in loro, nel vero senso della parola, non c'è nulla. Non hanno proprietà, e quindi nulla può dipendere dalle loro proprietà; non possono essere paragonati a niente o distinti da niente.

Quindi, dello spazio e del tempo abbiamo dei chiari concetti, che però non contengono alcuna conoscenza reale. Queste nozioni sono simili alla formula A = A, che, ovviamente, è del tutto esatta, ma non contiene assolutamente nulla.

Da questo si vede che non si tratta di oggetti reali, ma di astrazioni, di creazioni del nostro stesso pensiero, che ci sono quindi chiare perché create solo da noi stessi e quindi non ci danno alcun concetto che non sia completamente staccato della realtà. La credenza dei naturalisti nell'effettiva esistenza dello spazio vuoto o puro e del tempo vuoto o puro è una conseguenza di una sorta di illusione ottica che li fa involontariamente scindere tutto ciò che viene percepito dal mondo esterno, in modo da vedere o immaginare ovunque, in primo luogo, il vuoto e, in secondo luogo, ciò che riempie questo vuoto.

Ma torniamo all'esperienza, all'osservazione diretta. Chi, dove o quando ha visto uno spazio o un tempo vuoti, ovunque simili a se stessi? Per l'essenza stessa della materia, lo spazio vuoto o il tempo vuoto non possono essere percepiti. Per la percezione è infatti necessario che qualcosa sia nello spazio e nel tempo, cioè è necessario che lo spazio non sia lo stesso ovunque e il tempo non rappresenti una sorta di flusso omogeneo. L'essenza del mondo sta proprio nel fatto che il tempo e lo spazio sono pieni, non vuoti. Va da sé che, finché li immaginiamo volutamente completamente vuoti, finché non avremo l'opportunità di metterli in connessione con l'essere reale, fino a quel momento lo spazio e il tempo saranno per noi i soggetti più morti ed insignificanti.

I matematici e gli astronomi spesso affermano che le parti dello spazio non sono diverse l'una dall'altra. Ma se prendiamo lo spazio reale, troviamo enormi differenze tra le sue parti. Il mondo è contenuto nello spazio e quindi le parti dello spazio differiscono l'una dall'altra allo stesso modo delle parti del mondo: in uno trovi la terra solida, in un altro un mare in movimento, nel terzo l'aria sottile o, infine, i raggi dei corpi celesti, così che l'osservazione più diretta e semplice, la prima caratteristica nella descrizione del mondo reale, sarà che nelle varie parti del mondo gli spazi non sono gli stessi, non sono uguali.

Lo esprimiamo con la dicotomia di cui abbiamo detto sopra; diciamo: parti omogenee di spazio sono occupate o riempite da oggetti non omogenei. Ma, a ben vedere, questa espressione è molto ingannevole.

I corpi occupano spazio: si potrebbe pensare che i corpi e lo spazio siano completamente indipendenti l'uno dall'altro, che lo spazio sia una scatola in cui possiamo mettere qualsiasi cosa e a cui non importa cosa ci sia dentro. Tuttavia i corpi occupano necessariamente lo spazio, perché l'estensione è una loro proprietà essenziale. Lo spazio non solo contiene i corpi, ma è contenuto nei corpi stessi; non è lo spazio che fornisce il luogo dove i corpi possono estendersi, ma i corpi stessi nella loro essenza sono estesi.

La proposizione inversa non ci è chiara, e cioè che lo spazio deve necessariamente contenere in sé i corpi. Ma è ovvio che questo è proprio quello che dobbiamo sforzarci di dimostrare se vogliamo comprendere il mondo. La varietà dello spazio e del tempo è, come abbiamo detto, il primo fatto, il più semplice e il fenomeno più generale.

Quanto detto dello spazio può essere applicato pienamente anche al tempo; non solo i fenomeni del mondo si verificano nel tempo, ma per la loro stessa essenza sono indissolubilmente legati al tempo, non solo il tempo li contiene, ma essi stessi inevitabilmente contengono in sé il tempo. La proposizione opposta, cioè che il tempo deve necessariamente contenere gli eventi, e che le sue parti devono inevitabilmente differire nel contenuto, è come un teorema che viene riconosciuto aprioristicamente dalla mente umana, che poi cerca in ogni modo di dimostrarlo a se stessa.

Che lo spazio e il tempo del mondo non siano quegli oggetti vuoti così facilmente immaginabili senza alcun legame con ciò che contengono, lo si può provare con molte considerazioni. Si dice, per esempio, che lo spazio è permeabile e indifferente al movimento e alla posizione dei corpi, ma i matematici entrano poi in grande difficoltà quando si scopre che i corpi mostrano resistenza se qualcosa cambia la loro posizione o il loro movimento nello spazio. Chiamano questa resistenza la forza d'inerzia, e questo è uno dei concetti più oscuri della meccanica.

Ma se i corpi sono in qualche modo connessi con le loro posizioni nello spazio, allora è anche vero il contrario, cioè gli spazi che vengono occupati o attraversati sono anch'essi connessi con i corpi. L'uno non può essere assunto senza l'altro. Pertanto, i corpi dipendono dallo spazio. È anche chiaro che tale dipendenza è assolutamente necessaria. Se lo spazio non significasse nulla per i corpi, se fosse ovunque completamente occupabile da ogni corpo e da ogni movimento, allora il mondo non avrebbe alcun ordine e regolarità. Questo ordine, questa assenza di caos è possibile solo perché ogni corpo prende il suo posto nello spazio e ogni movimento si svolge lungo il proprio percorso all'interno di esso.

In definitiva spazio e tempo, se li consideriamo forme vuote, sono oggetti insignificanti, inessenziali, intangibili, come talvolta si esprimono i naturalisti. Nonostante tutto, siamo convinti ogni giorno che migliaia di cose dipendano dallo spazio e dal tempo.

Le considerazioni precedenti sembrano essere perfettamente sufficienti per il nostro scopo. Volevamo dimostrare che i naturalisti non si limitano a osservare la natura o a farne deduzioni, ma che interferiscono con essa nelle costruzioni delle loro menti. Volevamo capire il processo mentale con cui hanno diviso il mondo in forma, cioè spazio e tempo, e contenuto, la sostanza e i suoi fenomeni. Questa suddivisione è assolutamente corretta, ma ci darà la vera conoscenza solo quando capiremo che la forma non esiste senza contenuto e il contenuto è essenzialmente determinato dalla forma. I naturalisti, tuttavia, non pensano a questa dipendenza, a questa unità, ma immaginano separatamente forma e contenuto: entrambi per loro hanno pari importanza.

Abbiamo cercato di mostrare che la loro forma, puri spazio e tempo, è per la sua stessa essenza vuota e trasparente, una mera astrazione. Così risulta dalle parole degli stessi naturalisti. Sebbene immaginino lo spazio e il tempo, dietro le rappresentazioni si nasconde un modo di pensare più profondo; inconsciamente considerano il loro spazio e il loro tempo come un perfetto nulla e cercano le entità e l'essere in ciò che è contenuto nello spazio e nel tempo.

Seguiamoli in questa ricerca. I naturalisti non si accorgono che, se lo spazio e il tempo sono diventati per loro un'astrazione, allora anche tutto il resto, ciò che è contenuto nello spazio e nel tempo, sarà un'astrazione. Il mondo è una bella sfera armonica; studiandolo, i naturalisti hanno scoperto che, come in un guscio, è racchiuso nello spazio e nel tempo; hanno tolto questo guscio e l'hanno gettato via come una scorza inutile. Allo stesso modo, poi, hanno scartato uno dopo l'altro tutti gli strati, immaginando di poter così arrivare al profondo e misterioso grano. Ma alla fine di tutto questo lavoro che cosa succede? Il grano non si trova da nessuna parte e il mondo intero è stato trasformato in orribili macerie.

La sostanza

Quindi i fenomeni che possiamo rappresentare, cioè quelli insieme spaziali e temporali, sono per noi i fenomeni reali. L'intera vita della natura, tutta la sua infinita varietà e le sue innumerevoli trasformazioni rientrano in questa definizione.

Ma la nostra mente, sempre in movimento nel suo profondo, non può fermarsi alla semplice contemplazione di questi fenomeni, ma vuole cercarne l'essenza, cioè scomporre i fenomeni nella loro parte visibile, la rappresentazione, e nel loro principio interno, appunto l'essenza. L'essenza dei fenomeni materiali è la sostanza.

Non intendiamo qui affatto spiegare in che cosa consista questo movimento della mente che distingue l'essenza dai fenomeni; assumiamo semplicemente una tale distinzione come un fatto. C'è un'opposizione tra il fenomeno e la sua essenza che è più o meno familiare a tutti. Ad esempio: l'essenza è la causa dei fenomeni e i fenomeni dipendono strettamente dall'essenza. Qualsiasi cambiamento che si verifica nella sostanza è già un fenomeno; quindi consideriamo l'essenza immutabile, mentre i fenomeni possono cambiare in ogni modo. Inoltre, qualsiasi diversificazione dell'essenza è già un certo fenomeno, quindi si presume che l'essenza sia monotona, ovunque la stessa.

Questa è la regola generale con cui i naturalisti costruiscono il loro concetto di sostanza, cioè dell'essenza dei fenomeni materiali. Ma essi, come sappiamo, hanno un modo speciale di pensare che è comune a tutte le loro costruzioni, vale a dire la rappresentazione. Non solo pensano alla materia come a un'entità, ma hanno bisogno di rappresentare questa entità, hanno bisogno di raffigurarla; si ottiene così la sostanza dei naturalisti. In natura, nel mondo esterno, infatti, troviamo un unico spazio, diverso nelle sue parti, che agisce quindi su di noi in modi diversi, come se inviasse raggi diversi da posti diversi al nostro punto di vista centrale, a quell'origine di coordinate da cui misuriamo il mondo intero.

Ma non appena la rappresentazione distingue lo spazio vuoto da ciò che in esso è contenuto, allora immagina che questo contenuto, questa essenza, non occupi l'intero spazio, ma sia limitato, diviso da spazi vuoti, separato in vari frammenti. Infatti è molto facile immaginare che la materia occupi tutto lo spazio, ma è anche facile immaginare che ne occupi solo una parte o che non esista affatto. Di conseguenza, non vi è motivo di negare la limitazione della materia. Tuttavia, è impossibile affermare che tutto lo spazio è pieno di materia, perché allora si dovrebbe dimostrare che lo spazio contiene necessariamente materia, che dove c'è spazio c'è materia, e che quindi non c'è spazio vuoto.

Questo è il motivo per cui la dottrina della perfetta completezza dello spazio non poteva perdurare a lungo. Questa dottrina notoriamente accomuna Parmenide a Cartesio. Un tempo era oggetto di molte controversie tra i cartesiani e i seguaci di Newton[9]. Questa visione di Cartesio sullo spazio e sulla materia è uno dei suoi pensieri più ingegnosi. Qui infatti si stabilisce il necessario rapporto tra spazio e materia e, inoltre, si preserva l'integrità del mondo, benché questa integrità sia puramente meccanica. Se lo spazio è completo, allora tutte le parti del mondo sono collegate tra di loro, e possono quindi influenzarsi reciprocamente.

Invece nella visione comune dei naturalisti non è così: la loro sostanza è costituita da masse separate, non collegate da nulla, perché lo spazio vuoto non può fornire alcuna connessione. Vedremo più avanti come i naturalisti evitino questa difficoltà.

Notiamo ora che, avendo immaginato la sostanza separata, distinta dallo spazio e occupando solo alcune delle sue parti, cercano poi di dare a questa sostanza tutte le proprietà dell'essenza. L'essenza deve essere immutabile, e come si può immaginare una sostanza immutabile? È necessario che sia qualcosa di esteso, invariabile nella sua stessa estensione, è necessario che sia costituita da particelle assolutamente solide. Questa solidità è talvolta chiamata in modo inesatto impermeabilità, perché consiste non solo nel fatto che una particella non può occupare uno spazio più piccolo, cedendo la sua estensione ad un'altra particella, ma anche che nessuna particella di materia può occupare uno spazio maggiore, cioè non può espandersi, anche se lo spazio intorno è completamente vuoto. La materia assolutamente solida è infatti la vera sostanza dei naturalisti, quella di Cartesio, Newton e in generale di tutti i fisici.

Da qui con solo passo arriviamo agli atomi, alle particelle indivisibili e immutabili, ovunque uguali a se stesse. L'atomismo infatti è l'unica, assolutamente corretta e inevitabile forma in cui la materia può essere immaginata. L'attuale predominio dell'atomismo nelle scienze naturali non è un capriccio o una moda passeggera, ma deriva strettamente dai principi su cui si sviluppano queste scienze: una materia infinitamente divisibile non può essere semplicemente rappresentata. Quindi le particelle sono assolutamente solide, impenetrabili e non espandibili: questa è la sostanza dei naturalisti, questa è l'essenza che sta alla base di tutti i fenomeni materiali.

Ma ora possiamo chiederci: cosa c'è in questa sostanza? Come può essere la radice di tutti i fenomeni naturali? Ovviamente, questa idea della sostanza distrugge completamente ogni possibilità di manifestazione in essa, la rende vuota, insignificante. Le particelle immutabili, impenetrabili, non ci spiegano il mondo allo stesso modo dello spazio e del tempo materialistici.

Questo è il motivo per cui gli scienziati di solito evitano di definire la materia; amano dire che la materia è la radice delle cose, la base di tutto ciò che esiste, eppure non vogliono indicarne il concetto esatto sebbene lo utilizzino in ogni corso di meccanica, fisica o chimica. Ai materialisti piace presentare la materia come qualcosa di profondo, imperscrutabile, e spesso dicono che la sua essenza è sconosciuta. Dietro questi discorsi c'è semplicemente l'avversione del pensiero per quel fantasma vuoto che crea l'idea; ma i materialisti saranno incoerenti se immettono in questa materia nuovi soggetti, per esempio, la forza vitale o qualcosa di simile.

Tuttavia, i materialisti hanno un argomento che portano come prova del loro concetto di materia come essenza. Con grande entusiasmo si riferiscono ai risultati delle scienze naturali, secondo le quali la materia non scompare e non riappare, quindi è assolutamente immutabile. Moleschott, e Büchner con lui, la chiamano pomposamente l'immortalità della materia, dimenticando che la morte e l'immortalità possono riguardare solo i vivi.

Questo argomento è molto importante e molto più complicato di quanto normalmente si pensi. I naturalisti sostengono che, nonostante tutti i tipi di cambiamenti, dopo tutte le scomposizioni e aggregazioni chimiche, la quantità di sostanza rimane la stessa. Ma se chiedi loro come chiamano la quantità di una sostanza, come la misurano, non sapranno dare risposte soddisfacenti.

Molto spesso fisici e chimici ingenui rispondono a questa domanda sostenendo che la quantità di una sostanza è data dal numero di atomi e che questa quantità non può cambiare, perché non possono crearsi nuovi atomi o quelli esistenti scomparire.

Ma, poiché nessuno ha visto gli atomi ed è impossibile contarli, possiamo solo sostituirli mentalmente per mantenere l'essenza immutabile. I fatti mostrano inequivocabilmente che la materia è mutevole, e se misuriamo direttamente la sua quantità, questa quantità cambia.

Sarebbe possibile anche, per esempio, misurare la materia in volumi, ma i volumi dei corpi possono cambiare: la stessa massa d'aria può occupare un volume dieci, venti volte più grande o più piccolo. Un atomista potrebbe comunque dire, che sebbene il volume cambi per motivi diversi, il numero di atomi rimane lo stesso.

Il peso è un altro candidato per definire la quantità di una sostanza. Il peso è qualcosa di immutabile, di assolutamente costante che i naturalisti hanno trovato nella natura, tra i suoi innumerevoli cambiamenti e trasformazioni.

Prendiamo un pezzo di ghiaccio e lo pesiamo; poi lo sciogliamo, proprio lì sulla bilancia: il ghiaccio si trasformerà in acqua, ma l'acqua peserà come il ghiaccio. Ecco un dato di fatto. È possibile però da qui concludere direttamente che la quantità di materia è rimasta la stessa durante tale trasformazione? Non c'è modo.

Per esempio il grande Lavoisier, lo stesso che insegnò ai chimici ad usare le bilance, credeva che in questo caso la quantità di una sostanza cambiasse. Spiegò la trasformazione stessa con il fatto che una speciale sostanza imponderabile, il calorico, si combina con il ghiaccio, che questa sostanza entra negli interstizi degli atomi di ghiaccio e che quindi l'acqua è prodotta dal ghiaccio.[10]

L'ipotesi di Lavoisier è, ovviamente, una pura congettura, ma lo è anche l'assunzione che la quantità di sostanza nell'esperimento di cui sopra non sia cambiata affatto. D'altra parte, conosciamo casi in cui il peso dei corpi cambia. È noto che all'equatore lo stesso corpo pesa meno che alle nostre latitudini e in generale il peso dei corpi cambia in base alla loro distanza dal centro della Terra. Allo stesso tempo, però, non crediamo in alcun modo che il numero di atomi aumenti diminuisca o in generale che la quantità di materia in essi subisca alcun cambiamento. Pertanto il peso non è qualcosa di invariabilmente associato a questa quantità, non è la sua misura assoluta. Quindi qui, come con gli atomi, concepiamo solo qualcosa di immutabile, ma non lo troviamo nell'esperienza diretta.

In natura nulla scompare e nulla può nascere dal nulla: questo è indubbiamente vero ed era noto non solo ai naturalisti di oggi, ma anche agli antichi saggi greci e orientali. Ma cosa esattamente non scompare, questa è la domanda fondamentale. L'essenza non scompare, perché l'impossibilità di scomparire è insito nel concetto stesso di essenza. Ma il punto è come comprendere questa essenza. Se dico: il mondo è una manifestazione della Mente Eterna, allora riconosco la Mente Eterna come un'essenza immutabile, come i materialisti riconoscono la loro sostanza. L'errore dei materialisti non sta nel cercare l'essenza, ma nel fatto che la rivestono di immagini, la intendono nella forma di quella materia assolutamente solida che non esiste in natura e che non può essere ottenuta in alcun modo.

Le forze

Torniamo ora nuovamente al punto di vista del materialismo. Abbiamo spazio e tempo vuoti e questo vuoto contiene particelle di materia, estese, assolutamente solide ed eternamente immutabili. Basta questo per costruire un mondo?

È noto che c'erano insegnamenti che cercavano di accontentarsi di questi due elementi, vuoto e sostanza, come quello degli antichi atomisti greci. Tutte le cose, e tutte le creature della natura con esse, provenivano da una collisione casuale di atomi.

Cartesio ha cercato di costruire la natura in modo simile. "Dammi", disse, "sostanza e movimento, e io creerò un mondo per te". Il movimento, secondo il suo insegnamento, è stato dato alla materia da tempo immemorabile e, senza mai diminuire, solo trasmesso e modificato.

Eulero, che per molti aspetti si avvicina a Cartesio, pensava anche che la sostanza, la cui essenza consiste nell'estensione, nell'impenetrabilità e nell'inerzia, sia sufficiente a spiegare il mondo fisico. "L'impenetrabilità", dice, "contiene la sorgente di quelle forze che continuamente mutano lo stato dei corpi nel mondo; questa è la vera soluzione al grande enigma che tanto ha tormentato i filosofi".

Ci sono stati quindi tentativi di spiegare il mondo per mezzo di un puro meccanismo, cioè quello in cui l'essenza dei fenomeni è completamente racchiusa nello spazio, nel tempo e nella materia. È ovvio, tuttavia, che qui abbiamo introdotto un nuovo elemento: il movimento. A prima vista si potrebbe pensare che questo non sia qualcosa di essenziale, che il cambiamento chiamato moto non tocchi minimamente l'essenza delle cose che si muovono, o per lo meno così la pura meccanica ha cercato di intenderlo. Ma è facile convincersi del contrario: di fatto la materia senza movimento non forma il mondo. Il mondo, come abbiamo già visto, presenta diversità nello spazio e nel tempo. È questa varietà che deve essere spiegata, e se immaginiamo solo la stessa e immutabile sostanza ovunque, allora otterremo esattamente l'opposto, cioè il mondo invece di crearlo, lo distruggeremo. I naturalisti, creando la loro sostanza e personificando in essa l'essenza del mondo, hanno dimenticato che a questa essenza occorre dare un principio attivo di cambiamento, da cui possa scaturire tutta la varietà dei fenomeni.

Questo principio è per loro il movimento, l'unico cambiamento possibile nel mondo. Ciò segue coerentemente dal loro punto di vista, perché il movimento è l'unico cambiamento che possa essere rappresentato come fenomeno spaziale e temporale. In più, ogni altro cambiamento osservabile riguarderà l'essenza stessa dell'oggetto che cambia; il movimento, tuttavia, non può modificare l'essenza, perché sono il tempo e lo spazio che cambiano, ed essi non hanno alcuna relazione essenziale con l'oggetto.

È per questi motivi che i materialisti spiegano tutto con un unico movimento iniziale. Ma da dove nasce questo movimento, da cosa dipende? La risposta più semplice a questa domanda, naturalmente, sarebbe che il moto appartiene necessariamente alla materia, che segue dalla sua stessa essenza. Ma secondo i principi del materialismo, questa risposta non è accettabile. Immaginiamo un corpo a riposo; la rappresentazione del corpo non richiede affatto il movimento; di conseguenza, non è in alcun modo possibile dimostrare che il moto sia una proprietà necessaria del corpo.

Ecco perché Cartesio ed Eulero, che pensavano in modo materialistico, dovettero ricorrere all'azione diretta dell'Essere Supremo per spiegare il movimento del mondo. Un'origine così speciale e separata del movimento testimonia chiaramente che non è in alcun modo necessario collegarlo con la materia nella rappresentazione.

Diamo un'occhiata più da vicino al movimento e vedremo che è un argomento molto complesso che contiene l'essenza principale dei fenomeni del mondo. Il movimento è qualcosa di mutevole e indefinito. Lo spazio è uno solo e può essere di un solo tipo; anche la sostanza è una sola e per sua stessa essenza non può essere di natura diversa. Il movimento invece può essere infinitamente vario. Ma se diciamo che le particelle di materia hanno un qualche genere di movimento, allora è ancora impossibile costruire il mondo da questo, poiché tutti i movimenti saranno leciti e possiamo immaginare solo il caos.

In generale, non si può dire che la materia abbia la capacità di muoversi in ogni modo possibile, perché i nostri sforzi sono diretti a spiegare i movimenti effettivi della materia, a mostrare che questi movimenti sono necessari, e che nessun altro movimento è possibile. Per questo si deve ammettere che la materia, per l'essenza stessa del mondo, abbia certi movimenti definiti e corretti, che seguono una certa legge matematica per produrre i fenomeni che vediamo nel mondo. Queste leggi, però, non sono in alcun modo connesse con l'essenza della materia, perché non sono incluse nella rappresentazione di questa essenza. Quali sono? Cioè, qui ancora stiamo cercando la loro essenza, ancora vogliamo immaginare la loro esistenza. Ma è qui che finisce ogni possibilità di immaginare. La cosa più figurativa, più vivida che i naturalisti potrebbero ideare qui è il concetto di forza: dicono che le leggi del moto dipendono dall'esistenza di forze che producono questi movimenti in un certo modo.

Pertanto la rappresentazione, volendo vivificare il mondo, ricorre involontariamente ai fenomeni familiari della vita animale. Ma tuttavia, la forza, come detto, non è qualcosa di rappresentabile, e quindi rimane un concetto impenetrabilmente oscuro per i naturalisti.

Sia come sia, riconoscendo le forze, riconoscono in esse anche il vero principio creativo del mondo; non sono più spazio e tempo, non è la materia, ma le forze sono la vera fonte di ogni ordine, di tutti i fenomeni. Ora il mondo è fatto e finito, perché il principio attivo è stato trovato, e quindi è possibile riempire lo spazio e il tempo con ogni tipo di varietà. Il mondo dei materialisti è il mondo immaginato, cioè esistente nello spazio e nel tempo; non appena l'essenza, la sostanza e il cambiamento o movimento ci sono dati, allora null'altro è più necessario per la visone completa.

Abbiamo visto come questo mondo è composto dai suoi elementi: lo spazio e il tempo sono immaginati come vuoti e la sostanza vi è immersa. La sostanza si presenta immutabile e non ha in sé alcuna legge di cambiamento, ma questa forza le viene data dall'esterno. Ovviamente, questa rappresentazione rompe il mondo in frammenti separati e scollegati tra loro.

Abbiamo cercato di mostrare che spazio e tempo sono necessariamente connessi con la materia e che la materia non è qualcosa di immutabile; ora è necessario mostrare che le forze non sono qualcosa di esterno fornito alla sostanza, ma che emanano dalla sua essenza.

La relazione tra forza e materia è ben compresa se prendiamo il concetto più generale di materia. Per sostanza o materia intendiamo anzitutto, per così dire, il materiale di cui una cosa consiste. Ci chiediamo: di che sostanza è fatto questo cucchiaio? In cosa consiste quella montagna?

In questo senso, la materia si oppone necessariamente alla forma e a tutte le altre relazioni spaziali. Non attribuiamo alcuna forma essenziale alla materia stessa, ma assumiamo che la forma e il movimento siano dati alla materia da qualcosa di esterno.

Un'altra comune nozione è che la sostanza si contrapponga all'azione. Infatti ci chiediamo: quale sostanza dà un tale gusto? Quale questo colore? Opponiamo gusto e colore con ciò che produce questo gusto e questo colore. Per forza, nel senso più generale del termine, intendiamo la capacità di agire in un modo o nell'altro; sicché per ogni fenomeno è necessario non solo che ci sia qualcosa che lo produce, ma che abbia il potere di produrre proprio quel fenomeno. Come conseguenza di questo processo mentale, la sostanza è necessariamente considerata come qualcosa di inattivo: non è un oggetto o un fenomeno, ma solo ciò di cui un oggetto consiste e ciò su cui si produce un fenomeno; la forza è invece ciò che genera gli oggetti dalla materia e produce in essi i vari fenomeni.

È piuttosto ovvio che nella realtà troviamo solo oggetti e fenomeni e che quindi sia la sostanza che la forza sono creazioni della nostra mente. Inoltre questi concetti, sostanza e forza, possono essere colti solo insieme perché sono strettamente correlati; supponendo che la sostanza sia passiva, dobbiamo attribuire il ruolo attivo a qualcos'altro, cioè alla forza. Quindi, se ricordiamo il significato delle nostre parole, allora non ci possono essere dubbi per noi che la sostanza non può essere senza forza e la forza senza sostanza. Questo è un assioma, una verità ovvia senza bisogno di alcuna esperienza o osservazione.

Se ci affranchiamo dal modo di pensare del materialismo, se aderiamo al significato più generale di materia e forza, allora capiremo che, di fatto, la loro inseparabilità si riduce alla seguente posizione: la sostanza è qualcosa che agisce, cioè i fenomeni avvengono in essa, e la causa e la base di questi fenomeni e cambiamenti è la sostanza stessa. Riconoscere l'indissolubilità della forza e della sostanza significa semplicemente riconoscere l'attività indipendente della sostanza.

Per apprezzare l'importanza di tale posizione, notiamo che non c'è niente di più comune dell'accettazione di una sostanza come materiale semplice, come massa immutabile e inattiva, che è necessaria ai fenomeni, ma non può essa stessa produrli. Questo è il modo in cui la intende il materialismo. Essere e attività sono concetti generali sotto i quali riassumiamo tutto ciò che esiste; ma la mente umana con particolare caparbietà si sofferma sul concetto di essere e su tutto ciò che rientra in questo concetto. Tutti gli annali della scienza, l'intera storia del pensiero, sono pieni delle manifestazioni di questa ostinata perseveranza. Questa direzione della mente deriva dalla sua stessa natura; cerca di trovare l'essenza sotto le apparenze, di scoprire l'immutabile in mezzo ai cambiamenti, di trovare quel centro tra il mondo infinito, che rimane esso stesso indivisibile e immobile, e da cui emerge ogni separazione e ogni movimento. Poiché questa è la tendenza più essenziale della mente, allora gli errori che vanno in questa direzione sono anche i suoi errori più significativi, come quello di concepire l'immutabilità dell'essenza nella sua inattività.

Un tale essere non esiste: tutto ciò che esiste esiste nella misura in cui agisce; l'essenza stessa delle cose è l'attività. Di conseguenza, l'essenza di una sostanza è la sua attività. L'attività è un concetto più difficile di quello dell'essere. L'essere, in un modo o nell'altro, possiamo rappresentarlo, ma l'attività non può essere affatto rappresentata.

Pertanto, limitandosi alla sola rappresentazione, materialisti e naturalisti non possono in alcun modo comprendere l'attività intrinseca della sostanza. Avrebbero infatti bisogno di concepire l'essenza della materia in modo tale che la sua attività ne derivi necessariamente; e, viceversa, di concepire l'attività in modo che includa l'essenza della materia, da cui dipendano così l'estensione stessa della sostanza e tutta la diversità dello spazio e del tempo.

È noto che la teoria dinamica della materia considera la forza, non la materia, come essenza; la sostanza stessa secondo questa teoria deriva dall'interazione di due forze, attrattiva e repulsiva. Ma questo non basta. Occorre trovare una forza vivente nel senso pieno del termine, cioè interna, non meccanica; è necessario scoprirne la legge, non matematica, ma che serve da base a tutte le leggi matematiche. Per comprendere la vita di una sostanza, bisogna penetrare in questi battiti interiori del suo polso, bisogna comprendere mentalmente i movimenti profondi della sua essenza. Solo allora sarà possibile considerare il mondo nel suo insieme come una sfera armoniosa.

Il concetto di Dio nel materialismo

In conclusione, citeremo come esempio eclatante il rapporto del pensiero materialistico con il concetto di Dio. Il concetto di Dio è un concetto per eccellenza, cioè meno di ogni altro è accessibile alla rappresentazione. Secondo l'accezione più comune, tutto dipende da Dio, tutto viene da Lui, è l'inizio e il senso di tutto ciò che esiste. Pertanto, per il pensiero, rappresenta il punto estremo della profondità a cui si può arrivare.

Il pensiero materialista, come fa con tutti gli altri concetti, cerca di immaginare Dio e quindi va incontro ad innumerevoli difficoltà. Rappresentare qualcosa significa, per l'essenza stessa di questa azione della mente, separare questo oggetto dagli altri, distinguerlo, considerarlo indipendente.

Anche quindi rifiutando la personificazione di Dio, cioè riconoscendolo come spirito, onnipresente, onnipotente, e così via, il pensiero materialista non può ancora comprenderne in nessun modo le caratteristiche essenziali. Esso immagina Dio come una sorta di sottile spirito aereo accanto agli altri esseri, senza una relazione essenziale con loro. Non sorprende, quindi, che tale immaginazione non ci aiuti minimamente a comprendere il mondo.

A questo proposito, tra i fenomeni del pensiero materialistico, ce ne sono di molto sorprendenti. Abbiamo visto che, sviluppandosi consequenzialmente, esso riconosce alla base di tutto ciò che esiste spazio, tempo, materia e forze. Solo questi elementi si possono rappresentare e immaginare, e quindi solo essi possono esistere.

Pertanto, quando incontra il concetto di Dio il pensiero materialista cerca spesso di connetterlo con le sue essenze. Così, a volte trova una sorta di affinità di Dio con lo spazio, oppure riconosce la sostanza stessa come Dio, o, infine, considera Dio come una forza.

La storia del pensiero è ricca di esempi di questo genere. Voltaire, che ha costantemente combattuto contro il materialismo, non accorgendosi di averne raggiunto gli ultimi estremi del pensiero, scrive quanto segue:

Newton vede lo spazio e il tempo come due esseri la cui esistenza deriva necessariamente da Dio; perché un essere infinito deve esistere in tutti i luoghi dello spazio, lo spazio deve essere infinito, e questo essere infinito esiste per un tempo infinito, quindi deve esistere anche un tempo infinito.

Notiamo però che tutto questo ragionamento appartiene interamente a Voltaire. Newton non arriva mai a tanta audacia: per esempio, non considera mai lo spazio e il tempo come esseri. Voltaire in questo caso usa Newton come spesso si fa con le grandi personalità, cioè attribuisce a lui i suoi pensieri per dare loro più autorevolezza. Lo stesso Voltaire quasi lo ammette, perché dopo le parole citate dice:

Newton, alla fine delle sue domande in Ottica, se ne è uscito con le seguenti parole: questi fenomeni della natura mostrano che c'è un essere incorporeo, vivente, intelligente, presente ovunque, un essere che nello spazio infinito, come nel suo sensorium, vede, distingue e comprende tutto nel modo più vicino e perfetto? [12]

In effetti questo è il significato delle parole di Newton che hanno dato origine al ragionamento di Voltaire, ma queste parole sono state alterate da Voltaire. Citamo qui le espressioni originali di Newton, poiché contengono più di questa alterazione.

La struttura originale di parti estremamente abili come occhi, orecchie, cervello, muscoli, cuore, ecc., e anche l'istinto degli animali e degli insetti, tutto questo non può che essere il prodotto della saggezza e dell'arte di un agente potente, eternamente vivente che, essendo in ogni luogo, può muovere i corpi contenuti nella sua sconfinata e uniforme sensibilità, e così formare e trasformare le parti del mondo molto più facilmente di quanto noi possiamo muovere le parti del nostro corpo a nostro piacimento. Non guardiamo, tuttavia, al mondo come al corpo di Dio, e alle parti del mondo come parti di Dio. Dio è un essere monotono, privo di organi, membra o parti, che sono sue creazioni, subordinate a Lui e servono la Sua volontà. Gli organi di senso non servono a percepire le immagini delle cose, ma solo a portare queste immagini al sensibile; Dio, però, non ha bisogno di tali organi, poiché è ovunque inerente alle cose stesse.

Queste sono parole meravigliose che esprimono uno dei massimi estremi del pensiero materialistico. Voltaire è ovviamente meno assorbito dalle idee di Newton; Voltaire ha tre esseri speciali: Dio, lo spazio e il tempo. Newton, invece, ha il rapporto più stretto tra Dio e lo spazio: lo spazio è il sensorium di Dio; se il mondo non può essere il corpo di Dio, perché Dio è un essere monotono, omogeneo, allora lo spazio, essendo esso stesso monotono, può ovviamente essere il corpo sensibile di Dio; l'attività stessa di Dio, la formazione e la trasformazione del mondo, in Newton è strettamente connessa con questa incarnazione di Dio nello spazio.

Da altri passaggi degli scritti di Newton, possiamo concludere che egli immaginava veramente Dio in questo modo; così, ad esempio, era pronto ad attribuire gli stessi fenomeni di gravitazione che aveva scoperto all'azione diretta di Dio.

È comprensibile il motivo per cui Leibniz prese le armi contro tali opinioni, e perché affermò che la religione naturale stesse decadendo in Inghilterra. Gli inglesi furono molto offesi da un simile rimprovero, e da ciò sorse una famosa controversia, che diede a Leibniz l'opportunità di esprimere molti dei suoi pensieri[13]. Successivamente, Voltaire si dichiarò dalla parte degli inglesi.

Il materialismo non può provare nulla su Dio, perché non può afferrare questo stesso concetto rappresentandolo. Per l'ateismo materialista sostanza e forze sono indipendenti, perché non possono dipendere da nulla, anzi è impossibile immaginare la dipendenza stessa. Così, il materialismo, da parte sua, aderisce al famoso principio dell'identità dell'essere e del pensare: ciò che per esso è inconcepibile, lo considera inesistente, ma riconosce come esistente e reale solo ciò che può pensare.

Abbiamo visto che il principio fondamentale del pensiero materialista è la rappresentazione, e il materialismo crolla non appena il pensiero si libera da tale unilateralità e diventa padrone di sé. Questa liberazione è un passo importante nella vita mentale, perché il potere delle idee è estremamente grande. Il pensiero puro è etereo, secondo Hegel, cioè è leggero, trasparente e mobile; conosce se stesso e si autocontrolla liberamente; non c'è costrizione in esso, perché l'attività della mente si basa sulla completa autodeterminazione.

Le rappresentazioni sono cose del tutto diverse; nel regno della mente costituiscono qualcosa di oscuro, pesante e immobile. Non si autodeterminano, ma sembrano costrette dall'esterno ad assumere determinate forme. Sentiamo che sono ribelli al potere della mente, impenetrabili al suo sguardo. Non ci soddisfano, essendo una specie di segreto enigma che ci sfida e ci perseguita con fantasmi e visioni da cui è impossibile liberarsi. Come chi ha giocato a lungo a carte, e poi le vede tutta la notte e anche il giorno dopo, così chi ha giocato a lungo con atomi, forze e spazio vuoto non può dimenticarli, non può passare da essi ad altri concetti.  

Se è così, se si tratta della lotta alle abitudini, ai preconcetti, alla preponderanza di una parte o dell'altra dell'attività della mente, allora è chiaro che il pensiero non si muove in tutta libertà, con tutto il suo potere, con tutta la sua capacità di generalizzazione.

Quindi vogliamo pensare come dovrebbe fare una mente capace di generalizzare; non vogliamo indulgere in particolarismi, vaghe stranezze o vizi del pensiero. Per raggiungere la verità, vogliamo acquisire un pensiero puro, sano, coerente ovunque e in tutto, senza nome e unico.

In breve, dobbiamo imparare a pensare.

NOTE

  1. Parole di Leibniz dalla corrispondenza con Nicholas Remond, un ardente sostenitore della filosofia di Platone e oppositore di Aristotele.

  2. Il Saggio sulla filosofia della probabilità di Pierre Laplace apparve nel 1814 come prefazione alla seconda edizione della sua Teoria analitica della probabilità. Successivamente, "il Saggio" è stato pubblicata separatamente, anche in russo (1908).

  3. Si riferisce alle infatuazioni religiose e mistiche di Newton e Pascal sopra menzionati. In generale, Strakhov ha una bassa considerazione della "filosofia religiosa" di Pascal, molto probabilmente a causa della costante enfasi sulla "nullità" dell'essere umano.

  4. Apparentemente si riferisce all'articolo "Geometria" della famosa "Enciclopedia, o dizionario esplicativo di scienze, arti e mestieri", che D'Alembert pubblicò con Denis Diderot dal 1751 al 1757.

  5. Vedi Kant I. “Critica della ragion pura. Estetica trascendentale”.

  6. Nella sezione Definizioni, Newton scrive: "tempo, spazio, luogo e movimento costituiscono concetti comunemente noti".

  7. Parole dalle "Confessioni" del famoso teologo cristiano Sant'Agostino (354-430) (libro 11, capitolo XIV).

  8. Nei "Principi" di Newton leggiamo: "tutti i movimenti possono accelerare o rallentare, ma il tempo assoluto non può cambiare". L'incomprensione che il tempo in quanto tale non può accelerare o rallentare costituisce, a nostro avviso, l'errore fondamentale di A. Einstein.

  9. Questa polemica si rifletteva vividamente nella prefazione del newtoniano Roger Cotes alla seconda edizione dei Principi. La fisica moderna, come noto, è effettivamente tornata all'idea della "pienezza" dello spazio.

  10. La prima presentazione sistematica dell'ipotesi calorica fu data dal fisico e filosofo tedesco Christian Wolf nell'opera "Physical experiments" (1721), tradotta in russo da MV Lomonosov, che in seguito divenne un oppositore di questa ipotesi. Va notato che il modello calorico ha prodotto una serie di importanti risultati della termodinamica (teorema di Carnot, equazione di Fourier per la conduzione del calore, ecc.). Vedi Gelfer J. M. “Storia e metodologia della termodinamica e della fisica statica” (1981).

  11. Proprietà immanente (lat. immaneo-essere dentro) - in questo caso una proprietà intrinseca, indipendente dalle influenze esterne.

  12. Strakhov cita il secondo capitolo della seconda parte di Voltaire “Fondamenti della filosofia di Newton”. Il concetto di spazio come "sensorium di Dio" si sviluppò in Newton sotto l'influenza della famosa scuola neoplatonica di Cambridge, il cui rappresentante più importante fu Henry Moore (1614-1687).

  13. Strakhov si riferisce alla polemica corrispondenza di Leibniz con Samuel Clark (1675-1729), un teologo e filosofo inglese, amico di Newton. S. Clark cercò di dimostrare che Newton non considerava lo spazio un "organo" di Dio nel senso letterale della parola. Sotto "religione naturale" nei secoli XVIII-XIX si comprendevano visioni religiose che non contraddicevano le conclusioni delle scienze naturali (o meglio, la comprensione meccanica della natura). Nello stesso tempo acquistava particolare importanza la questione della possibilità dei miracoli, di cui si parla anche nella corrispondenza tra Leibniz e Clark.

14. La metafisica nelle scienze

La metafisica in ogni scienza

Ogni scienza ha la sua metafisica, cioè introduce nella sua ricerca una certa visione a priori del soggetto che studia, determina in anticipo l'essenza di questo soggetto e cerca di confermare questa definizione, di estenderla sempre di più. Solo così la scienza può fare progressi, perché il movimento senza uno scopo è impossibile per la mente.

Accade così che le cosiddette scienze sperimentali non abbiano mai modi che derivano esclusivamente dall'esperienza, ma vestano sempre più o meno i loro risultati con forme nelle quali si infiltrano pregiudizi, tendenze, opinioni personali. Così la fisica e l'astronomia hanno modi meccanici, cioè principi mutuati dai concetti a priori della meccanica razionale. Nelle scienze degli organismi hanno dominato per lungo tempo le visioni metafisiche sull'immutabilità delle specie, sulla presenza nell'embrione di tutte le parti di un organismo sviluppato, eccetera. Pensiamo poi alla posizione di molti fisiologi per i quali i processi vitali non sono essenzialmente altro che fenomeni fisici e chimici.

La teoria di Darwin, così in auge in questo momento, non è altro che una visione a priori, ovvero l'idea di caso introdotta nello studio dello sviluppo delle forme organiche.[1]

Questi esempi mostrano che la commistione tra la metafisica e l'osservazione o l'esperienza non solo non ostacola lo sviluppo della scienza, ma, al contrario, costituisce la condizione e la causa di questo sviluppo. I principi meccanici, questa grande conquista del Rinascimento, costituiscono la vera anima dell'astronomia e della fisica e continuano a informarle. Allo stesso modo, lo studio della fisica e della chimica degli organismi, tanto amato dai fisiologi moderni, promette grandi risultati.

Ma per ogni scienza arriva, prima o poi, il momento in cui la sua metafisica diventa insufficiente e non più utilizzabile. Vale a dire, nel tempo si scopre che l'essenza delle cose è molto più profonda di quanto qualsiasi scienza potesse immaginare. In questo caso è necessario per essa abbandonare la vecchia metafisica e introdurne una nuova, che non ostacoli i suoi movimenti e le apra nuove strade e obiettivi. Ed è così che generalmente accade, e di solito la vecchia metafisica viene ostinatamente difesa dagli scienziati ad essa legati, e la nuova viene per lungo tempo considerata solo come un'ipotesi audace.

In tali casi, per risolvere controversie e fraintendimenti, sarebbe molto utile presentare i fatti e le conclusioni della scienza in una forma puramente sperimentale, eliminando cioè ogni commistione metafisica, in modo che l'evidenza dell'esperienza non contenga nulla di aprioristico. Questo tipo di lavoro può essere svolto solo con una buona conoscenza delle proprietà e dei fondamenti della metafisica di ogni tipo, con la capacità di riconoscere immediatamente l'apriori, per quanto debolmente si mescoli con lo sperimentale.

Ma, a partire da Kant, l'essenza della metafisica è stata completamente messa a nudo davanti a noi e possiamo riconoscerla nonostante tutti gli astuti camuffamenti dietro cui si nasconde. Pertanto, possiamo aspettarci che verrà il tempo in cui la metafisica sarà completamente espulsa dalle scienze, cioè saranno riconosciuti e banditi tutti i tentativi di incarnare l'essenza delle cose nell'una o nell'altra forma particolare. Allora l'elemento a priori, quest'anima di ogni scienza, sarà sotto forma non metafisica, ma dialettica[2].

Chimica metafisica

E la chimica aveva e ha la sua metafisica, dello stesso carattere meccanico di quella di molte altre scienze naturali. Il punto è quello di costruire il complesso dal semplice, derivare il diversificato dall'omogeneo, il fenomeno dall'essenza. Questo era il compito della chimica. La spiegazione delle cose poteva considerarsi completa e compiuta solo quando si fosse trovata questa materia prima, da cui tutto è costruito e che a sua volta non proviene da nulla.

E così i chimici hanno preso i loro elementi per questa sostanza fondamentale, e la loro scienza consisteva nel compito di spiegare tutti i fenomeni a partire da questa base. Questo è esattamente ciò che dice Berzelius nel suo trattato di chimica:

La natura che ci circonda e in cui noi stessi siamo uno degli oggetti consiste di alcuni corpi elementari, o elementi. La conoscenza di questi corpi, dei loro legami reciproci, delle forze su cui si fondano questi legami e delle leggi in base alle quali operano queste forze, costituisce la chimica [3].

Così, per la chimica, gli elementi non erano nemmeno una questione, nemmeno qualcosa da cercare o da scoprire, ma un dato di fatto dal quale partire per arrivare alla conoscenza della natura. Berzelius confidava di aver effettivamente raggiunto l'essenza delle cose, e che l'intero compito della sua scienza fosse quello di costruire fenomeni da questa essenza. Nelle azioni dei suoi elementi vedeva il peso proporzionale effettivo dei loro atomi. Riteneva del tutto ragionevole presumere che questi atomi avessero una forma sferica, e che i corpi complessi fossero formati da ammassi di questa specie di palline. Si chiese anche se queste sfere immutabili e presenti dall'eternità fossero della stessa dimensione, ma trovò difficile risolvere definitivamente questo problema.

Adesso l'essenza delle cose era stata chiarita nei suoi aspetti fondamentali, e ciò che era ancora oscuro sarebbe stato spiegato completamente in un futuro molto vicino. Restavano da creare i vari oggetti materiali da questa essenza. È così che hanno fatto i chimici, e tutta la loro scienza prese la forma di costruire tutti i tipi di sostanze dagli elementi.

La chimica non si occupava più dello studio dei corpi, della loro classificazione, della comprensione delle loro relazioni, ma il suo compito principale era quello di determinare il modo in cui i corpi sono composti da elementi. Agli allievi studiosi venivano presentati direttamente questi elementi come base di partenza, tutti gli altri corpi con le loro proprietà venivano considerati solo come fenomeni derivati. È abbastanza chiaro quale sia il pensiero di fondo in tutti questi metodi e sforzi: l'idea che la struttura sia una questione secondaria, marginale, e ciò che è essenziale e importante risiede negli elementi. Ma così i fenomeni da spiegare venivano spesso in effetti negati. Dire, ad esempio, che il mondo è costituito da atomi dotati di determinate energie significa trasformare il mondo in un caos, dominato da forze che non si sa da dove provengano; ma per molti questo pensiero sembra essere la più chiara comprensione dell'ordine e dell'essenza delle cose. Allo stesso modo, quando si afferma che tutti i fenomeni chimici sono spiegati dalle proprietà degli elementi, si nega in pratica l'importanza dei fenomeni chimici. Un corpo complesso non è così importante agli occhi di un chimico quanto un corpo semplice. E invece un corpo complesso dovrebbe rappresentare il vero oggetto di studio, il vero nodo della questione; un corpo complesso si può scomporre e quindi esprime un qualche processo chimico, che è l'essenza della materia, e dovrebbe costituire il vero problema da risolvere; un corpo semplice non si scompone, e quindi non c'è altro da dire.

Così, qui come in molti altri casi, il desiderio di spiegare il complesso dal semplice ha dato alla scienza una direzione sbagliata. Non si possono cercare le spiegazioni dei fenomeni a partire dalle forme più semplici e inferiori dell'essere; l'enigma più difficile e profondo è presentato proprio dai fenomeni più complessi, dalle forme più elevate; perciò è in essi che va cercata la radice del problema, e vanno visti come l'incarnazione più completa della domanda, come il punto in cui si trova la chiave della risposta. Prima o poi tutte le scienze naturali dovranno accettare questa idea guida e imboccare decisamente questa direzione.

 I fisici smetteranno di prendere a prestito principi della meccanica e scopriranno nella loro scienza concetti che, al contrario, daranno nuova vita alla comprensione dei fenomeni meccanici; i chimici non si sforzeranno di ridurre i loro fenomeni a fisici e meccanici, ma troveranno leggi e strutture che faranno luce sugli stessi fenomeni fisici; infine, i fisiologi, invece di vedere nella vita una mera combinazione di trasformazioni e processi chimici e fisici, scopriranno forme di vita autosufficienti che serviranno da norma per comprendere ogni fenomeno vitale in natura.

Quanto alla chimica, abbiamo già visto che l'accettazione dei corpi semplici come elementi non ha portato a nulla, e non ha minimamente contribuito alla comprensione della struttura chimica dei corpi e della loro conseguente azione chimica. Al contrario, la struttura delle sostanze ha cominciato a diventare chiara proprio dal momento in cui i chimici hanno scoperto che i corpi complessi possono chimicamente svolgere esattamente lo stesso ruolo di quelli che vengono chiamati semplici. I chimici sono arrivati così alla conclusione opposta, che cioè non è lo studio dei corpi semplici a spiegare quelli complessi, ma vale piuttosto il contrario: lo studio dei corpi complessi getta un po' di luce sulla natura e sulle relazioni reciproche dei cosiddetti corpi semplici.

Trasformazioni chimiche

Un corpo semplice, se intendiamo con queste parole ciò che in chimica è stato chiamato così, non è altro che un corpo che ancora non si è riusciti a scomporre. Quindi, in senso stretto, è un esperimento che non ha prodotto alcun risultato, un fatto consistente nell'assenza di un fenomeno. Da questo però non solo non possiamo dimostrare l'indissolubilità dei nostri corpi semplici, una conclusione impossibile per qualsiasi esperimento, ma non possiamo nemmeno trarre alcuna conclusione sulla natura di questi corpi, sulle loro proprietà e caratteristiche.

Quando scomponiamo una sostanza otteniamo informazioni sulle sue proprietà, per esempio confrontandola con altre sostanze. Da ciò si può vedere che, da un punto di vista chimico, è impossibile formare un gruppo speciale dai corpi semplici, è impossibile distinguerli dai corpi complessi. I corpi semplici e quelli complessi potrebbero essere confrontati e distinti da qualche altro punto di vista, ad esempio dal lato delle loro proprietà fisiche. Ma, a quanto pare, per la fisica non c'è differenza tra corpi semplici e complessi. Entrambi si restringono, si espandono, fondono, evaporano, rifrangono e scompongono la luce, eccetera, secondo esattamente le stesse leggi. Tra quelli semplici, così come tra i corpi complessi, ci sono sostanze in tutti e tre gli stati: liquido, solido e gassoso; quelli semplici si cristallizzano esattamente come quelli complessi, e così via.

Quindi, dal punto di vista della nuda esperienza, non è in alcun modo possibile costituire un gruppo speciale dagli attuali corpi semplici. Il concetto di corpo semplice non è ovviamente un concetto sperimentale; è introdotto nella chimica dalla sua metafisica, e, se vogliamo attenerci strettamente solo a ciò che l'esperienza ci fornisce, allora dobbiamo eliminare questo concetto dalla scienza.

Non esistono corpi semplici e complessi: considerare un qualsiasi corpo come complesso significa immaginare il corpo non come un tutto, ma come costituito da parti indipendenti. Infatti, non dovremmo dire che l'acqua è un composto di ossigeno e idrogeno o che è formata da idrogeno e ossigeno; tali espressioni non corrispondono strettamente all'esperienza, ma si basano sul presupposto che l'idrogeno e l'ossigeno siano in qualche modo presenti separatamente nell'acqua, unendo gli atomi di entrambe le sostanze. Il vero significato dell'esperimento è che l'acqua può essere convertita in idrogeno e ossigeno allo stesso modo in cui, ad esempio, può essere convertita in vapore; o viceversa: idrogeno e ossigeno possono trasformarsi in acqua allo stesso modo in cui si essa si trasforma in vapore. Per un fisico non c'è difficoltà a dire sia che l'acqua è vapore acqueo condensato, sia che il vapore acqueo è un gas in cui può trasformarsi l'acqua. Ma i chimici preferiscono una di queste espressioni: non considerano mai l'idrogeno e l'ossigeno come un prodotto dell'acqua, ma pensano che l'acqua debba essere considerata un prodotto dell'idrogeno e dell'ossigeno. Quindi per la chimica l'acqua non è un corpo semplice, ma un corpo composto che può essere convertito in idrogeno e ossigeno[4].

Liberandoci da questa metafisica, possiamo dire che dall'esperimento possiamo dedurre i seguenti fatti: abbiamo una sostanza che si presenta sotto certe forme, in determinati stati ben distinti e stabili, ma soggetti a metamorfosi. Per esempio il liquido può trasformarsi in solido, il gas può derivare dal liquido, il carbone può convertirsi in diamante, una forma di fosforo può generarsi da un'altra, eccetera. Queste metamorfosi includono anche quelle in cui una sostanza si scompone in molte altre o, viceversa, più sostanze si aggregano per formare una nuova sostanza. Con questo tipo di trasformazioni, come con tutte le altre, la massa della sostanza che si trasforma rimane invariata, poiché la massa è un elemento meccanico che a priori non dovrebbe cambiare.

Ecco quale dovrebbe essere il significato dell'esperimento. La chimica, secondo la definizione di Berzelius, studia i processi che avvengono nella materia, le trasformazione di alcuni corpi in altri. Aderendo rigorosamente a questa definizione, non incontreremo corpi semplici da nessuna parte e l'ipotesi della loro esistenza sarà completamente inutile.

Se eliminiamo, quindi, dalla chimica i concetti di semplicità e complessità, allora le premesse di questa scienza dovrebbero cambiare significativamente, acquisendo una significato più generale. I chimici trattano gli elementi anticipatamente e separatamente dal resto delle altre sostanze. Forse questo approccio è di qualche beneficio pratico e rende più facile per i principianti imparare i rudimenti della chimica. Ma non esiste una base scientifica per farlo, ed è facile intuire che una tale deviazione dal rigore scientifico non può che introdurre difficoltà e ambiguità.

Lo studio stesso di questi corpi è spesso confuso dalla nozione della loro apparente semplicità. Così, i chimici hanno cercato a lungo di determinare la quantità minima con cui ogni elemento entra nei composti, e hanno pensato che queste quantità minime corrispondessero esattamente tra di loro, rappresentando il rapporto degli atomi degli elementi stessi. La strada intrapresa era evidentemente sbagliata, perché l'esperienza non può dare mai la quantità minima, cioè non si può dimostrare per via sperimentale che non si possa trovare una quantità ancora inferiore. I chimici pensavano che ci fosse una misura assoluta per i corpi semplici, e che fosse facile per la scienza trovarla. Ma l'esperimento non può mai trovare l'assoluto. Questa ricerca degli atomi in una forma o nell'altra continua ad interferire con lo studio diretto e puro dei fenomeni.

Andiamo oltre. Questo gruppo immaginario di sostanze, gli elementi, è riconosciuto come la categoria più importante ed essenziale dei corpi, ed è utilizzato come metro di giudizio per tutti gli altri fenomeni chimici. Qualsiasi legge chimica dichiarata valida per questo gruppo, viene applicata anche ai composti. Il pensiero sotteso a questa impostazione è che si vuole dire con ciò che ogni legge chimica è valida solo perché tale è la proprietà degli elementi che entrano nei composti. Quindi la chimica, stabilendo le sue leggi, introduce una certa differenza tra corpi semplici e complessi, che di fatto non esiste. E su questa differenza immaginaria si basa una spiegazione immaginaria, un'inferenza immaginaria di alcuni fenomeni da altri.

Prendiamo, ad esempio, la legge secondo la quale tutti i corpi si combinano e si scompongono in determinate proporzioni in base al peso. Questa legge è valida per tutti i corpi in generale, siano essi semplici o complessi, ma è sempre enunciata come se valesse per i corpi complessi in quanto vale per quelli semplici. Ma è chiaro che è vero anche il contrario, cioè partendo dai composti possiamo ricavare la legge per i corpi semplici. In un corpo che si divide in molti altri, le sue parti saranno sempre in determinate proporzioni in peso. Da ciò si potrebbe dedurre che quando, al contrario, queste parti si combinano per formare il composto, lo faranno nelle stesse proporzioni. A rigor di termini, qui non c'è nessuna deduzione o derivazione, ma c'è semplicemente una legge comune a tutti i corpi.

Un'ambiguità simile scorre attraverso un po' tutte le leggi della chimica che coinvolgono corpi semplici e complessi, potendo sempre essere interpretate in modo intercambiabile.

Chimica senza corpi semplici

Come piccolo esempio che mostra come la metafisica degli elementi alteri la diretta esposizione dei fatti e interferisca con la sua chiarezza, riportiamo qui le cosiddette leggi chimiche fondamentali con le quali i chimici di solito iniziano la presentazione della loro scienza. Ci sono tre leggi, e sono elencate nel seguente ordine:

Queste tre leggi sono sempre presentate come tre fatti particolari, indipendenti, e, grazie al presupposto dell'esistenza degli atomi, sono connesse tra di loro. Ad esse è perciò attribuita grande importanza, perché dimostrano tre ipotesi contemporaneamente.

Tuttavia, si può dimostrare che queste tre leggi ne costituiscono, di fatto, una sola. Sono state ricavate tre leggi solo perché la deduzione è stata fatta in modo errato, cioè le leggi sono attribuite ai corpi, e non al fenomeno chimico in questione, cioè alla composizione o alla scomposizione.

La seconda legge si distingue dalla prima perché richiama l'attenzione sulla sostanza, cioè l'importanza è attribuita al fatto che la stessa sostanza formi composti diversi. Tuttavia, se prestiamo attenzione al composto stesso, risulta che si verifica allo stesso modo in casi diversi, non importa se vi partecipa lo stesso corpo o qualche altro corpo.

La terza legge segue dalla prima perché richiama l'attenzione sul terzo elemento; l'importanza è attribuita al fatto che un nuovo soggetto appare sulla scena. Tuttavia è ovvio che, per il fenomeno stesso, cioè per il composto, la terza legge non introduce nulla di nuovo. Il significato della terza legge, infatti, è il seguente: come due elementi si combinano con un terzo, così esattamente si combinano tra di loro, cioè un composto chimico non si discosta dalla sua legge.

Proviamo ad esporre queste leggi considerando il fenomeno stesso e non attribuendo alcuna importanza alle sostanze. Troviamo che tutte le sostanze sono in grado di subire una trasformazione chimica, cioè una sostanza può trasformarsi in molte altre, o una sostanza può formarsi da più sostanze. In questo caso, la massa della sostanza non cambia; ma, inoltre, se una sostanza si scompone, allora si scomporrà sempre nelle stesse sostanze e nella stessa proporzione in peso; se si forma una sostanza, allora è sempre dalle stesse sostanze e nella stessa proporzione.

La prima cosa da notare in queste trasformazioni è che a ciascuna di esse corrisponde una trasformazione inversa. Vale a dire, se una sostanza proviene da molte altre, prese in determinate proporzioni, allora si scompone in queste stesse sostanze e nelle stesse proporzioni. Allo stesso modo, se una sostanza si scompone in diverse altre, generandole in determinate proporzioni, viceversa proviene da queste sostanze nelle stesse proporzioni.

Si noti che queste proposizioni dovrebbero essere facilmente comprensibili, perché rappresentano solo un caso particolare di una importante e incrollabile legge generale della natura, cioè la legge di conservazione della massa. Questa legge si esprime dicendo che ad ogni trasformazione di una sostanza corrisponde una trasformazione inversa[5]. Quindi, se l'acqua si trasforma in vapore, il vapore torna in acqua; e, inoltre, il processo inverso è strettamente opposto a quello diretto, ad esempio, se una certa quantità di calore viene assorbita durante la formazione del vapore, viene rilasciata esattamente la stessa quantità di calore durante la trasformazione inversa.

Che ad ogni trasformazione corrisponda quella opposta è richiesto dal concetto stesso di trasformazione materiale, un processo cioè in cui nulla di nuovo si crea e nulla di vecchio scompare, solamente la stessa sostanza appare in forme diverse. Se questa legge non fosse rispettata, allora nell'essenza stessa del mondo materiale ci sarebbe una perdita o un aumento, in altre parole i fenomeni non sarebbero più fenomeni, ma  cambiamenti nell'essenza, il che è assurdo.

Sia come sia, è noto che i chimici hanno dubitato a lungo della validità di questa legge, proprio come una volta i seguaci della teoria del flogisto rifiutarono la legge della conservazione della massa. E riguardo alle sostanze organiche, i chimici pensavano che potessero essere solo scomposte, ma che fosse impossibile riottenere i composti dalle parti ottenute con mezzi puramente chimici. Quindi, si riteneva che esistessero trasformazioni chimiche delle quali non c'era la trasformazione inversa. La prova della fallacia di questa posizione è stata una delle acquisizioni più brillanti della chimica.

Ciò che è importante per noi qui è la conseguenza che segue dalla legge delle trasformazioni inverse, cioè che la composizione e la scomposizione sono due facce dello stesso fenomeno che può procedere in un verso o nell'altro.

Possiamo quindi ricondurre la composizione e la scomposizione al concetto generale di progresso della trasformazione chimica e dobbiamo considerare questo processo come un particolare fenomeno rigorosamente definito. Quindi, la prima domanda sarà: se più corpi si compongono in uno o sono ottenuti da un altro corpo, allora quali sono le somiglianze e le differenze tra questi corpi in relazione al processo stesso? La legge delle proporzioni ci dice che in una certa relazione, che può essere chiamata meccanica, i corpi che partecipano in un processo chimico giocano lo stesso ruolo. Che cosa risulta infatti dal fatto che quando una sostanza si scompone in più sostanze, queste ultime sono sempre nelle stesse proporzioni in peso? Ne consegue che le sostanze appena formate sono in una certa dipendenza l'una dall'altra. Nella misura in cui appare l'uno, appaiono sia l'altro che il terzo; quando si produce l'uno, nella stessa proporzione, si producono l'altro e il terzo. Quindi le sostanze agiscono qui allo stesso modo, si relazionano tra loro allo stesso modo, si producono reciprocamente. Esattamente lo stesso, solo al contrario, si dovrebbe dire della composizione. Entrando nel composto, i corpi sono nella stessa eguale dipendenza; come uno entra nel composto, entrano sia l'altro che il terzo; quanto l'uno si trasforma, l'altro si trasforma nella stessa proporzione. Quindi, le sostanze qui agiscono allo stesso modo l'una rispetto all'altra, si saturano a vicenda: l'una viene assimilata tanto quanto l'altra la assimila.

Quindi, la formula più semplice e più elegante della legge chimica di base sarà la seguente: sostanze diverse, per avere un uguale effetto nella trasformazione chimica, devono essere in quantità diverse in peso.

Va da sé che questa quantità, assolutamente determinata, è sempre la stessa per ogni sostanza. La cosiddetta terza legge chimica deriva direttamente da questo assunto. Infatti, ogni sostanza, presa in qualsiasi quantità, rappresenta una certa misura dell'azione chimica. Di conseguenza, qualsiasi quantità di qualsiasi sostanza può servire a misurare l'azione chimica di altri corpi. Pertanto, se troviamo le quantità con cui due corpi entrano in una trasformazione chimica con la stessa quantità del terzo, allora determineremo le quantità degli effetti che hanno prodotto, e poi ogni quantità in cui si combinano sia tra loro che con altri corpi, presi nella corrispondente quantità di ciascuno di essi.

Anche la cosiddetta seconda legge chimica è una semplice conseguenza della legge principale. Ma i chimici le hanno dato una formula troppo ristretta che ne offusca il vero significato. La sua formula completa e bilanciata sarà la seguente: la quota parte di un corpo che partecipa ad una composizione o viene scomposto è pari alla somma delle quote parti dei corpi in cui si scompone o da cui è composto. In questa forma è facile dedurla dalla legge fondamentale.

Infatti, la quota è il quantitativo di sostanza richiesto ogni volta che essa entra in una trasformazione chimica, cioè la quota rimane la stessa, sia che il corpo entri in congiunzione con un corpo o con due, tre, eccetera. Il numero dei corpi è irrilevante per la trasformazione. Ma da ciò segue che se, per esempio, una sostanza è composta da tre sostanze, allora in essa ci sono due parti delle altre due sostanze per ogni parte della prima sostanza. Pertanto, se due di queste sostanze sono già unite, la quantità in cui tale unione è richiesta per una quota della prima sostanza sarà pari alla somma delle loro quote. In altre parole, ogni corpo si connette ad un corpo complesso nella stessa misura in cui si connetterebbe a ciascuna delle sue parti costituenti. Ciò segue direttamente e può derivare solo dal fatto che, non importa quante parti formano il corpo, ciascuna di esse entra, per così dire, in termini uguali in una certa relazione. Di conseguenza, ogni nuova parte che si aggiunge richiede per la sua connessione la somma delle quote già incluse nella connessione.

Da qui, come caso speciale, segue la seconda legge dei chimici. Vale a dire, se lo stesso corpo è più volte incluso nella composizione di un corpo complesso, allora ogni volta sarà incluso nella quantità della sua quota e, quindi nella quota di un corpo complesso troveremo la somma delle sue quote, cioè troveremo quantità sempre multiple della stessa quantità.

Ecco un piccolo tentativo di presentare alcune proposizioni chimiche indipendentemente da qualsiasi ipotesi di elementi, atomi, eccetera, per enunciarle in un linguaggio il più possibile purificato da tutta la metafisica chimica. Tale presentazione ci chiarisce meglio la connessione delle leggi chimiche e le formula in modo tale che acquisiscano un carattere più semplice, cioè più vicino a quello aprioristico.

Abbiamo qui preso in considerazione il fatto della trasformazione chimica come viene solitamente presentata dai chimici in termini generali. Indubbiamente questo processo può essere caratterizzato in modo più particolare, forse in modo completamente diverso da come l'abbiamo fatto noi. È necessario sviluppare una comprensione di questo processo in modo da poterlo applicare a tutti i suoi casi e da cui deriverebbero tutti i suoi tipi. Questo, naturalmente, sarà fatto dai chimici, poiché per la natura stessa della scienza, i fenomeni sono sempre disponibili per lo studio e la conoscenza, e solo l'essenza misteriosa delle cose, i loro elementi più semplici, gli atomi, i principi di base, ecc., solo questa costante metafisica che introduciamo nella scienza e la sovrapponiamo all'esperienza, rimarrà sempre irraggiungibile e illusoria, e interferirà sempre solo con il corretto corso della conoscenza della natura.

NOTE

  1. È stata proprio l'idea di “caso" alla base dell'ipotesi della "selezione naturale" a priori, non dimostrabile sperimentalmente, che ha determinato, in definitiva, l'atteggiamento negativo di Strakhov nei confronti del darwinismo.

  2. La "metafisica" di Strakhov sottintende qui la dottrina del substrato materiale immutabile, che, sin dai tempi dell'antica filosofia naturale, è stato identificato con le "forme particolari" della sostanza ("tutto è acqua"," tutto è aria, "tutto è composto da quattro elementi", ecc.).

  3. L'opera principale di J. Berzelius, il cui titolo è solitamente tradotto come "Corso di chimica", è stata pubblicata in lingua svedese in tre volumi nel 1808-1818. Strakhov fa riferimento alla traduzione francese della quinta (ultima) edizione, che consisteva già in cinque volumi. Secondo un autore moderno, "questo libro, che copre tutti i campi della conoscenza chimica della prima metà del XIX secolo, è stato per oltre quarant'anni il principale manuale di chimica".

  4. Strakhov qui ovviamente si riferisce alla decomposizione elettrochimica dell'acqua in gas di ossigeno e idrogeno. L'elettrolisi dell'acqua fu eseguita nel 1800 dal fisico e chimico inglese Humphrey Davy, futuro presidente della Royal Society di Londra.

  5. Il lettore interessato può valutare da sé questa affermazione di Strakhov alla luce di: 1) la già citata legge dell'azione di massa; 2) la legge generale dello spostamento dell'equilibrio nelle reazioni chimiche formulata nel 1884 dal fisico e chimico francese Henri Louis Le Chatelier  3) La teoria delle transizioni di fase, di cui Strakhov considera qui solo la quella del primo tipo.

15. La legge di conservazione dell'energia

La prima cosa da notare è che la legge di conservazione dell'energia fu trovata senza l'aiuto di nuove scoperte. E' opinione comune di molti scienziati che tutta la nostra conoscenza derivi dall'esperienza  e dall'osservazione; invece qui c'è stata un'enorme espansione della conoscenza nelle scienze fisiche senza che si sia effettuata una singola nuova osservazione o esperienza. La legge fu enunciata per la prima volta da Julius Robert Mayer in un breve articolo intitolato "Osservazioni sulle forze della natura morta" apparso nel maggio 1842 negli Annals of Chemistry di Liebig. Meyer prestava servizio come medico ad Heilbronn e non ebbe molte opportunità di fare esperimenti. Nel suo articolo cita come fatto nuovo solo che, dopo aver scosso con forza un recipiente pieno d'acqua, notò che la temperatura era aumentata di un grado. L'articolo di Mayer, incompleto e un po' confuso, non attirò l'attenzione. Nel 1845 pubblicò ad Heilbronn un lavoro intitolato "Movimento organico in connessione con il metabolismo", dove esprimeva il suo pensiero in modo più chiaro e dettagliato[1]. A suo dire, era “riuscito a collegare gli innumerevoli fenomeni della natura e a trarne una legge fondamentale superiore”. Anche questo secondo articolo di Mayer non destò l'attenzione degli scienziati, e due anni dopo Helmholtz, completamente all'oscuro delle opere di Mayer, pubblicò a Berlino il suo opuscolo "Sulla conservazione della forza"[2], in cui stabiliva in modo indipendente la stessa legge. Qui la nuova legge si esprimeva in una forma scientifica chiara e precisa e ne veniva mostrata l'estensione all'intero campo della fisica. Ma anche qui, non si trattava di fatti nuovi. Helmholtz scrisse queste sue argomentazioni a Potsdam, dove poi prestò servizio come medico militare, e non solo non poté fare esperimenti in proprio, ma dovette limitarsi a consultare la biblioteca del ginnasio locale.

Così fu scoperta la legge, da due giovani medici privi di qualsiasi sovvenzione da parte del mondo scientifico. Gli articoli indicati ne costituiscono la fondazione veramente completa, e non possono essere considerati il perfezionamento o la nuova interpretazione di una legge generale già formulata o concepita da qualche altro scienziato. In particolare, l'articolo del ventiseienne Helmholtz rappresenta un programma completo per una nuova fisica; la fisica moderna ha ora la forma che le diede Helmholtz, proprio come la chimica si fonda sulla Tavola Periodica degli Elementi di Mendeleev.

Per una strana coincidenza, avvenne che, quasi contemporaneamente, furono effettuati nuovi e accurati esperimenti che dimostrarono che certi fenomeni fisici, significativi ma non ancora indagati a fondo, si verificavano del tutto in accordo con quella che in seguito divenne nota come la “legge di conservazione dell'energia”. Questi esperimenti furono condotti dall'inglese James Prescott Joule, un giovane di venticinque anni educato in famiglia che faceva il birraio vicino a Manchester. Da uomo facoltoso, riuscì a procurarsi strumenti moderni e ottenne risultati molto precisi.

In seguito, quando tutta l'importanza della nuova verità era ormai stata riconosciuta, molti scienziati, soprattutto gli inglesi (come Tait),  incominciarono ad attribuire la scoperta allo stesso Joule, e non a Mayer e Helmholtz. Ne seguì una lunga e accesa controversia, in cui i sostenitori di Joule si battevano in difesa dell'empirismo, non volendo ammettere che fosse possibile scoprire nuove leggi della natura a priori, cioè senza aver fatto un solo esperimento; al contrario, coloro che parteggiavano per Mayer non si facevano problemi a trovare per la nuova legge un fondamento aprioristico in alcune proposizioni metafisiche generali, che lo stesso Mayer aveva in parte indicato.

La questione del primato della scoperta, tuttavia, ha una soluzione molto semplice e definitiva:  il merito è di colui che per primo ha proclamato la legge e, per di più, lo ha fatto su basi sufficienti. Joule indagò su casi particolari, ma non vide affatto che i suoi esperimenti costituivano una conferma di qualche proposizione generale che si potesse poi estendere a tutti i fenomeni fisici.

Joule stesso parla del suo lavoro in questo modo: "Poiché pensavo che la determinazione dell'equivalente meccanico del calore ci avrebbe fornito un mezzo per spiegare vari fenomeni interessanti, ho iniziato una serie di esperimenti nella primavera del 1844", ecc. (Scritto nel 1851. Vedi: Joule J P. "Das mechanische Wärmeequivalent" - Gesammelte Abhandl. Braunchweig 1872 Pag. 121[3]). Tuttavia Meyer, sebbene non conoscesse i nuovi fatti di Joule, disse senza mezzi termini di aver trovato la "legge fondamentale più alta" del mondo fisico e indicò le basi su cui si fonda davvero. Pertanto, Tyndall, Helmholtz e dopo di loro la maggior parte degli scienziati, hanno giustamente riconosciuto Mayer come il vero scopritore della legge.

La legge di conservazione dell'energia fu scoperta, come detto,  senza l'aiuto di nuove evidenze empiriche, ma ovviamente sono stati utilizzati risultati già acquisiti e derivate nuove conclusioni e interpretazioni. Le parole dello stesso Helmholtz spiegano bene questo processo:

Il progresso delle scienze naturali è dovuto al fatto che dai dati disponibili vengono ricavate sempre nuove ipotesi e direzioni di ricerca, e quando si trova qualche nuova evidenza, essa viene confrontata con la realtà attraverso l'esperimento. Ma la gloria della scoperta appartiene a chi ha concepito una nuova idea; la verifica sperimentale costituisce quindi un lavoro di natura più meccanica. E non si può assolutamente affermare che chi trova un'idea è obbligato ad eseguire la seconda parte dell'opera (Ibid.).

Queste parole, il cui scopo è confrontare i meriti di Mayer e Joule, furono scritte nel 1868, quindi più di vent'anni dopo l'articolo sulla conservazione della forza. Helmholtz a quel tempo si stava volgendo sempre più verso l'empirismo (nel 1868 aveva già esposto la teoria dello spazio non euclideo.[4]).

Pertanto, nelle parole citate, egli, in accordo con i dettami dell'empirismo, afferma che la nuova legge era un'induzione dai fatti disponibili, esistenti (vorhandenen), e per ciascuna di tali induzioni è necessario prima trovare una nuova idea, che contenga tutta la gloria e la potenza della scoperta. E qual era in questo caso l'idea, la nuova interpretazione di una legge già nota?

Per Helmholtz il punto di partenza non è altro che uno dei principi della meccanica teorica, il cosiddetto “teorema delle forze vive”. Questo teorema era noto da molto tempo; fu enunciato per la prima volta da Huygens, precedentemente alla pubblicazione del libro di Newton, e afferma ciò che oggi chiamiamo la conservazione dell'energia[5]. Se è così, allora è abbastanza comprensibile perché la ricerca di Helmholtz non fosse affatto causata da nuovi fatti e non ne avesse nessun bisogno.

La grande innovazione consisteva essenzialmente nel fatto che tutti i fenomeni fisici erano portati sotto la ben nota legge delle forze vive. La nuova idea era quindi che la fisica dovesse sottomettersi incondizionatamente alla meccanica, che tutti i fenomeni fisici si adattassero, come esempi particolari, alle leggi meccaniche generali.

Mayer, esattamente allo stesso modo, fa riferimento alla legge delle forze vive; ma, per la sua straordinaria capacità di astrazione e di generalizzazione, formò il suo concetto di forza, o, come dice lui, di causa fisica (cioè, di energia), dai fenomeni più eterogenei, e così include sotto questo concetto il calore (sebbene non lo consideri un movimento), la forza di caduta (Fallkraft) che determina dal peso del corpo, la distanza dalla terra, ecc. Afferma che "la legge di conservazione delle forze vive si fonda sulla legge generale dell'indistruttibilità delle cause”[6]). In questo modo la conservazione dell'energia è da lui intesa in tutta la sua universalità, motivo per cui la applica poi coerentemente e coraggiosamente a fenomeni di ogni tipo. Se Mayer non vide che questa “conservazione” era proprio coincidente con la legge delle forze vive, ciò era probabilmente dovuto alle "lacune nella sua formazione scientifica", come ritiene Verdet [7].

Che le concezioni di Mayer ed Helmholtz fossero veramente innovative, è testimoniato dalla resistenza che incontrarono nel mondo scientifico; i fisici avevano già una visione molto consolidata in cui oggetti e leggi immutabili si nascondevano dietro il mondo instabile dei fenomeni. Erano convinti della varietà primordiale delle sostanze e anche delle forze interne a ciascuna di esse.

Ecco dove si trovava l'ostacolo principale. L'esistenza di una sostanza speciale, il calorico, era riconosciuta da scienziati come Lavoisier, Laplace, Fourier e moltissimi altri con loro. Secondo questa metafisica, nessuna parte del calorico, con tutte le sue proprietà, può né scomparire né riapparire, indipendentemente dai fenomeni meccanici coinvolti. Mayer e Helmholtz dovettero contrapporsi frontalmente a questa teoria. Per loro, secondo la legge delle forze vive, il calore può risolversi in movimento e il movimento può generare calore. Ciò si può perfettamente comprendere solo immaginando che il calore stesso sia una sorta di movimento. L'applicazione della legge delle forze vive ai fenomeni del calore ha portato rapidamente alla creazione di una nuova scienza fisico-matematica: la termodinamica.

Qui vediamo ripetuto un fenomeno classico nella storia della scienza: la verità è di solito semplice e facilmente accessibile ad un occhio diretto e imparziale. Ma quando questa verità viene proclamata per la prima volta, si scontra quasi sempre le vecchie concezioni e i vecchi pregiudizi che si aggrappano tenacemente al passato per non lasciare il loro posto al nuovo. Noi esseri umani, in generale, guardiamo il mondo attraverso una densa nuvola di concetti e immagini creati da noi stessi, e gli sforzi principali della nostra mente sono spesi per dissipare questa nebbia, molto spesso non riuscendoci. La teoria dell'energia ha dovuto combattere contro la teoria del calorico, così come il sistema copernicano ha combattuto contro quello tolemaico, la legge di conservazione della massa di Lavoisier contro la teoria del flogisto, l'epigenesi contro la teoria degli embrioni imprigionati, l'apparizione di nuovi organismi contro la teoria della costanza delle specie, eccetera[8].

Anche nel caso in esame è ben visibile il rapporto tra verità e pregiudizio: la verità è di solito una proposizione generale, mentre il pregiudizio è un fatto particolare, isolato. La proposizione generale nasce da concetti naturalmente formati nella nostra mente, e gradualmente afferma la sua forza, cioè soggioga le rappresentazioni particolari. La scoperta della legge dell'energia sancisce la vittoria dell'idea che tutti i fenomeni materiali sono soggetti a leggi meccaniche, come aveva proclamato Cartesio.

La legge di conservazione dell'energia quindi non è altro che uno dei principi della meccanica teorica, un teorema dimostrato matematicamente sulla base di altri principi più elementari [9].

Ma cos'è la meccanica? Kirchhoff  ne dà la seguente chiara e semplice definizione:

La meccanica è la scienza del movimento; il suo compito è quello di descrivere completamente e nel modo più semplice i movimenti che si verificano in natura [10].

Vediamo ora qual è il problema. La meccanica, come ogni altra scienza matematica, si occupa solo di quantità; data una grandezza, il suo compito è quello di trovarne altre o, come dicono i matematici, determinare la relazione tra queste quantità, cioè comporre equazioni, che diventano teoremi, leggi, principi, ma, essenzialmente, esprimono sempre e solo una cosa: con una data azione su alcune grandezze, ne otterremo necessariamente certe altre. Per un matematico descrivere completamente significa solo e soltanto trovare le misure e le relazioni esatte tra le grandezze. Il numero dei possibili teoremi matematici è infinito, perché tutte queste sono verità condizionali:  comprendono non solo ciò che è reale, ma anche qualsiasi caso si adatti alle loro formule.

Quindi la meccanica teorica non è altro che la scienza matematica del movimento materiale; presuppone (cioè non definisce, li considera dati) spazio, tempo e materia come determinate quantità, come qualcosa di misurabile, e il suo compito è trovare le equazioni tra queste quantità che si verificano durante il movimento (e a riposo).

Di solito - scrive Kirchhoff - la meccanica è definita come la scienza delle forze e le forze come le cause che producono o tendono a produrre movimento. Ma intorno a questa definizione c'è un'oscurità dalla quale non è affatto possibile chiarire il concetto di forza (Ibid.)

Dunque il concetto di forza non è affatto necessario, ma dipende solo da una precisa definizione dell'ambiente circostante (cioè il rapporto con gli altri corpi) e dall'accelerazione. E poiché l'esperienza mostra che per corpi diversi l'accelerazione nelle stesse circostanze è diversa, allora da qui otteniamo la seguente definizione: "La forza è uguale alla massa del corpo moltiplicata per l'accelerazione." Possiamo vedere che questa non è un'equazione tra quantità diverse, ma una semplice definizione verbale, cioè l'affermazione che l'accelerazione moltiplicata per la massa è chiamata forza.[11]

Per la meccanica, quindi, non c'è nulla nella forza, tranne l'accelerazione e la massa,  quantità completamente misurabili e calcolabili. Sull'essenza di queste quantità, la meccanica non parla e non vuole parlare, esattamente allo stesso modo in cui la geometria non dice nulla sull'essenza dello spazio. La creazione delle scienze, in generale, si basa su tali astrazioni. Ci sbagliamo quando immaginiamo che le scienze approfondiscano sempre il loro oggetto, ne rivelino la natura; di norma, per sviluppare la conoscenza scientifica, è necessario allontanarsi dall'oggetto e soffermarsi sulla sue proprietà caratteristiche.

In meccanica, la forza viva è il prodotto della massa per il quadrato della velocità[12], il lavoro è il prodotto della massa per l'accelerazione e per lo spazio percorso. Il teorema delle forze vive determina semplicemente la dipendenza tra questi due prodotti; la meccanica, per mezzo di considerazioni puramente matematiche, dimostra che il lavoro è uguale alla metà della forza viva[13].

Prendiamo qualche esempio illustrativo e semplice per capire il significato di questo teorema. È molto comodo considerare l'oscillazione di un pendolo o anche il movimento di un corpo lanciato verso l'alto. Se appendiamo un corpo a un filo a piombo, aspettiamo che si fermi nella posizione verticale, poi lo allontaniamo e lo lasciamo andare, lo vedremmo salire, simmetricamente rispetto alla verticale, alla stessa altezza da cui è partito. Pertanto, se l'aria non interferisse, un tale corpo continuerebbe il suo movimento senza fine. Allo stesso modo, se lanciamo una palla verso l'alto, essa raggiungerà un'altezza dipendente dall'entità della spinta ricevuta e quindi inizierà a cadere. Se immaginiamo che non ci sia resistenza dell'aria, che la palla sia perfettamente elastica e cada su una superficie assolutamente rigida, allora rimbalzando risalirà fino alla stessa altezza, per continuare a risalire e ricadere all'infinito.

Qui l'accelerazione si verifica sempre quando i corpi si abbassano, e la decelerazione quando i corpi si alzano; mentre i corpi attraversano lo spazio, le loro velocità variano: si azzerano quando la palla è alla sua massima altezza e il pendolo è il più lontano dal filo a piombo, e crescono fino al valore massimo quando i corpi raggiungono il punto più basso. La meccanica determina la relazione tra queste grandezze, ovvero dimostra che in ogni punto della traiettoria il quadrato della velocità è uguale al doppio dell'accelerazione moltiplicata per la traiettoria percorsa.

Allo stesso tempo, è ovvio che qualcosa qui si conserva, cioè rimane immutato, perché in ogni momento si ripete esattamente uno stato già attraversato che, a sua volta, porterà a un altro stato conosciuto, e così via. Per esprimere matematicamente tale conservazione, la meccanica in ogni punto di questo movimento considera due grandezze: la forza viva effettiva, cioè quella che il corpo ha in un certo punto, e la forza viva possibile, cioè quella che guadagnerà o perderà, a partire da questo punto. Allora risulterà che in ogni momento la forza viva reale, sommata alla forza viva possibile, sarà uguale ad un certo valore costante, sicché quanto maggiore è la forza viva reale, tanto minore è la possibile, e viceversa, ma la loro somma è sempre la stessa. Ad esempio, quando questi corpi sono nel punto più alto, si fermano un attimo, cioè perdono tutta la velocità, quindi non rappresentano alcuna forza viva (il che significa che il loro lavoro è nullo); ma, d'altra parte, qui hanno l'opportunità di riguadagnare tutta la loro forza viva effettiva e ottenere il massimo del lavoro. Il loro vantaggio, per così dire, sta nella loro posizione, ed è facile vedere che, in senso meccanico, la posizione significa molto di più che in senso geometrico.

Ora possiamo dare alla nostra legge la sua espressione generalmente accettata e consolidata. Per evitare confusione con la nozione di forza cui abbiamo accennato, è consuetudine chiamare “energia” la forza viva.[14] L'energia è di due tipi: la forza viva effettiva è chiamata energia del movimento o cinetica; la forza viva possibile è l'energia posizionale o potenziale. La legge di conservazione dell'energia afferma che la somma dell'energia cinetica e di quella potenziale è una quantità costante. L'espressione energia potenziale, ora comunemente usata, fu introdotta (già nel 1853) da Rankine, uno dei fondatori della termodinamica.

Per chiarire ulteriormente il concetto di energia e la sua conservazione, ci sembra molto utile raccontare qui una piccola controversia sorta su questi concetti tra John Herschel e Rankine. Ogni teoria, ogni pensiero, diventa chiaro se impariamo a distinguere rigorosamente il suo vero significato dalla sua interpretazione errata.

Per Herschel solo la forza viva (energia cinetica) è un'entità reale, mentre l'energia potenziale è solo qualcosa di virtuale che potrebbe anche non avverarsi mai. Herschel non rifiuta nulla della nuova teoria, ma ritiene che la parola “conservazione” non sia usata nel suo esatto senso;  la legge di conservazione dell'energia non è quindi una vera legge di natura, perché non è un teorema, non un qualche “grande fatto dinamico”, ma in definitiva solo un truismo, una pura identità.

Per  Rankine, invece, la legge dell'energia è una relazione fisica, e le proprietà di tali relazioni derivano dalla definizione stessa dei termini fisici, motivo per cui si ottiene l'apparenza del truismo. Nella legge di conservazione i due tipi di energia sono inclusi in un concetto più elevato, e  rappresentano una relazione tra corpi reali, e quindi in entrambi i casi qualcosa di effettivamente esistente. Se l'energia dell'azione (forza viva) e i suoi cambiamenti sono fatti reali, allora lo sono anche l'energia dovuta alla posizione e i suoi cambiamenti.

Ma se vengono stabilite definizioni precise e complete di termini fisici, allora, secondo Rankine, i teoremi fisici assumeranno la forma di identità. Così il termine energia potenziale ha rivelato solo la natura identica della legge dell'energia, e non ha affatto "sostituito il grande fatto dinamico con il truismo", come obiettava Herschel.

Rankine sosteneva invece che la forma del truismo nella legge dell'energia è solo apparente, e che questa legge deve essere considerata un fatto, perché si basa sul rapporto tra i corpi, dimostrato dall'esperienza e dall'osservazione.

Non possiamo essere completamente d'accordo con questa affermazione: per fatto intendiamo la conoscenza ottenuta solo dall'esperienza e dall'osservazione, che è la cognizione più semplice di una proprietà puramente empirica. Al contrario, il teorema è qualcosa di complesso e viene ottenuto da inferenze e deduzioni a partire dai fatti stessi, ma anche da assiomi e da altri teoremi preesistenti. Quindi i teoremi fisici non possono essere presi come fatti; certo, possono essere ricavati empiricamente, ma la scienza cerca costantemente di convertirli il più possibile in verità speculative.

Rankine, sebbene chiamasse la legge dell'energia un fatto, era certamente ben consapevole che questo teorema si basa matematicamente su proposizioni elementari note che, se prese dall'esperienza, meritano il nome di fatto nel vero senso della parola. Tutta la fisica si basa sulle misurazioni; senza misurazioni, la matematica non può essere applicata e non ci può essere scienza fisica; solo quello che è misurabile può essere sottoposto a calcoli. E così Rankine sostiene che il fatto fondamentale e unico della fisica risiede nella misurabilità stessa delle sue grandezze, cioè che ad ogni quantità è associata ad una misura, in ogni tipo di circostanza. Di conseguenza, tutta la fisica si basa sul fatto che le quantità sono possibili ed esistono in natura; da qui derivano le leggi fisiche, che hanno quindi la forma di identità. Questa è la legge di conservazione dell'energia.

Alla base della concezione di Rankine, c'è l'affermazione di una certa, per così dire, omogeneità o monotonia degli elementi che partecipano al movimento di un sistema di corpi. Per quanto riguarda il tempo, ad esempio, assumiamo che sia esattamente lo stesso per tutti i corpi e questo ovviamente, vale anche per lo spazio. Analogamente una forza produrrà sempre la stessa accelerazione su corpi di uguale massa. E infine la massa rimane esattamente la stessa rispetto a tutti gli spazi, tempi, accelerazioni e corpi.

Queste proposizioni possono essere espresse in questo modo: la misura di ciascuna di queste quantità, in un determinato caso, sarà valida anche in tutti gli altri. Ad esempio, la misura della massa trovata in un'esperienza sarà la stessa in ogni altra esperienza, in ogni altra accelerazione, in ogni tempo e in tutti gli spazi.

Ecco i fatti che sono alla base della meccanica. Ma, ovviamente, questa non è una proprietà speciale delle quantità studiate dalla meccanica, ma vale per qualsiasi grandezza; per poter misurare qualcosa, è necessario che ciò che misuriamo non cambi e scompaia sotto le nostre dita, è necessario che quando scomponiamo e ricomponiamo le parti di un sistema, le loro grandezze non cambino, è necessario che, la stessa misura una volta trovata, si possa sempre e ovunque ritrovare usando lo stesso metodo.

Pertanto il fatto generale riconosciuto dalla meccanica può essere riassunto in questo modo: accelerazione e massa (o forse forza e materia) sono l'essenza della quantità; le quantità sono in grado di avere una certa grandezza; quantità uguali hanno la stessa grandezza. Da qui la possibilità di ogni uguaglianza, equazione e identità, cioè tutte le proprietà e le operazioni matematiche. La meccanica teorica è quindi una scienza completamente matematica.

Alla fine del suo articolo Rankine si sofferma sul concetto di conservazione e fa osservazioni molto importanti:

"Uno degli obiettivi principali della fisica matematica è quello di determinare, attraverso l'esperienza e l'osservazione, quali quantità o funzioni fisiche sono preservate. Ad esempio, queste sono le seguenti quantità o funzioni:

Nel determinare questo tipo di quantità fisiche, è quasi del tutto impossibile evitare che la definizione non racchiuda il carattere della conservazione, perciò quando lo si asserisce, non può non avere la forma del truismo"

Notiamo che Rankine avrebbe dovuto porre la legge dell'inerzia in cima a queste conservazioni: “il movimento di un corpo, su non agisce alcuna forza, conserva la sua grandezza, cioè la direzione e la velocità". Le ultime parole di Rankine sono le seguenti:

In conclusione dirò che quando una legge fisica presenta l'apparenza di un truismo, questo, mi sembra, non solo non dà motivo di dubitare sulla sua validità, ma, al contrario, costituisce la prova che essa è costruita in esatto accordo con la realtà (9 gennaio. 1867).

La legge di conservazione dell'energia appartiene alla categoria dei teoremi di conservazione per quantità note. Invece di conservazione, a volte si parla di indistruttibilità, eternità, immortalità e spesso si vede qui qualcosa di più importante ed essenziale che in altre affermazioni fisiche e matematiche.

La "riduzione a un valore costante" è un procedimento matematico molto comune per dimostrare questi teoremi. Pensiamo per esempio a quelle costanti che scompaiono durante la differenziazione e compaiono durante l'integrazione. Possiamo utilizzare questa tecnica generale per trovare una relazione tra quantità.

Partendo dall'uguaglianza

dx = dy

integrando, otteniamo:

x + A = y + B

e quindi

x - y = B - A,

che esprimiamo dicendo che la differenza tra le variabili x e y è una costante.

 Questa è una proprietà comune a tutte le quantità per le quali dx = dy. Il procedimento qui utilizzato è analogo a quello che porta a dimostrare che l'energia totale è costante.

Ma la mente umana è sempre profondamente interessata al pensiero dell'immutabile, dell'imperituro; non crede nella piena realtà delle forme di esistenza temporanee ed evanescenti, e cerca quell'essere eterno e duraturo che si nasconde sotto queste forme. Pertanto attribuisce particolare importanza ai concetti che contengono il segno della costanza e vi si abbandona con fiducia, come se si aspettasse da essi una risposta alle domande che la assillano. Così, la conservazione della materia e la conservazione dell'energia acquistano in molte menti una connotazione fantastica, come se materia ed energia appartenessero ad una specie di sostanzialità superiore rispetto ai vari oggetti e fenomeni che ci circondano.

Ad esempio, Tait si esprime in questo modo:

La nostra convinzione nella realtà oggettiva della materia si basa principalmente su un fatto ricavato esclusivamente dall'esperienza, cioè sull'impossibilità da parte nostra di modificarne anche minimamente la quantità. La ragione ci richiede di essere coerenti nelle conclusioni logiche, e quindi, se troviamo qualcos'altro nel mondo fisico che non può essere modificato quantitativamente, allora siamo obbligati a riconoscere questa grandezza come una realtà oggettiva esattamente come la materia, anche se i nostri sensi si oppongono a tale conclusione. Quindi calore, luce, suono, correnti elettriche, ecc., nonostante non rappresentino forme speciali di materia, dovrebbero essere riconosciuti reali come la materia, sulla base del fatto che, da un lato l'esperienza rivela in esse forme speciali di energia, e dall'altro che l'energia nelle sue varie trasformazioni soddisfa pienamente le condizioni per essere riconosciuta come una realtà materiale.

Tait esprime qui un principio che ci ricorda gli antichi filosofi della scuola eleatica, cioè che l'essere reale è del tutto immutabile, e quindi nulla di mutevole può essere riconosciuto come esistente [16]. Quindi, calore, luce, suono, ecc. sono generalmente considerati, secondo Tait, privi di realtà oggettiva, e tuttavia la loro variabilità è solo un'apparenza che dipende dai nostri sensi; la nuova fisica sembra aver scoperto che questi fenomeni hanno piena materialità, che sono solo forme diverse di un certo essere immutabile, l'energia.

È molto strano incontrare una metafisica simile in Tait, che professa il più severo empirismo e, ad esempio, schernisce Mayer per aver fatto riferimento ad assiomi ingenui: causa aequat effectum e ex nihilo nihil fit {Ibid. P. 49.}[17]. Ma le considerazioni metafisiche di Tait ci fanno capire il motivo della suprema importanza attribuita alla legge dell'energia: si tratta proprio dell'essenza delle cose, dell'essere immutabile che sta alla base.

Quando però diciamo che la materia e l'energia sono preservate, indistruttibili, eterne, non dobbiamo lasciarci ingannare da queste espressioni e dimenticare il loro significato preciso. Non è la sostanza che viene conservata, ma solo la sua massa, cioè la misura meccanica della sostanza. La sostanza stessa subisce continui cambiamenti, si distrugge, si trasforma, si espande, ecc. Allo stesso modo, l'energia, la cui essenza stessa consiste nel movimento e nel cambiamento, non è conservata nel senso comune del termine, ma solo una certa misura di questi movimenti e cambiamenti è costante; in tempi diversi, l'energia è diversa e questi suoi diversi stati sono solo meccanicamente equivalenti tra loro, non importa per quanto si differenzino sotto altri aspetti.

Il concetto principale, che abbiamo cercato di spiegare con le osservazioni precedenti, è che la legge di conservazione dell'energia è un teorema meccanico, e la meccanica non è una scienza empirica composta da fatti scoperti gradualmente, ma una scienza puramente teorica, e quindi dovrebbe avere quel carattere a priori tipico delle scienze matematiche.


Attualmente l'empirismo ha una tale forza che ci sono scienziati di prim'ordine, come Helmholtz e Riemann, che considerano la geometria stessa come una scienza sperimentale. Così ad esempio considerano evidenze empiriche la tridimensionalità, l'omogeneità e l'autosomiglianza dello spazio, e quindi ipotizzano spazi di diverso tipo, con proprietà diverse. In meccanica possiamo trovare ancora più esempi di tali sogni empirici. Ma lo sviluppo graduale e la comprensione dei concetti scientifici dimostreranno senza dubbio che qui siamo in presenza di un certo abuso di generalizzazione.

I principi di base della meccanica dovrebbero invece essere estremamente chiari e, se li consideriamo come conclusioni da alcuni fatti, vedremo che questi fatti sono come quelli alla base della geometria, come ad esempio che lo spazio è omogeneo ovunque, che due linee rette parallele alla terza sono parallele tra loro, e così via. Quando approfondiamo questi tipi di verità, non possiamo fare a meno di sentire che, per la loro stessa natura, esse sono completamente diverse dalla conoscenza esperienziale, ma che in un modo o nell'altro dovranno essere asserite analiticamente, come espresso da Kant, cioè con giudizi in cui il predicato è solo una rivelazione del soggetto, la sua identità. Questa identità o analiticità può essere dimostrata solo da uno studio approfondito e rigoroso dei concetti, cosa che, senza dubbio, sarà fatto nel tempo dalle scienze.

Significato della legge di conservazione dell'energia

La storia della legge di conservazione dell'energia, il significato che essa racchiude in sé, e le basi su cui poggia, ci forniscono un esempio molto chiaro di quale metodo le scienze fisiche utilizzino nello studio della natura, da cosa siano orientate e quale conoscenza ottengono. Ovviamente, l'intero scopo di queste scienze è determinare le relazioni quantitative esistenti in natura, tra le quali devono essere incluse anche quelle meccaniche. La scoperta della legge di conservazione dell'energia è stata la più grande rivoluzione nella visione della scienza. Divenne chiaro che, come la meccanica, la fisica non indaga più cause e forze, ma è diventata un'applicazione della meccanica teorica a casi particolari, una sorta di meccanica terrestre, contrapposta alla meccanica celeste, che studia il moto dei corpi celesti. Pertanto, fenomeni che in precedenza erano attribuiti a forze primordiali di varia natura, sono ora considerati omogenei, rappresentando solo diversi tipi di processi meccanici alle cui leggi e alle conseguenti misurazioni sono sottoposti. E i fisici dichiararono solennemente di aver scoperto la legge dell'energia, che nessun'altra scoperta di nuove forze potrà mai invalidare, e che abbraccia l'intero mondo materiale nel suo presente, passato e futuro[18].

L'importanza pratica di questa legge è indubbiamente enorme. Ai fisici sono stati dati i mezzi per verificare i loro esperimenti nel modo più preciso; come un chimico, decomponendo e componendo sostanze, trova nella legge meccanica di conservazione della massa un mezzo per assicurarsi che quello che ha ottenuto contenga tutto ciò che c'era nelle sostanze sottoposte        all'esperimento, così ora il fisico, indagando su qualunque fenomeno, può verificare se i risultati ottenuti concordano con lo stato iniziale.

Per non parlare delle applicazioni squisitamente pratiche di tutto questo. Possiamo infatti dire in generale che viviamo ed agiamo nel mondo fisico grazie alla conoscenza delle relazioni meccaniche[19]. Solo qui conosciamo un ordine che non cambierà mai, possiamo chiaramente prevedere il futuro e determinare con precisione i risultati delle nostre azioni. Conoscere la legge dell'energia aumenta immensamente la nostra capacità di controllare i fenomeni reali.

Ma quanto maggiore è l'importanza di questa legge in queste aree, tanto meno essa risponde alle nostre altre richieste. Non sembra affatto aiutarci nella conoscenza reale della natura, nella comprensione del mondo di cui facciamo parte con la sua varietà di fenomeni e creature, la loro relazione armoniosa, il loro diverso significato e la corretta gerarchia in cui sono inseriti. Al contrario, la legge dell'energia indica in natura una certa uniformità, appiana tutte le differenze, afferma una regola unica alla quale, in un certo senso, tutti i fenomeni materiali sono inevitabilmente subordinati. La fisica, come abbiamo visto, per sua stessa essenza, non può e non vuole fare altro che trovare tali regole, e cerca nel mondo solo ciò che può essere espresso con teoremi matematici. E queste sono verità formali, ridotte in ultima analisi a tautologie, nelle quali non si rivela l'essenza delle cose e la vita interiore della natura.

Concludiamo con le sorprendenti parole di Newton, che ha aggiunto alla fine dell'ultima edizione dei suoi “Principia mathematica philosophiae naturalis”:

Per cieca necessità metafisica, essendo sempre e dovunque la stessa, non può esserci differenza nelle cose. Tutta la diversità delle cose create in luoghi diversi e in tempi diversi potrebbe venire solo e unicamente dalle idee e dalla volontà dell'Essere necessariamente esistente.

NOTE

  1. Mayer J. R. Mechanik der Wärme. Stuttg., 1867 (raccolta di scritti di Mayer del 1840).

  2. Strakhov si riferisce qui, in primo luogo, alla serie "Classics of Natural Science", pubblicata dal 1889 dal chimico e filosofo tedesco W. Ostwald, che in questa serie pubblicò più di 200 opere di scienziati eccezionali. In secondo luogo, al lavoro di G. Helmholtz "Über die Erhaltung der Kraft (1847) ".

  3. Joule J.P. “Equivalente meccanico del calore. Raccolta degli articoli”. Braunschweig, 1872. Ricordiamo che l'equivalente meccanico del calore è solitamente chiamato quantità di lavoro, che è equivalente alla quantità di calore necessaria per aumentare di un grado (Celsius o Kelvin) la temperatura di un chilogrammo di acqua. Il valore moderno dell'equivalente è di circa 4,18 kJ o 1 kcal. Strakhov sottolinea il fatto che Joule, a differenza di Mayer, ha studiato solo la trasformazione dell'energia meccanica in energia termica (e viceversa), ma non ha cercato di enunciare la legge di conservazione per qualsiasi tipo di energia.

  4. Passando da punti di vista di natura "kantiana" semplificata all'empirismo, H. Helmholtz iniziò a considerare gli assiomi della geometria (e le idee matematiche in generale) come aventi un'origine sperimentale. Vedi la sua opera “Number and Dimension”.

  5. Christian Huygens introdusse il concetto di "forza viva", studiando le collisioni completamente elastiche di due corpi  definendo la "forza viva" come mv2 . Il teorema di cui parla, dopo Helmholtz, Strakhov, afferma: il lavoro di tutte le forze che agiscono su un corpo è uguale all'incremento dell'energia cinetica del corpo. Pertanto, l'affermazione di "equivalenza" di questo teorema alla Legge di conservazione dell'energia non è del tutto vera; questa legge include anche la nozione di energia potenziale, che deve essere inclusa nel lavoro. Helmholtz aveva appena introdotto (basandosi su un certo numero di altri autori) il concetto di energia potenziale che chiamò "forza di tensione".

  6. Si veda l'edizione russa delle opere di J.R. Mayer, la “legge dell'indistruttibilità delle cause” era, secondo Mayer, in un “assioma” che risale alla filosofia medievale e dice: “causa aequat effectum”, cioè la causa è uguale all'effetto.

  7. Verdet E. “Teoria meccanica del calore” (libro pubblicato a Parigi nel 1868).

  8. Phlogiston (greco φλογιστος - infiammabile, combustibile) - secondo idee risalenti alla scolastica, "il principio della combustibilità", o componenti delle sostanze che si perdono durante la combustione. La critica alla teoria del flogisto di Lavoisier è spesso confusa con critiche alla teoria del calorico. Epigenesi (greco επιγεννημα - prole, frutto) - la dottrina dello sviluppo dell'embrione attraverso la formazione di nuovi organi dal substrato senza struttura di un uovo fecondato.

  9. A rigor di termini, questo è assolutamente vero per la legge di conservazione della cosiddetta energia meccanica (la somma delle energie cinetiche e potenziali). In questo caso, le leggi di Newton possono agire come "proposizioni più elementari". Nella moderna meccanica teorica, il ruolo della "proposizione più elementare" è svolto dal principio di minima azione. Generalizzando i concetti di energia cinetica e potenziale, la legge di conservazione dell'energia viene trasferita al campo della termodinamica e dell'elettrodinamica.

  10. Kirchhoff G. “Lectures on Mathematical Physics” (pubblicato in quattro volumi nel periodo 1874-1894).

  11. Il punto di vista secondo cui la seconda legge di Newton è o una definizione di forza o una definizione di massa è costantemente espresso fino ad oggi. In particolare, il famoso fisico sovietico L.D. Landau la considerava una definizione di forza. Vedi Landau L.D. ed al. “Corso di Fisica generale. Meccanica e fisica molecolare”. Seconda edizione. (1969).

  12. Il primo a stabilire il valore 1/2 mv2 per la forza viva fu il fisico e ingegnere francese Gustave Gaspard Coriolis nel 1826; fornì anche una dimostrazione del teorema dell'incremento dell'energia cinetica.

  13. Il ragionamento di Strakhov è corretto se consideriamo il movimento del corpo a velocità iniziale nulla e anche se la componente tangenziale della forza è costante lungo l'intero percorso del movimento. Poi abbiamo F*s = m*v2 / 2, e dal momento che F = m*a, da cui v2=2*a*s.

  14. Il concetto di energia (invece di "forza viva") fu introdotto nel 1807 da Thomas Jung nel primo volume delle già citate Lectures on Natural Philosophy. Il termine "energia" risale alla "Fisica" di Aristotele, dove significa realtà come attività. Cfr. le parole di Aristotele: "il movimento è la realtà (ενεργεια) del mobile, in quanto si muove" (Fisica 202a5).

  15. Qui W. Rankine descrive un sistema termoisolato (o adiabatico) dove, in condizioni di equilibrio, l'entropia rimane costante. Ma questo concetto è apparso per la prima volta nel lavoro di R. Clausius nel 1866 e non era ancora padroneggiato (sia in fisica che in matematica) da Rankine. Pertanto, parla di una sorta di "funzione termodinamica", il cui cambiamento caratterizza la presenza di scambio termico.

  16. Strakhov formula brevemente il principio di base della scuola eleatica nell'antica Grecia, il cui principale rappresentante era Parmenide (nato circa nel 520 o 540 A.C.). Al fine di ricucire le disposizioni sull'immutabilità dell'essere reale, Zenone di Elea, figlio adottivo di Parmenide, formulò una serie di noti "paradossi" che dovrebbero dimostrare l'impossibilità (o meglio, l'impensabilità) del movimento.

  17. "La causa è uguale all'effetto" e " nulla si crea dal nulla", i principi metafisici di base su cui è costruita la giustificazione della legge di conservazione dell'energia in J. R. Mayer. Il secondo principio (nella forma ex nihilo-nihil, cioè "dal nulla nulla") si trova per la prima volta nelle "Satire" del poeta romano Persio (34-62 D.C.), seguace della filosofia dello stoicismo.

  18.  Una meccanica libera dal concetto di forza fu costruita dall'eminente fisico e filosofo tedesco Heinrich Rudolf Hertz (1857-1894). Si noti inoltre che il concetto di forza non viene effettivamente utilizzato (sebbene possa essere formalmente introdotto) nella moderna meccanica quantistica, dove è il concetto di energia che diventa centrale (nell'equazione di Schrödinger, con cui in linea di principio viene risolto qualsiasi problema meccanico quantistico).

  19. Non è raro (ed erroneo) credere che nella moderna meccanica quantistica la descrizione accurata (e la previsione) dei fenomeni fisici sia sostituita da una descrizione probabilistica. In effetti, la descrizione esatta dei fenomeni del microcosmo è solo limitata, ma non è in alcun modo esclusa. Vedi un'analisi approfondita di questa situazione nel libro: Huebner K. “Critica della ragione scientifica” (1994).

ELENCO DEI NOMI